E ne mancano, anche in base alle dimensioni regionali, quasi 27mila a Nord, circa 13mila al Centro e 23.500 al Sud e nelle Isole.
Eppure, quella dell’infermiere è la professione del futuro e lo è con maggiori responsabilità, specializzazioni e infungibilità della professione. All’estero tutto ciò c’è già e gli infermieri, in alcune zone, sono anche prescrittori di farmaci non specialistici e di presidi sanitari. Che sia la professione sanitaria del futuro è evidente. Nel 2020 è stata l’unica laurea tra le sanitarie che ha visto aumentare le domande di quasi l’8% contro una diminuzione delle altre. Ma c’è carenza: il rapporto infermieri-abitanti in Italia è di 5,5-5,6 infermieri ogni mille abitanti, uno dei più bassi d’Europa secondo l’Ocse. La pandemia ha posto sotto gli occhi di tutti quello che già da anni fa, con la sua laurea, i master, i dottorati di ricerca e, ora, la richiesta chiara di scuole di specializzazione e dell’infungibilità della professione.
Nel corso della pandemia è emersa l’importanza degli infermieri per la tenuta del sistema
L’infermiere assicura il buon andamento delle strutture anche evitando eventuali carenze o atti impropri di altre figure. Serve che sia supportato da un organico numericamente e professionalmente efficiente e dotazioni all’altezza di un’assistenza di qualità. Altrimenti c’è il rischio di peggiorare la situazione e trasformare chi dovrebbe organizzare in un capro espiatorio di errori altrui.
Il Censis presentato ha quantificato la carenza rapportando per l’Italia la presenza di infermieri a quella dell’Emilia-Romagna, considerata Regione Benchmark, in 57.000 unità e ha considerato che se il confronto dovesse avvenire con altri partner europei, come ad esempio il Regno Unito – che fa tra l’altro continua richiesta di infermieri italiani – la carenza salirebbe a quasi 300.000 unità.
Il rapporto dell’Università di Tor Vergata ha portato alla luce una carenza di infermieri che non copre la popolazione
Secondo il Rapporto Crea Sanità dell’Università di Tor Vergata, la carenza in base ai parametri europei sarebbe di almeno 162.972 infermieri se rapportati al complesso della popolazione e 272.811 se rapportati alla popolazione ultra 75enne, che è quella di riferimento soprattutto sul territorio.
E secondo il concetto di staffing, il rapporto cioè tra infermieri e numero di pazienti assistiti che secondo i parametri medi nazionali e internazionali dovrebbe essere di un infermiere ogni 6 pazienti (ogni due nei servizi come pediatrie o terapie intensive e così via), mentre si assesta da anni a una media di 9,5 pazienti per infermiere con punte in alcune Regioni fino a 17-18 pazienti per infermiere.
Le soluzioni proposte dalla FNOPI per sopperire alla carenza di infermieri sono tre
Per questo la FNOPI ha messo a punto per la prima volta alcune proposte diversificate tra loro su assi a breve, medio e lungo termine. Soluzioni per far fronte alla carenza di professionisti con particolare attenzione a residenzialità privata e convenzionata e alle aree interne e disagiate. Il documento diventerà elemento ulteriore di interlocuzioni politiche e istituzionali della Federazione.
A breve termine – perché il problema è ora, così come ora deve partire l’applicazione del PNRR – c’è ad esempio il superamento del vincolo di esclusività. Un vincolo che oggi lega l’infermiere nel rapporto di lavoro con il servizio sanitario pubblico. Poi la possibilità di esercizio libero professionale a supporto delle strutture sociosanitarie territoriali. Poi possono essere previsti progetti finalizzati a garantire il supporto in termini di prestazioni di assistenza infermieristica da parte delle Aziende Sanitarie. Il tutto in favore delle strutture residenziali territoriali, con attività svolta al di fuori dell’orario di servizio e remunerata a parte.
Per la Federazione è di fondamentale importanza provare a richiamare gli infermieri che sono emigrati all’estero
A medio termine si dovrebbero ridefinire le regole di accreditamento delle strutture in relazione all’evoluzione dei bisogni dei cittadini; valorizzare la professione infermieristica nelle strutture socio sanitarie territoriali; prevedere uno sviluppo in chiave clinica per attualizzare la necessaria maggiore pertinenza alla complessità e tipologia assistenziale di carriera e sotto il profilo gestionale; adeguare i contingenti formativi e valorizzare le competenze economicamente e sotto l’aspetto della responsabilità e dell’autonomia.
A lungo termine poi si dovrebbe favore il rientro degli infermieri italiani emigrati all’estero con incentivi in termini contrattuali ed economici. Attualmente si calcola che lavorino all’estero circa 20.000 infermieri italiani.
Secondo la riforma della sanità territoriale, è necessaria la presenza di almeno un infermiere di famiglia per ogni 3.000 abitanti
L’infermiere di famiglia o di comunità sarà un membro del personale del servizio sanitario, impegnato sia in ambulatori dedicati che nelle case dei cittadini per fornire assistenza, oltre a svolgere anche un ruolo di guida nei servizi sanitari. La sua preparazione sarà supportata da un programma formativo specifico, garantito tramite un apposito master. Questa è la descrizione dell’infermiere di famiglia o di comunità delineata dall‘Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) nelle sue linee guida dedicate a questa professione.
L’emergere della figura dell’infermiere di famiglia nasce dalla pandemia, che ha acutamente evidenziato le fragilità dell’assistenza territoriale e la necessità di introdurre nuove strutture e competenze specializzate. La riforma della sanità territoriale stabilisce un requisito di almeno un infermiere di famiglia per ogni 3.000 residenti.
Secondo le linee guida delineate, il ruolo di questa nuova figura si estenderà a diverse aree, compresi gli interventi ambulatoriali, l’assistenza domiciliare e, più in generale, l’interazione con la comunità. L’infermiere di famiglia non sarà semplicemente un fornitore di assistenza sanitaria, ma anche un possibile promotore di servizi assistenziali, come ulteriormente spiegato da Agenas. Questo ruolo prevede una stretta integrazione con altri professionisti presenti nella comunità, tra cui medici di medicina generale/pediatri di libera scelta, assistenti sociali e professionisti sanitari specializzati in tecniche, riabilitazione e prevenzione, oltre agli infermieri specializzati in assistenza domiciliare integrata, come indicato nel documento di riferimento.
Il percorso formativo prevede l’ottenimento di un master universitario di primo livello in Infermieristica di Famiglia e di Comunità. Questo titolo costituirà un requisito preferenziale per l’assunzione in questa posizione. Tuttavia, sarà possibile accedere a questo ruolo anche per gli infermieri che attualmente lavorano nell’ambito territoriale e che abbiano accumulato almeno due anni di esperienza. Fino a oggi, il numero di infermieri di famiglia che sono stati integrati nei servizi è limitato, ammontando a circa 1.380 secondo le stime fornite da Agenas.
Delineata la figura del “nuovo” infermiere in un documento prodotto dalla Consensus Conference della Federazione degli Ordini delle Professioni Infermieristiche – FNOPI
L’infermiere del futuro per semplificare la vita dei pazienti e migliorare la loro qualità della vita. La “nuova” figura professionale è quella che emerge da un documento elaborato dall’importante lavoro della Consensus Conference della Federazione degli Ordini delle Professioni Infermiristiche – FNOPI. Il lavoro è frutto della collaborazione di un panel di 46 esperti e stakeholder che ha tracciato le caratteristiche che dovrà avere l’assistenza infermieristica e l’infermiere nei prossimi anni.
Di seguito una serie di punti principali emersi dal documento. Innanzitutto le prestazioni infermieristiche dovranno essere inserite nei livelli essenziali di assistenza (Lea). Bisognerà quindi superare l’esclusività degli infermieri dipendenti per ampliare l’offerta assistenziale al territorio. Ma, cosa non di secondo piano, in futuro l’idea è che gli infermieri dovranno poter prescrivere presidi sanitari utili nella pratica assistenziale e farmaci di uso comune in modo da garantire la continuità terapeutica nelle cronicità, ma senza sovrapposizione con i medici. Non si parla di diagnosticare e prescrivere terapie farmacologiche sui problemi emergenti. Si parla di ausili, presidi e alcuni farmaci che sono in un percorso di continuità e cronicità.
La centralità della formazione
Ulteriore ruolo cruciale è quello della formazione. Bisogna “aumentarne la qualità e incrementare i docenti universitari infermieri di ruolo per garantire qualità e non impattare negativamente su altri corsi di laurea attivi – recita una nota pubblicata sul sito web della FNOPI. Garantire l’evoluzione di conoscenze e competenze manageriali – prosegue il comunicato – per i ruoli di direzione con percorsi distinti e successivi alla laura magistrale, come master o corsi di alta formazione e realizzare la laurea magistrale a indirizzo clinico abilitante per un profilo con competenze avanzati e funzioni e attività specifiche distintive dal laureato triennalista”. Sempre sul versante della formazione il documento FNOPI spinge sull’istituzione di specialità interprofessionali. Istituti, ad esempio, nell’ambito delle cure primarie e sanità pubblica ma anche curie palliative e geriatria.
Le parole del presidente FNOPI
“Il tradizionale modello organizzativo è ormai inefficace per rispondere alle esigenze di salute della popolazione – spiega Barbara Mangiacavalli, presidente FNOPI. Il nuovo paradigma sanitario si fonda sulla costruzione di reti di prossimità territoriale. Determinando, in questo modo, uno spostamento dei setting assistenziali dai luoghi tradizionali di cura come gli ospedali. Uno spostamento che andrà verso strutture territoriali più sostenibili e accessibili e che possano favorire l’integrazione sociosanitaria e la continuità dei percorsi”.
“Alla luce di queste considerazioni – ha aggiunto il presidente FNOPI – si può comprendere come sia necessaria e naturale una evoluzione della professione infermieristica. Una evoluzione dei relativi profili di competenza degli infermieri e dei ruoli agisti nelle diverse strutture sanitarie. Infine una evoluzione dei percorsi formativi che possano accompagnare e stimolare questo cambiamento. L’obiettivo della Consensus Conference promossa dalla FNOPI è quello di promuovere una interlocuzione con i principali soggetti istituzionali coinvolti nei processi di riforma in atto, per raggiungere un accordo sulle tematiche sanitarie attuali particolarmente complesse inerenti al ruolo professionale infermieristico”.
La denuncia dell’Associazione nazionale degli Infermieri di medicina interna sui problemi degli ospedali
“Il tempo degli eroi è già passato. E i problemi negli ospedali rimangono. Carenza di personale e personale d’assistenza stanchissimo, provato da tutte le riorganizzazioni interne. Ed anche dalle numerose assenze di colleghi positivizzati, difficoltà a coprire i turni con altro personale. E questo perchèmoltissimi infermieri sono impegnati nella campagna vaccinale o sono sospesi perché no vax”.
Così la presidente dell’ Associazione nazionale degli infermieri di medicina interna (ANiMO), Gabriella Bordin. Di conseguenza “difficoltà a garantire adeguati standard di assistenza – dice Bordin – e un atteggiamento aggressivo da parte di pazienti e familiari rispetto al passato”.
Infermieri al limite delle proprie possibilità, due anni di tempo non sono stati utili per porre rimedio ai tanti problemi
“Si fatica a capire perché ancora a distanza di due anni manchi un piano d’azione e si ha l’impressione di ‘navigare a vista’ “, dice ANiMO sottolineando che “la situazione è in bilico tra l’aumento della richiesta di ricovero dei pazienti internistici e la disponibilità dei posti letto ridimensionati per far posto ai reparti Covid. Molte specialità chirurgichesono state convertite in reparti Covid seguite da personale non sempre preparato a gestire questi malati. Con la conseguenza di allungare la degenza media e rallentare il turn over”. “
Le difficoltà a garantire l’isolamento dei pazienti asintomatici ma positivi – spiega poi Bordin – sono spesso legate a problemi di natura strutturale. Quelli che non garantiscono percorsi sporco-pulito adeguato. Per l’assenza del bagno in camera o per la difficoltà di isolare i pazienti in stanze da 4 posti letto. E qualora ci siano requisiti strutturali per mantenere l’isolamento ai pazienti positivi, i tempi previsti dalle procedure atte al rispetto dell’isolamento-vestizione-svestizione, compromettono la qualità dell’assistenza agli altri pazienti”. In particolare, conclude Bordin “la grave carenza di infermieri si riflette in tutti i servizi. Ed è ancor più drammaticamente sentita in questo periodo a causa dei numerosi contagi anche tra il personale infermieristico. Che deve continuare ad erogare assistenza ai pazienti Covid e non Covid e al contempo deve partecipare alla campagna vaccinale e al tracciamento dei contagi”.
Insomma i problemi ci sono e restano tanti. Nonostante sia passato del tempo per poter provare a risolverli.
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