Il dato emerge da un report coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) in occasione della Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo
Oggi, 7 febbraio, si celebra la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. Un fenomeno che non è purtroppo mai passato di moda, anzi, si è addirittura evoluto anche in termini virtuali con l’avvento del cyberbullismo, appunto. Ieri, il Sistema di Sorveglianza HBSC Italia (Health Behaviour in School-aged Children) coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità ha pubblicato un report che parla chiaro: il 15% degli adolescenti italiani ha dichiarato di essere stato vittima almeno una volta di atti di bullismo e di cyberbullismo. Secondo i dati, gli atti sarebbero più frequenti nelle ragazze e tra i più giovani, con proporzioni di circa il 20% negli 11enni che progressivamente si riducono al 10% nei più grandi.
L’indagine ha coinvolto un campione rappresentativo di giovani di 11, 13 e 15 anni in tutte le Regioni. Inoltre, non ha solo fotografato la diffusione del bullismo e del cyberbullismo, ma anche molti altri comportamenti degli adolescenti nel periodo post pandemico. I risultati completi della raccolta dati 2022 saranno illustrati domani, 8 febbraio 2023, in occasione del convegno ‘La salute degli adolescenti’, organizzato dall’Iss.
In linea di massima, confrontando la rilevazione del 2017-2018 la frequenza di atti di bullismo sembra essere stabile. Al contrario, il cyberbullismo ha visto un’impennata nei giovani di 11 e 13 anni fortemente associata alla diffusione dei social network. Non emergono significative differenze tra Regioni. La variabilità è, per il bullismo, compresa tra il 13% in alcune regioni del sud Italia (Calabria e Basilicata) e il 18% nelle province autonome di Trento e Bolzano. Mentre per il cyberbullismo le percentuali oscillano tra l’11%-12% nelle province autonome di Trento e Bolzano e il 16% in Campania, Puglia e Sicilia.
L’Istat ha diffuso oggi i principali risultati del Censimento del 2021. Ne emerge che siamo sempre di meno e sempre più vecchi
La popolazione censita in Italia al 31 dicembre 2021 ammonta a 59.030.133 residenti, in calo dello 0,3% rispetto al 2020 (-206.080 individui). Oltre al calo, preoccupa l’invecchiamento della popolazione: nel 2021 per ogni bambino si contano 5,4 anziani. Il 2021 sancisce inoltre il nuovo record negativo delle nascite che si fermano a 400.249. Questi i principali dati che emergono dalla terza edizione del Censimento permanente della Popolazione e delle Abitazioni, elaborata dall’Istat e relativa al 2021.
Partiamo dal primo dato: il calo della popolazione. Il decremento interessa soprattutto il Centro Italia (-0,5%) e l’Italia settentrionale (-0,4% sia per il Nord ovest che per il Nord est). È invece più contenuto nell’Italia meridionale (-0,2%) e risulta minima nelle Isole (appena 3.000 unità in meno). C’è anche da dire che è ancora elevato l’impatto del numero di morti da Covid-19 sulla dinamica demografica nel 2021. Infatti, il totale dei decessi (701.346), sebbene in netta diminuzione rispetto al 2020, rimane significativamente superiore alla media 2015-2019 con un +8,6%. Il calo della popolazione, inoltre, è anche da attribuire alla diminuzione della popolazione straniera: gli stranieri censiti sono 5.030.716 (-141.178 rispetto al 2020), con un’incidenza sulla popolazione totale di 8,5 stranieri ogni 100 censiti.
Un secondo dato rilevato che emerge è l’invecchiamento della popolazione che diventa ancora più evidente nel confronto con i censimenti passati. Nel 2021 per ogni bambino si contano 5,4 anziani; nel 2011 erano 3,8 gli anziani per bambino. L’indice di vecchiaia (rapporto tra gli over 65 e gli under 15) è notevolmente aumentato e continua a crescere, da 33,5% del 1951 a 148,7% del 2021 fino ad arrivare al 187,6% del 2021. Inoltre, la più giovane struttura per età della popolazione straniera rallenta il processo di invecchiamento della popolazione residente in Italia. L’età media degli stranieri, infatti, è più bassa di oltre 10 anni rispetto a quella degli italiani (35,7 anni contro 46 nel 2021).
Un terzo dato da sottolineare è quello relativo alla diminuzione delle nascite. Con appena 400.249 bambini nati, il 2021 sancisce il nuovo record negativo di natalità. La diminuzione rispetto al 2020 è dell’1,1% ma spaventa quella rispetto al 2008: 31% di nascite in meno. In tal senso, la geografia mostra un calo generalizzato in quasi tutte le ripartizioni, con i valori più alti al Sud (-2,7% rispetto all’anno precedente) e un’unica eccezione nel Nord-est dove si registra un lieve incremento (+0,1% sul 2020).
Clicca qui per leggere il report integrale dell’Istat.
Un medico italiano guadagna, a parità di potere d’acquisto, il 70% in meno di un collega tedesco e il 40% in meno di un inglese
Gli stipendi dei medici e degli infermieri italiani sono tra i più bassi rispetto ai colleghi dei principali Paesi europei e dell’area Ocse. Questo il risultato dell’ultima analisi dell‘Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), analisi che si basa sui dati del 2020 calcolati in dollari e perequati per potere d’acquisto. Se ne parla da tempo e anche il neo Ministro della Salute Schillaci ha denunciato il fenomeno, annunciando iniziative per far crescere i salari. La disparità non c’è solo con i medici del vecchio Continente, ma anche con i colleghi Usa, della Corea del Sud e del Cile.
Ma entriamo nel dettaglio. La stima Ocse vede i nostri medici guadagnare in media 110.000 dollari (si ricorda che l’analisi ha utilizzato i dollari come parametro) ogni anno. Un dato del 70% inferiore ai colleghi tedeschi che ne guadagnano 187.000, e addirittura il 72% in meno degli olandesi (190.000 dollari all’anno). La differenza rimane importante anche rispetto ai camici bianchi britannici i quali guadagnano in media 155.000 dollari l’anno per una differenza del +41%rispetto agli italiani. Gli stipendi sono più bassi anche dei belgi e dei francesi: rispettivamente 27% e 8% di distacco. Simile invece il dato con gli spagnoli, mentre il confronto va a favore dei camici bianchi italiani se guardiamo per esempio la Grecia e l’Ungheria. Infatti, i medici iberici guadagnano 60.000 dollari l’anno e gli ungheresi 68.000. Anche uscendo fuori dalla Ue il bilancio rimane magro. In Cile i medici guadagnano 136.000 dollari, in Corea del Sud 195.00, in Nuova Zelanda 132.000.
Stipendi più bassi anche per gli infermieri
Se si sposta l’obiettivo sugli infermieri i dati sono ancora peggiori. In Italia lo stipendio medio (sempre a parità di potere d’acquisto e in dollari) è di circa 39.000 dollari. Numeri ben distanti dagli 87.000 degli infermieri belgi e dagli 81.000 di quelli statunitensi. Dati inferiori anche con i tedeschi (-51%). spagnoli e britannici. Gli infermieri italiani guadagnano di più, come nel caso dei medici, dei greci e degli ungheresi. Insomma, i numeri ci consegnano una fotografia reale di come il lavoro in sanità in Italia sia sottopagato.
Secondo l’Organizzazione delle Nazione Unite – ONU una serie di crisi, Covid su tutte, ha riportato il pianeta indietro di 5 anni
Una serie di crisi, soprattutto per via del Covid, ha riportato indietro il progresso umano di 5 anni, alimentando un’ondata globale di incertezza. E’ quanto emerge da un rapporto dell’Organizzazione delle Nazione Unite – ONU secondo cui si stiamo assistendo ad una vera e propria battuta d’arresto per lo sviluppo umano. Secondo il Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP)l’Indice di sviluppo umano, ovvero una misura delle aspettative di vita, dei livelli di istruzione e degli standard di vita dei Paesi, è diminuito per due anni consecutivi (2020-2021), “cancellando i guadagni dei cinque anni precedenti”, come dichiarato dal presidente dell’UNPD, Achim Steiner.
“L’inversione di tendenza – si legge nel rapporto ONU – è quasi universale. Oltre il 90% dei Paesi ha registrato un calo nel punteggio dell’Indice di sviluppo umano nel 2020 e nel 2021. Più del 40% è diminuito in entrambi gli anni, a dimostrazione del fatto che per molti la crisi si sta ancora aggravando”. Anche Steiner ha commentato la situazione: “Questo significa che moriamo prima, siamo meno istruiti e che i nostri redditi stanno scendendo. Sono tre parametri che possono aiutare a farci un idea del motivo per cui così tante persone stanno iniziando a sentirsi disperate, frustrate e preoccupate per il futuro” – ha proseguito il coordinatore dell’UNPD.
“Senza alcun dubbio, le prospettive per il 2022 sono cupe”
Le nazioni maggiormente virtuose rimangono Svizzera, Norvegia e Islanda, mantenendo il loro posto in cima alla lista. Al fondo invece, ci sono Sud Sudan, Ciad e Niger. Inoltre, sempre seguendo il rapporto ONU, mentre alcuni paesi avevano iniziato a riprendersi dalla pandemia, è esplosa la guerra in Ucraina, che con le sue conseguenze sta rendendo ancora più difficile la situazione. “Abbiamo avuto disastri e conflitti in precedenza. Ma la confluenza di ciò che stiamo affrontando in questo momento è una grave battuta d’arresto per lo sviluppo umano. Senza alcun dubbio, le prospettive per il 2022 sono cupe” – ha affermato ancora Steiner.
Secondo il rapporto, è inoltre diminuita l’aspettativa di vita di quasi 2 anni, passata da 73 ani nel 2019, a 71,4 nel 2021. Altro fattori evidenziati sono stati il cambiamento climatico, la globalizzazione e la polarizzazione politica, fattori che hanno caratterizzato una forte crescita di insicurezza a livello globale. Secondo l’ONU sono tre le trasformazioni urgenti necessarie per il futuro: riduzione delle emissioni di CO2, meno disuguaglianza e maggiore sostenibilità. (Qui il rapporto integrale dell’ONU).