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Cancro al seno: scoperto nuovo meccanismo nelle forme aggressive

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All’origine dell’intero processo c’è verosimilmente p140Cap, una proteina in grado di inibire la crescita tumorale

Identificata una nuova chiave di lettura per comprendere le forme di cancro al seno più aggressive. Il dato emerge da una ricerca condotta in collaborazione tra due gruppi di scienziati provenienti dall’Università di Torino e dalla Statale di Milano. I risultati dello studio sono pubblicati sulla prestigiosa rivista ‘Nature Communications’.

La ricerca ha portato alla scoperta di un inedito meccanismo molecolare con cui i tumori mammari si arricchiscono in cellule staminali tumorali. A loro volta queste cellule, da un lato, funzionano da forza motrice della crescita della massa tumorale; dall’altro sopprimono la riposta immunitaria naturale che, a livello del microambiente circostante il tumore, dovrebbe invece contrastare la crescita del cancro. 

Il ruolo della proteina p140Cap

All’origine dell’intero processo c’è verosimilmente p140Cap, una proteina in grado di inibire la crescita tumorale. La sua assenza, che caratterizza almeno il 40-50% di tutti i casi di cancro al seno, determina una cascata di eventi che portano all’attivazione incontrollata del gene responsabile della sintesi di beta-Catenina, una potente proteina coinvolta nella crescita tumorale. Una volta attivata, la beta-Catenina provoca l’espansione del compartimento delle cellule staminali tumorali. A loro volta queste cellule rilasciano citochine anti-infiammatorie, inibendo così direttamente la risposta immunitaria anti-tumorale e creando un ambiente favorevole all’ulteriore crescita del tumore.

“La proteina p140Cap – spiega la professoressa Paola Defilippi, tra i coordinatori dello studio – si comporta come una specie di interruttore molecolare che, tramite l’inibizione di beta-Catenina e la conseguente riduzione del compartimento delle cellule staminali tumorali, esercita una duplice funzione anti-tumorale: inibisce l’espansione della massa tumorale e sostiene una efficiente risposta immunitaria anti-tumorale nel microambiente circostante”.

“p140Cap potrebbe essere utilizzata come un utile biomarcatore nella pratica clinica”


Anche il professor Salvatore Pece, coordinatore insieme alla professoressa Defilippi, ha commentato l’importanza della scoperta. “Attraverso studi clinici retrospettivi in coorti di pazienti abbiamo dimostrato una chiara correlazione tra bassi livelli della proteina p140Cap nelle forme più aggressive di cancro al seno e ridotta presenza di cellule del sistema immunitario, in particolare linfociti, nelle aree circostanti il tumore. Questi dati suggeriscono che p140Cap potrebbe essere utilizzata come un utile biomarcatore nella pratica clinica. In particolare può essere utile per identificare i tumori mammari con alterazioni della risposta immunitaria antitumorale”.

La nostra scoperta – prosegue l’esperto – dell’esistenza di un nuovo circuito molecolare p140Cap/beta-Catenina, apre a una prospettiva concreta per la stratificazione a fini terapeutici delle pazienti con tumore mammario che hanno perduto p140Cap. Tale perdita è infatti alla base dell’acquisizione contemporanea di entrambe queste caratteristiche aggressive della biologia dei tumori mammari. Grazie a questi risultati le pazienti potrebbero beneficiare in futuro di nuove terapie per colpire le cellule staminali tumorali e ripristinare una efficiente risposta immunitaria contro il cancro. Terapie di questo tipo sono oggi l’obiettivo delle principali linee di ricerca per lo sviluppo di nuovi farmaci in oncologia”.

“Questo studio rappresenta per noi motivo di grande soddisfazione – conclude il professor Pece. Non solo per la sua valenza scientifica ma anche perché dimostra l’importanza dello sforzo cooperativo tra gruppi di ricerca che fondono differenti competenze scientifiche e piattaforme tecnologiche per far avanzare la conoscenza della biologia dei tumori mammari. È fondamentale aprire nuove prospettive terapeutiche per le pazienti”.

Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio. 

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Sviluppata una nuova tecnica contro il cancro

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Impedire alle cellule tumorali di compiere appieno il loro percorso e trasformarle in cellule sane: il nuovo studio

Nel quadro di una nuova ricerca pubblicata su Pnas, i ricercatori del Cold Spring Harbor hanno concentrato i loro sforzi su un obiettivo ambizioso: ostacolare la progressione delle cellule tumorali e riconvertirle in cellule sane. Questo studio ha puntato a comprendere meglio il rabdomiosarcoma, una forma di cancro altamente aggressiva che colpisce i muscoli di bambini e adolescenti e che presenta attualmente un tasso di sopravvivenza variabile tra il 50% e il 70%. Ma la tecnica potrà essere utilizzata anche contro altre forme di cancro

I ricercatori si sono affidati alla tecnica di editing genetico Crispr e hanno identificato un gene (NF-Y) che, disattivato, induce le cellule di rabdomiosarcoma a differenziarsi in cellule muscolari normali. “Le cellule si trasformano letteralmente in muscoli” – ha spiegato Christopher Vakoc, coordinatore dello studio. “Il tumore – ha aggiunto l’esperto – perde tutti gli attributi del cancro. Si passa così da una cellula che vuole solo replicarsi a una cellula dedita alla contrazione. Poiché tutte le sue energie e risorse sono ora dedicate alla contrazione, non può tornare allo stato di moltiplicazione”. 

L’importanza di questi risultati

Secondo gli autori della ricerca, questo risultato potrebbe accelerare la sperimentazione nel rabdomiosarcoma della cosiddetta ‘terapia di differenziazione’, a cui si sta lavorando da anni. Nella leucemia, le cellule tumorali mostrano un livello di maturità incompleto, assomigliando più a cellule staminali che non hanno ancora completato il loro normale processo di sviluppo. Grazie all’applicazione di terapie di differenziazione, i ricercatori sono stati in grado di guidarle verso una maturazione completa, trasformandole così in cellule mature e sane.

Il team aveva usato lo stesso metodo per indurre la trasformazione delle cellule tumorali nel sarcoma di Ewing, altra forma di cancro pediatrico che colpisce le ossa. La terapia, replicata con successo in caso di sarcoma, potrebbe quindi essere applicata anche ad altri tipi di tumore perché, come afferma Vakoc“permette di prendere qualsiasi tumore e cercare il modo per farlo differenziare”.

Clicca qui per leggere i risultati originali dello studio. 

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Prevedere i tumori attraverso il genoma

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Mappare i geni, scoprire le loro mutazioni e capire quali di esse sono collegabili all’insorgenza del cancro. L’obiettivo è arrivare a una medicina sempre più personalizzata

Al Broad Institute di Cambrigdge (Boston), uno dei maggiori centri di ricerca genomica e biomedica al mondo, che lavora in partnership con il Massachussetts Institute of technolgy (Mit) e l’Università di Harvard, si lavora ogni giorno per un obiettivo: Esaminare il genoma per identificare i geni, individuare le loro mutazioni e comprendere quali di esse possano essere correlate all’insorgenza del cancro. Il tutto per contrastare i tumori in tutte le loro forme e in maniera sempre più efficace. Un lavoro enorme che si basa sull’utilizzo di oltre 2.000 linee cellulari tumorali, anche di neoplasie rarissime, e che produce un milione di dati al mese. 

A spiegare al meglio lo scopo è il direttore del Cancer Program al Broad Institute, William Sellers, in occasione di un media trip scientifico internazionale per visitare i laboratori dell’Istituto. “L’obiettivo è arrivare ad una medicina sempre più personalizzata – ha dichiarato Sellers. Una medicina che agisca sulla singola mutazione genica che caratterizza una determinata forma di cancro”. Ma per arrivare a questo, è richiesto un lungo lavoro.

“Il tessuto canceroso – spiega una giovane ricercatrice dell’Istituto mostrando le cellule di un tumore al fegato prelevate da un bambino di pochi mesi – viene coltivato in laboratorio. Successivamente ne viene analizzato il genoma e le mutazioni geniche presenti, ovvero i punti deboli che possono essere collegati al cancro, e una volta identificato il punto debole, che rappresenta il bersaglio da colpire, si iniziano a mettere a punto molecole terapeutiche ed a sperimentarle“.

Una sfida complessa, quella della ricerca di nuovi farmaci efficaci, che vede il Broad Institute avvalersi della collaborazione di varie istituzioni ed aziende, come il nuovo Bayer Research and innovation centre (Bric) di Cambridge (Boston). Risultati importanti stanno però arrivando, grazie ad un progetto, unico al mondo, avviato sempre dal Broad Institute: si tratta del progetto Prism-multiple cell line screening, un innovativo sistema che consente di eseguire in modo efficiente lo screening di migliaia di nuove molecole terapeutiche su più di 900 linee cellulari tumorali diverse, rappresentative di 45 sottotipi di tumore. Questa tecnologia si basa su un nuovo approccio noto come Dna barcoding, che analizza la diversità dei marcatori molecolari. Da quando avviato nel 2015, il progetto Prism ha permesso di condurre lo screening di oltre 30.000 molecole terapeutiche con successo. 

A chiarire ulteriormente il progetto è Matthew Meyerson, direttore di Cancer Genomics al Broad“Tutto parte, dunque, dall’identificazione e lo studio delle mutazioni geniche. Questo perché il cancro è una malattia del genoma, ma grazie alle ultime tecnologie oggi il genoma possiamo leggerlo, trovando bersagli molecolari su cui tarare terapie nuove. Attualmente – conclude Meyerson – abbiamo in corso delle sperimentazioni cliniche per il tumore del polmone con mutazione del gene Egfr, mutazione presente in circa il 20% dei tumori polmonari non a piccole cellule”

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Tumori tra gli under 50: aumento esponenziale negli ultimi 30 anni

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A partire dal 1990 il numero di nuovi casi di tumori negli under 50 ha avuto una crescita spaventosa e preoccupante. Un nuovo lavoro pubblicato su ‘Bmg Oncology’ ha indagato sulla questione

Nel corso degli ultimi tre decenni (dal 1990 al 2019), si è osservato un aumento del 79% nei nuovi casi di tumori diagnosticati tra le persone di età inferiore ai 50 anni. Questo notevole incremento è stato documentato a livello globale secondo una ricerca appena pubblicata su Bmj Oncology. Fino ad ora, la maggior parte degli studi osservazionali ha concentrato la propria attenzione sulle differenze regionali e nazionali, con pochi che hanno affrontato la questione da una prospettiva globale o investigato i fattori di rischio associati ai giovani adulti. Questi risultati emergono da uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Edimburgo, in Scozia, e della Zhejiang University School of Medicine di Hangzhou, in Cina

Nel tentativo di colmare queste lacune di conoscenza, gli autori dell’analisi hanno utilizzato i dati dello studio Global Burden of Disease 2019 relativi a 29 tipi di tumori in 204 paesi e regioni. Successivamente, hanno condotto un’analisi approfondita sull’incidenza (nuovi casi), i decessi, le implicazioni sulla salute (attesa di vita corretta per disabilità) e i fattori di rischio nelle persone di età compresa tra i 14 e i 49 anni al fine di stimare la variazione percentuale annuale tra il 1990 e il 2019. Nel 2019, si sono registrate complessivamente 3,26 milioni di nuove diagnosi di cancro tra gli individui di età inferiore ai 50 anni, rappresentando un aumento del 79% rispetto ai dati del 1990

Il triste primato va al cancro al seno

Nel complesso, il cancro al seno ha rappresentato il maggior numero di questi casi e dei decessi associati, rispettivamente 13,7 e 3,5/100.000 della popolazione mondiale. Ma i nuovi casi di cancro alla trachea e alla prostata a esordio precoce sono aumentati più rapidamente tra il 1990 e il 2019, con variazioni percentuali annue stimate rispettivamente del 2,28% e del 2,23%. All’estremità opposta dello spettro, il cancro al fegato a esordio precoce è diminuito di circa il 2,88% ogni anno. Nel corso del 2019, più di 1 milione di individui al di sotto dei 50 anni hanno perso la vita a causa del cancro, registrando un aumento del 28% rispetto ai dati del 1990.

Dopo il cancro al seno, le tipologie tumorali che hanno causato il maggior numero di decessi e le relative implicazioni sulla salute sono state quelle che coinvolgono la trachea, il polmone, lo stomaco e l’intestino. Tuttavia, è stato notato un aumento significativo dei decessi tra coloro che hanno sviluppato tumori ai reni o alle ovaie. In base alle tendenze osservate negli ultimi tre decenni, i ricercatori stimano che entro il 2030 il numero globale di nuovi casi di cancro a insorgenza precoce e i decessi correlati aumenteranno rispettivamente del 31% e del 21%, con i quarantenni che saranno particolarmente a rischio.

Mentre i fattori genetici possono avere un ruolo, i principali fattori di rischio associati ai tumori più comuni tra gli individui al di sotto dei 50 anni includono diete ricche di carne rossa e sale (e carenti di frutta e verdura), il consumo di alcol e tabacco, inattività fisica, sovrappeso e livelli elevati di zucchero nel sangue, secondo quanto indicato dai dati disponibili.

Limiti dello studio e cose da fare per arginare il problema

Tuttavia, è da sottolineare che ci sono alcune limitazioni nei risultati dello studio, tra cui la variabilità nella qualità dei dati dei registri dei tumori in diversi paesi, che potrebbe aver portato a sottostime e sottodiagnosi. Inoltre, non è ancora completamente chiaro in che misura lo screening e l’esposizione a fattori ambientali durante l’infanzia possano influenzare le tendenze osservate.

In un editoriale collegato all’analisi pubblicata, i medici del Centro per la sanità pubblica della Queen’s University di Belfast sottolineano che, sebbene i fattori legati allo stile di vita siano probabilmente rilevanti, stanno emergendo nuove aree di ricerca come l’uso di antibiotici, il microbioma intestinale, l’inquinamento dell’aria e le esposizioni durante l’infanzia. Essi enfatizzano l’urgente necessità di misure preventive, diagnosi precoci e sviluppo di strategie di trattamento ottimali per i tumori a insorgenza precoce, che dovrebbero affrontare le specifiche esigenze di terapia di supporto per i pazienti più giovani. Infine, concludono sottolineando la necessità urgente di partenariati, collaborazioni e distribuzione globale di risorse per raggiungere questi obiettivi.

Clicca qui per leggere l’estratto dello studio.

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