Messo a punto un nuovo dispositivo in grado di monitorare la funzione cardiaca in tempo reale. Il ‘cerotto’ è opera di un team di scienziati dell’Università della California
Un team di ricercatori dell’Università della California ha elaborato un nuovo dispositivo indossabile in grado di monitorare la funzione cardiaca in tempo reale. Lo strumento, che ha le dimensioni di un francobollo, può essere indossato per 24 ore, anche nel corso di allenamenti intensi. L’obiettivo è offrire la tecnologia degli ultrasuoni accessibile a un numero maggiore di persone, come spiegato da Sheng Xu, docente di Nanoingegneria e coordinatore del progetto. Allo stato attuale, infatti, gli ecocardiogrammi richiedono tecnici altamente preparati e un’attrezzatura ingombrante. “La tecnologia consente a tutti di utilizzare gli ultrasuoni in tempo reale” – dichiara l’autore principale del lavoro.
Grazie agli algoritmi di intelligenza artificiale, il dispositivo è in grado di misurare la quantità di sangue che il cuore sta pompando, aspetto fondamentale perché un cuore che non riesce a pompare abbastanza è l’origine della maggior parte delle malattie cardiovascolari. Le carenze della funzione cardiaca spesso si manifestano soltanto quando il corpo è in movimento e sotto sforzo. L’imaging cardiaco per verificare la salute a lungo termine del cuore, individua i problemi nel momento i cui si manifestano, ponendo le basi per una cura efficace.
Il dispositivo creato dai ricercatori californiani fornisce in tempo reale dati sull’attività di pompaggio del cuore, anche se la persona in quel momento sta facendo attività fisica. Nel particolare, il cerotto sfrutta gli ultrasuoni per catturare le immagini delle quattro camere del cuore da angolazioni diverse e analizza sottoinsiemi clinicamente rilevanti servendosi dell’Intelligenza Artificiale, il tutto in tempo reale. “Il monitoraggio continuo della funzione cardiaca è essenziale per rilevare le disfunzioni e gestire le malattie cardiovascolari nei pazienti chirurgici e critici – spiega Xu. Tuttavia, la misurazione in tempo reale della salute cardiovascolare è difficile con i metodi non invasivi esistenti”.
Dispositivo sicuro, non invasivo e di qualità
La nuova tecnologia indossabile sviluppata dal team californiano assicura un imaging cardiaco sicuro. Si tratta di un ‘cerotto’ non invasivo, di alta qualità e basato su immagini con elevato contrasto, risoluzione spaziale e temporale. “Riduce anche al minimo il disagio per il paziente e supera alcune limitazioni delle tecnologie non invasive come la CT e la PET, che espongono i pazienti alle radiazioni” – commenta Hao Huang, specializzando e membro del team di ricerca.
Il design unico del sensore lo rende ideale per i corpi in movimento. “Il dispositivo può essere applicato al torace senza causare disagi – spiega Xiaoxiang Gao, altro ricercatore coinvolto. Il nostro ‘cerotto’ fornisce un monitoraggio continuo della funzionalità cardiaca prima, durante e dopo un esercizio fisico intenso”.
Le malattie cardiache sono la principale causa di morte fra gli anziani. Purtroppo però stanno diventando sempre più diffuse anche fra i giovani a causa degli stili di vita scorretti. I segni delle malattie cardiache sono spesso transitori e imprevedibili, rendendo difficile una loro individuazione. Ne consegue il bisogno di tecnologie avanzate, non invasive ed efficaci che assicurino un imaging cardiaco in tempo reale, obiettivo raggiunto da questo dispositivo.
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Lo dimostra una ricerca irlandese secondo cui il rischio di subire un attacco cardiaco letale a inizio settimana è superiore del 13% rispetto al previsto
Gli infarti gravi e fatali sono più comuni di lunedì. A inizio settimana, infatti, il pericolo di subire un attacco al cuore letale è superiore del 13% rispetto al previsto. È quanto emerge da un nuovo studio irlandese, condotto dai medici del Belfast Health and Social Care Trust e del Royal College of Surgeons in Irlanda, e appena presentata dallaBritish Cardiovascular Society (BCS). La ricerca ha analizzato i dati di 10.528 pazienti ricoverati in ospedale tra il 2013 e il 2018 con il tipo più grave di attacco cardiaco: un infarto del miocardio con sopra-slivellamento del segmento segmento St (Stem) che si verifica quando un’arteria coronaria principale è completamente bloccata.
Anche Giovanni Esposito, presidente nazionale della Società Italiana di Cardiologia Interventistica – GISE, conferma la teoria della ricerca irlandese. “I ricercatori hanno riscontrato un picco di infarti Stemi all’inizio della settimana lavorativa, con una maggiore incidenza di lunedì. Un dato che possiamo riscontrare anche in Italia, peraltro – spiega l’esperto. In precedenti studi è stato evidenziato che a giocare un ruolo determinante sarebbe il ritmo circadiano che regola il ciclo del sonno e della veglia. In effetti, a inizio settimana si tendono ad associarsi tre importanti fattori di rischio cardiovascolare strettamente legati al ritmo circadiano: carenza di sonno, orari sballati e stress di inizio settimana. Si tratta di una sorta di jetlag sociale, che va ad aumentare il rischio di infarto nei soggetti più vulnerabili”.
Di lunedì, infatti, è facile che ‘sballino’ i cosiddetti orologi biologici periferici presenti in quasi tutti gli organi, cuore compreso. Lo stile di vita spesso diverso del fine settimana, frequente non solo nei più giovani, può inoltre portare un incremento della pressione così come di zuccheri e lipidi nel sangue. Un aumento degli accessi per infarto potenzialmente letale rende fondamentale che la ricerca continui a far luce su come e perché si verifica questo fenomeno.
“Ridurre questo rischio non è così difficile – spiega ancora Esposito. Rispettare le buone regole di vita quotidiana, alimentari e di attività fisica, assumere le terapie corrette agli orari appropriati, e magari prendere l’inizio della giornata e della settimana con calma, cercando di ridurre almeno lo stress. Questo studio si aggiunge alle già numerose evidenze sulla tempistica degli attacchi di cuore particolarmente gravi. Ma ora dobbiamo comprendere meglio quali siano i fattori che rendono determinati giorni della settimana più a rischio. Questo potrebbe aiutare i medici a mettere in atto strategie e approcci di intervento in grado di salvare più vite in futuro”.
La Cardiomiopatia Artimogena è una malattia genetica che colpisce soprattutto i giovani e gli atleti. Una nuova ricerca ha identificato una potenziale cura
La Cardiomiopatia Aritmogena (ACM), è una malattia genetica che colpisce soprattutto giovani e atleti. Essa si manifesta con una progressiva disfunzione cardiaca e aritmia e può provocare infarto, spesso anche mortale. È la tragica storia di giovani atleti come Davide astori o Piermario Morosini, solo per citare i casi più noti. Ora però arrivano importanti novità. I farmaci comunemente utilizzati per modulare il calcio potrebbero essere efficaci nella cura della patologia. Lo rivela uno studio coordinato dal Centro Cardiologico Monzino e finanziato dalla Fondazione ‘Giacomo Ponzone’.
A oggi, non esiste una cura per l’ACM, ma solo dei metodi di ‘supporto’ (come l’impianto nel paziente del defibrillatore) che impediscono alle aritmie di causare infarto e diventare letali. Da qui l’importanza di capire il meccanismo che altera le cellule del cuore ‘impazzito’ per poter intervenire all’origine della patologia. Il team coordinato dal Laboratorio di Biologia Vascolare e Medicina Rigenerativa del Monzino e formato da ricercatori di diversi centri, quali l’Università di Pavia, l’Università di Milano-Bicocca e la New York Univerisity, si è concentrato sullo studio del disequilibrio del calcio, che è un meccanismo noto di scompenso cardiaco, ad oggi poco correlato all’ACM.
Una disfunzione nella regolazione del contenuto di calcio nella cellula, dimostrata principalmente in modelli animali, è stata descritta solo come meccanismo che influisce sul rischio aritmico nei cardiomiociti dei cuori malati di ACM. Il cuore è infatti caratterizzato da due tipi principali di cellule: i cardiomiociti, che adempiono ad un ruolo funzionale, di contrattilità, e le cellule stromali, che superano i cardiomiociti in numero nel cuore e che fungono da “supporto”. I ricercatori hanno analizzato la gestione del calcio nelle cellule stromali, in cui non era ancora noto se questi meccanismi influenzassero il comportamento cellulare nel contesto ACM.
Il commento degli autori
“Il nostro studio dimostra per la prima volta che anche le cellule stromali da paziente con ACM mostrano alterazioni spontanee nei livelli di calcio rispetto alle cellule di un soggetto sano – spiega Elena Sommariva, coautrice della pubblicazione. La deregolazione della normale omeostasi del calcio contribuisce all’aumentata capacità di differenziamento in adipociti (cellule adipose) e miofibroblasti (responsabili della fibrosi) delle cellule stromali cardiache. Tutto ciò provoca un rimodellamento anomalo del tessuto cardiaco, caratteristico dei cuori con ACM. Da un alto infatti – prosegue l’esperta – un cuore ‘grasso’ cioè ricco di cellule adipose, non conduce gli stimoli elettrici e dall’altro un cuore ‘fibrotico’ si contrae meno. Il differenziamento anomalo delle stromali ACM era già stato osservato in studi precedenti, ma non ne conoscevamo il meccanismo. Ora abbiamo capito che alla base di questo processo patologico c’è l’alterazione dei livelli di calcio, aprendo la via ad un possibile approccio terapeutico”
“Con questa ricerca abbiamo fornito una prova di concetto che dei farmaci modulatori del calcio potrebbero essere efficaci contro la Cardiomiopatia Aritmogena – commenta Angela Serena Maione, ricercatrice Monzino e prima firmataria del lavoro. Agendo farmacologicamente sulle proteine che regolano il contenuto di calcio nelle cellule stromali, abbiamo ottenuto una riduzione del differenziamento fibro-adipogenico. In particolare, abbiamo dimostrato l’efficacia del farmaco Flecainide, già in uso in clinica per il trattamento delle aritmie (e quindi attivo sui cardiomiociti), sul differenziamento fibro-adipogenico. Complessivamente, i nostri risultati estendono le conoscenze sulla disregolazione del calcio nella cardiomiopatia aritmogena al compartimento cellulare stromale, come meccanismo causativo delle loro alterazioni. Dimostrano inoltre una nuova modalità d’azione della Flecainide su un nuovo bersaglio terapeutico”.
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Lo dimostra uno studio pubblicato sullo European Heart Journal e condotto da un team del Karolinska Institutet di Stoccolma
Somministrare grelina nei pazienti affetti da scompenso cardiaco sembra migliorare la funzione cardiaca. Ne parla uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma e pubblicato sulla nota rivista ‘European Heart Journal’. A guidare il team di esperti è stato Lars Lund, principale autore del lavoro, che ha rilasciato una serie di dichiarazioni in merito.
“L’insufficienza cardiaca cronica con frazione di eiezione ridotta (HFrEF) – spiega Lund – è una patologia che progredisce gradualmente verso un peggioramento della qualità della vita e della capacità funzionale, con frequenti ricoveri e alto rischio di morte”. La grelina viene generalmente rilasciata dallo stomaco in risposta al digiuno e alla perdita di peso. Essa, è attivata da un’acilazione aminoacidica e viene degradata con un’emivita plasmatica. L’acil-grelina lega il recettore secretagogo dell’ormone della crescita (GHSR) e agisce come sitmolante dell’appetito ad azione centrale, agendo su recettori ampiamente distribuiti nel muscolo cardiaco, scheletrico e nell’endotelio.
Il gruppo di ricercatori ha arruolato 30 pazienti con insufficienza cardiaca al fine di verificare se la grelina fosse un bersaglio promettente per migliorare la funzione cardiaca. I volontari sono stati dunque randomizzati a ricevere grelina o placebo per via endovenosa nell’arco di 120 minuti. “Al termine delle due ore di trattamento – spiega ancora Lund – abbiamo scoperto che il volume di sangue pompato dal cuore, in un minuto aumentava in media del 28% nel gruppo grelina. La frequenza cardiaca, invece, rimaneva invariata o addirittura rallentava leggermente. Nei pazienti con HFrEF, 120 minuti di acil-grelina endovena rispetto al placebo hanno migliorato la contrattilità e la gittata cardiaca.Il tutto senza causare ipotensione, aritmie, tachicardia o ischemia. Questi dati preliminari su piccola casistica aprono la strada ad ulteriori studi clinici più ampi. L’obiettivo è quello di approfondire l’efficacia e la tollerabilità della grelina in campo cardiologico”.
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