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Il consumo di cannabis è nemico del cuore: il nuovo studio

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Secondo un lavoro presentato al convegno annuale dell’American College of Cardiology, un uso quotidiano di cannabis aumenta del 34% il rischio di coronaropatie

La cannabis ci va pesante con il cuore. Uno dei più ampi studi mai condotti per verificare la correlazione fra l’utilizzo di marijuana e le conseguenze cardiovascolari dimostra che consumarla ogni giorno aumenta del 34% il rischio di sviluppare coronaropatie. L’impiego più sporadico (mensile o settimanale), lo accresce invece in maniera non significativa. La ricerca in questione è stata appena presentata al convegno annuale dell’American College of Cardiology svoltosi dal 4 al 6 marzo a New Orleans. 

Lo studio, coordinato dall’Università di Stanford, California, ha analizzato i dati di 175.000 persone in 340 centri statunitensi. I ricercatori hanno valutato la correlazione fra l’utilizzo di prodotti derivati dalla cannabis e la frequenza di comparsa di coronaropatie negli anni successivi. Da qui, hanno scoperto che esiste un effetto dose-risposta per cui all’aumentare dell’impiego di marijuana sale la probabilità di problemi cardiovascolari.

Il commento del Presidente della Società Italiana di Cardiologia sullo studio americano

“I risultati dell’indagine indicano che un utilizzo quotidiano di cannabis aumenti del 34% il rischio di coronaropatie – ha dichiarato il presidente della Società Italiana di Cardiologia (Sic), Pasquale Perrone FilardiQuesti dati dimostrano che esistono danni correlati all’impiego di questa sostanza. Danni non ancora sufficientemente approfonditi, che è invece opportuno conoscere. Sappiamo che con le altre droghe, per esempio la cocaina – prosegue Filardi – i danni cardiovascolari sono frequenti e gravi, al punto da aver comportato un incremento significativo del numero di infarti in persone molto giovani, anche con meno di 40 anni”. 

“Queste nuove evidenze preoccupano, perché indicano che qualcosa di analogo potrebbe avvenire con l’uso di droghe ancora più diffuse come la marijuana o l’hashish, derivati dalla cannabis. Del resto – spiega ancora l’esperto – sappiamo che in cuore e vasi ci sono recettori per il tetraidrocannabinolo. Il tetraidrocannabinolo è il mediatore degli effetti psicoattivi della cannabis, che proprio interagendo con tali recettori sembra in grado di indurre infiammazione locale e quindi favorire la comparsa di placche aterosclerotiche che possono provocare coronaropatie”.

Un’ulteriore analisi

Lo studio statunitense ha anche realizzato un’analisi genomica dei partecipanti per verificare se vi fosse un’associazione fra tratti genetici che predispongano all’uso problematico di cannabis e alle malattie cardiovascolari. A commentare tale presunta associazione è Ciro Indolfi, past president della Sic. 

“I dati dimsotrano che esiste un’associazione causale – dichiara Indolfi. Le persone geneticamente predisposte a un disturbo da un abuso di cannabis, in cui il consumo è quotidiano, hanno una maggiore probabilità di coronaropatie, a prescindere dall’impiego concomitante di tabacco e/o alcol”.

“Di recente – prosegue Indolfi – erano già emerse correlazioni analoghe con un maggior rischio di problemi cardiovascolari. Problemi come fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, ictus ed embolia polmonare. Inoltre esistono anche importanti dati che indicano come l’utilizzo prolungato di prodotti della cannabis si associ a un maggior rischio di aterosclerosi a 10 anni. Questo, soprattutto per gli uomini. Tutto ciò indica la necessità di studiare meglio i meccanismi che potrebbero sottostare al danno cardiovascolare da cannabis”. 

Fonti: Congresso 2023 ACC.
           Società Italiana Cardiologia – Sic.

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Un modello matematico del cuore rivoluzionerà la ricerca cardiaca

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Un noto Centro italiano ha sviluppato un modello matematico e computazionale del cuore umano per lo studio delle patologie coronariche

Il Politecnico di Milano ha sviluppato un modello matematico e computazionale del cuore umano per lo studio delle patologie coronariche. Questo modello è stato il fulcro di una ricerca pubblicata su Nature Scientific Reports, realizzata in collaborazione tra i laboratori Mox del Dipartimento di Matematica e LaBS del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica «Giulio Natta» del Politecnico di Milano. L’iHearth Simulator, risultato di questo progetto, si distingue per la sua capacità di integrare in un’unica piattaforma i complessi processi dell’elettromeccanica, dell’emodinamica e della perfusione cardiaca. Questo livello di integrazione consente una simulazione senza precedenti delle funzionalità cardiache e delle relative patologie con una precisione biofisica straordinaria.

Un aspetto innovativo di questo studio è l’applicazione del modello alle patologie coronariche, come ischemie e infarto miocardico acuto. Grazie all’iHearth Simulator, i ricercatori possono studiare queste malattie in dettaglio, aprendo la strada a nuove terapie. In collaborazione con l’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e l’Humanitas Research Hospital di Milano, il progetto iHearth ha sviluppato modelli matematici per comprendere le aritmie cardiache, come la tachicardia ventricolare o la fibrillazione atriale, identificando fattori chiave per la loro insorgenza e mantenimento. La matematica cardiaca ha dimostrato di supportare lo studio elettrofisiologico nella localizzazione delle zone di intervento sulla parete del cuore

Sono in sviluppo algoritmi più veloci per analisi in tempo reale, accelerando le decisioni intervento. In collaborazione con l’Ospedale Sacco di Milano, un modello guida i cardiochirurghi nella rimozione del setto interventricolare per la cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. La simulazione matematica supporta la fase preoperatoria. Inoltre, con l’Ospedale S. Maria del Carmine di Rovereto (TN), si è creato uno strumento matematico per ottimizzare la terapia di risincronizzazione cardiaca, riducendo i tempi di mappatura e guidando il posizionamento del catetere per pazienti scompensati.

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Obesità: in 20 anni triplicate le morti per malattie al cuore

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L’obesità è sempre più un problema globale di salute pubblica ed è un fattore di rischio significativo per le malattie cardiovascolari

Tra il 1999 e il 2020 sono triplicati i decessi per le malattie cardiache legati all’obesità. A rivelarlo è una nuova ricerca pubblicata sul Journal of the American Heart Association su dati degli Stati Uniti d’America. “Il numero di persone con obesità è in aumento in tutto il mondo – ha dichiarato l’autrice principale dello studio, Zahra Raisi-Estabragh del William Harvey Research Institute di Londra. Il nostro studio è il primo a dimostrare che questo crescente peso dell’obesità si traduce in un aumento dei decessi per malattie cardiache”.

Il problema dell’obesità diventa sempre più una questione globale di salute pubblica ed è un fattore di rischio significativo per le malattie cardiovascolari. Attualmente colpisce infatti circa il 42% della popolazione degli Usa, con un aumento di quasi il 10% rispetto al decennio precedente. I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti dal 1999 al 2020 su 281.135 decessi in cui l’obesità è stata registrata come fattore contributivo nel database delle ‘Cause Multiple di Morte’, che include dati sulla mortalità e sulla popolazione degli States. 

Ed ecco i risultati. In generale, le morti per malattie cardiovascolari correlate all’obesità sono triplicate da 2,2 per 100.000 persone a 6.6 per 100.000 tra il 1999 e il 2020. Per quanto riguarda il genere, tra i decessi il 43,6% riguardava donne. Inoltre, le morti in questione erano più elevate tra gli individui di colore rispetto a qualsiasi altro gruppo razziale, con una cifra di 6,7 per 100.000 persone, seguiti dagli adulti di origine indiana americana o nativa dell’Alaska con 3,8 per 100.000.

Clicca qui per leggere l’estratto originale della ricerca americana

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Cuore: dopo la menopausa battito irregolare per una donna su quattro

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Lo riporta una nuova ricerca pubblicata sul Journal of the American Heart Association

Dopo la menopausa, 1 donna su 4 può sviluppare ritmo cardiaco irregolare, noto come fibrillazione atriale. Eventi di vita stressanti e insonnia rappresentano i principali fattori che contribuiscono allo sviluppo di questo disturbo del cuore. Il tutto emerge da una nuova ricerca pubblicata sul Journal of the American Heart Association

La fibrillazione atriale può portare a coaguli di sangue, ictus, insufficienza cardiaca o altre complicazioni cardiovascolari. “Nella mia pratica cardiologica generale, vedo molte donne in menopausa con una salute fisica perfetta che lottano con scarso sonno e sentimenti o esperienze emotive psicologiche negative, che ora sappiamo potrebbero metterle a rischio di sviluppare fibrillazione atriale – rileva l’autrice principale dello studio Susan X. Zhao, cardiologa del Santa Clara Valle Medical Center di San Jose, in California. Credo fermamente che – ha proseguito l’esperta – oltre all’età, ai fattori genetici e ad altri fattori di rischio legati alla salute del cuore, l’aspetto psico-sociale sia il pezzo mancante del puzzle della genesi della fibrillazione atriale“.

I ricercatori hanno esaminato i dati di oltre 83.000 questionari di donne di età compresa tra 50 e 79 anni della Women’s Health Initiative, un importante studio statunitense. Ai partecipanti sono state poste una serie di domande su temi come eventi stressanti della vita, senso di ottimismo, supporto sociale e insonnia. Durante circa un decennio di follow-up, lo studio ha rilevato che circa il 25% delle donne ha sviluppato fibrillazione atriale. Per ogni punto aggiuntivo sulla scala dell’insonnia, esisteva una probabilità maggiore del 4% di sviluppare fibrillazione atriale. Allo stesso modo, per ogni punto aggiuntivo sulla scala degli eventi stressanti della vita, vi era una probabilità maggiore del 2% di andarvi incontro.

Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio. 

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