Secondo appuntamento con ‘Conoscere l’Oncologia’, il format dedicato agli approfondimenti oncologici. Questa volta insieme al Dott. Andrea Pietro Sponghini – Responsabile degenza della S.C.D.U. di Oncologia presso l’A.O.U. ‘Maggiore della Carità’ di Novara trattiamo di Counselling in Oncologia
‘Conoscere l’Oncologia’ è il nuovo format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici. Per farlo, intervisteremo diversi specialisti provenienti da tutta Italia, trattando numerosi temi riguardanti l’oncologia. Il tema affrontato in questo appuntamento è il Counselling in Oncologia ed è per questo che Italian Medical News ha intervistato il Dott. Andrea Pietro Sponghini – Responsabile degenza della S.C.D.U. di Oncologia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria ‘Maggiore della Carità’ di Novara. L’esperto Dottore ha risposto in maniera chiara ed esaustiva ad una serie di quesiti posti.
Dottore, prima di entrare nel dettaglio oncologico, può dirci cosa indica il termine counseling?
“Il conuselling è una metodica che nasce in America da un noto psicologo di nome Carl Rogers intorno agli anni ’70. Si tratta di un processo di apprendimento interattivo fra il counselor e il cliente: parlo di cliente perché il counselling si usa in tanti ambienti, non solo in ambito medico. Parliamo di uno strumento che serve per affrontare problematiche di vario genere: sociali, economiche, emotive e naturalmente anche mediche”.
“A differenza di un percorso psicologico, il counselling prevede un periodo più ristretto che va dagli 8 ai 12 incontri. Parliamo dunque di un percorso ben circoscritto, appunto perché non è una psicoterapia. A livello sanitario e ospedaliero sono tante le tipologie di counselling, e tra i diversi tipi c’è quello in oncologia. Nel paziente oncologico è fondamentale in una discussione relativa alle difficoltà delle terapie ma anche all’eventuale accompagnamento alla morte”.
“Ma allora qual è il motivo fondamentale del counselling? È quello di migliorare la situazione del paziente adattandolo alle risorse; in altri termini, deve essere un rapporto che punti a far migliorare la qualità di vita di un paziente. Il mezzo principale del counselling è il colloquio, il quale deve essere empatico, attivo, utilizzando sia il linguaggio verbale che quello non verbale, attraverso giusti atteggiamenti. L’attenzione si spinge naturalmente sulla persona in questione, ma in particolare anche sulle risorse, più che sulla malattia. Deve essere uno strumento per offrire al paziente la consapevolezza di affrontare un certo tipo di processo”.
La cura dell’uomo
Quanto è importante un buon counselling per il benessere psicologico, eventualmente anche psicofisico, del paziente oncologico?
“È importantissimo perché parliamo di persone che, in momenti magari di benessere della propria vita, si trovano a combattere con una patologia grave come quella oncologica, a seconda dei vari livelli e gradi della malattia. È chiaro che il poter affrontare, condividere ed essere al centro di un processo non solo strettamente medico ma anche umano, è fondamentale”.
“Tu puoi curare la malattia ma è altrettanto importante curare l’uomo. Il paziente può ricevere anche la terapia migliore, ma se si sente abbandonato e incompreso diventa più difficile superare la patologia. Il counselling diventa quindi uno strumento molto importante”.
Quali sono le situazioni problematiche e psicologiche che avvicinano i pazienti oncologici, e i loro familiari anche, al counselling?
“Bisogna cercare di comprendere che il cancro invade indubbiamente il paziente in primis, ma anche le famiglie poiché sono il contorno vivente di chi è affetto da una patologia importante come quella oncologica. È chiaro che se parliamo di cancro, parliamo di tante situazioni diverse. Non bisogna pensare che solo il paziente che presenta uno stadio più grave di una malattia abbia bisogno del counselling. Anche un paziente giovane, magari una giovane donna che ha appena conosciuto la malattia, ha molto bisogno di aiuto, di comprensione, di consapevolezza. È evidente che più il caso è grave più la richiesta di aiuto aumenta”.
“Spesso gli strumenti mancano agli operatori”
Quanto è difficile per il professionista attuare una corretta relazione di counselling con il paziente, soprattutto per quanto riguarda i casi i più delicati?
“Penso che esistano delle figure mediche, dei professionisti, che per inclinazione e per carattere empatico siano predisposti ad attuare un counselling spontaneo, vero. In ogni caso è un qualcosa di importantissimo perché il paziente è una persona nella sua interezza e anche nel suo contorno. Ovviamente non è facile poiché spesso gli strumenti mancano agli stessi operatori; magari perché non sono stati trasmessi. Ma possono mancare anche le strutture al fianco del professionista affinché si concretizzi questo tipo di attività. Il nostro Paese è grande, i centri sono tantissimi; alcuni sono di eccellenza e quindi attenti sia alla parte strettamente medica sia quella comunicativa e di aiuto psicologico”.
“Purtroppo però non è cosi in tutta Italia: io spesso, girando, mi confronto e noto delle realtà ancora molto indietro; magari non per mera volontà ma per vera difficoltà. In definitiva è difficile molte volte realizzare un buon counselling proprio perché la struttura dove si lavora non presenta mezzi adeguati. Ricordiamoci pure che in molti centri, per via di problemi noti come affollamento di pazienti o liste di attesa molto lunghe, lo spazio relazionale è spesso messo in crisi da tempistiche insufficienti”.
“Ai pazienti suggerisco il cercare di esprimersi”
Che suggerimento si sente di dare ai pazienti oncologici e perché no anche ai colleghi più giovani e meno esperti, in tema di counselling?
“Ai colleghi e ai pazienti sono due messaggi vicini e differenti. Noi specialisti lavoriamo e siamo a disposizione dei nostri pazienti nel rispetto dei tempi. Nel mondo oncologico palliativista l’ascolto e l’attenzione per la cura umana e non solo della terapia, sono fondamentali. L’uomo che vive il cancro vive una crisi molto difficile. Ai pazienti suggerisco il cercare di esprimersi e di chiedere aiuti concreti che esistono, anche in termini di counselling. Aiuti che, anche se non sono disponibili in tutti i centri si possono trovare e devono essere ricercati dai pazienti stessi. Questo vale per qualsiasi fase della malattia. Per quanto riguarda i professionisti più giovani penso che l’università dovrebbe favorire la preparazione e il senso della comprensione ai colleghi”.
“Voglio ribadire un concetto: l’uomo non è solo una malattia, ma è una persona con una malattia. I tecnicismi, le scoperte mediche, che sono sempre più avanzate, per fortuna, devono essere sempre accompagnate alla componente umana. Non è una cosa così scontata e chi non comprende questo è perché forse non si è mai trovato dall’altra parte”.
Vuole aggiungere qualcos’altro?
“Penso che, grazie anche a interviste come questa, stiamo andando verso una direzione di sensibilizzazione. Occasioni come queste sono fondamentali per far capire che c’è molto di più della mera cura medica e c’è la possibilità di aiutarsi. Ricordiamoci infine che il messaggio di aiuto e di counselling esiste anche verso il medico, oltre che verso il paziente. Anche il medico ha molte difficoltà che quotidianamente affronta nella cura e quindi anche lui ha bisogno di essere inserito in un sistema di protezione psicologico. Perché anche il medico, durante l’intensità del suo lavoro, ha indubbiamente momenti di crisi”.
L’intervista è stata elaborata con il contributo di
Continuano le tappe di ‘Conoscere l’Oncologia’, il programma dedicato all’approfondimento delle tematiche oncologiche. In questa occasione al centro dell’intervista è il Dott. Davide Bimbatti che ha esaminato dettagliatamente il panorama del tumore vescicale
‘Conoscere l’Oncologia’ rappresenta il format di Italian Medical News dedicato all’analisi approfondita delle tematiche oncologiche. Attraverso interviste a specialisti provenienti da ogni angolo d’Italia, affronteremo una vasta gamma di argomenti legati al campo dell’oncologia. Il tumore alla vescica consiste nella trasformazione in senso maligno delle cellule che rivestono la superficie interna della vescica stessa, ovvero l’organo che raccoglie l’urina filtrata dai reni, prima di essere eliminata dal corpo. Il cancro alla vescica rappresenta circa il 3% di tutti i tumori e, in urologia, è secondo solo al tumore della prostata. Per saperne di più abbiamo deciso di intervistare un esperto del settore: il Dott. Davide Bimbatti, Dirigente Medico Oncologo presso l’Istituto Oncologico Veneto IRCCS di Padova. Le sue risposte esaustive hanno fornito chiarezza a tutte le domande poste durante l’intervista.
Il tumore alla vescica spiegato in linee generali
Dottore, Può introdurci il tema del tumore alla vescica spiegandoci in poche battute in cosa consiste?
“Il tumore della vescica rappresenta, purtroppo, una delle dieci neoplasie più frequenti a livello generale. Si tratta di un tumore che cresce all’interno del sistema urinario; quindi la vescica in primis anche se bisogna stare attenti a tumori delle altre zone urinarie come l’uretere o l’uretra. È un tipo di cancro che può essere facilmente gestibile quando viene riscontrato nelle fasi iniziali; al contrario è molto difficile da trattare in fase avanzata. Esso ha una prevalenza forte nei maschi, specie gli anziani, ed ha un forte fattore di predisposizione che è il fumo; I fumatori sono infatti decisamente a più alto rischio rispetto ai non fumatori. Infine, se avanzato, parliamo di una tipologia di cancro che presenta un’elevata mortalità; diventa quindi fondamentale diagnosticarla in fase precoce”.
È corretto affermare che il carcinoma a cellule di transizione rappresenta il tumore alla vescica più presente?
“È assolutamente corretto. Rappresenta infatti più del 90% dei tipi di tumore vescicale.Sostanzialmente si tratta dell’unico vero tumore della vescica; al suo interno può presentare delle sotto-varianti come il plasmocitoide o il micropapillare, ma sono in ogni caso delle componenti del carcinoma uroteliale che è il principale indiscusso. In qualche raro caso ci sono altri due tipi di tumore: quello squamoso, fortemente correlato all’età e al fumo, e l’adenocarcinoma che è più frequente in popolazioni come gli asiatici o gli egizi che hanno altri fattori predisponenti rispetto agli europei. In ogni caso parliamo spesso di un tumore univoco e molto semplice da categorizzare”.
Sintomi e fattori di rischio
Quali sono i principali sintomi che devono far scattare un campanello d’allarme?
“Sfortunatamente, questa rappresenta la sfida principale nel caso del tumore alla vescica. Molto frequentemente, si tratta di un cancro silenzioso. Il suo primo manifestarsi è spesso evidenziato dalla presenza di sangue nelle urine, anche se questo sintomo deve essere valutato attentamente, considerando che può presentarsi solo occasionalmente e scomparire nelle settimane successive. Questa variabilità rende spesso il sintomo sottostimato, specialmente nelle donne. Un altro sintomo è l’irritazione della vescica, quindi un conseguente aumento delle volte in cui si va ad urinare, dolore in occasione dell’atto della minzione, fastidi e prurito. Sono sintomi anche questi da non sottovalutare perché spesso vengono scambiati come conseguenza di una semplice cistite. Altre sintomatologie, come il blocco urinario, sono sinonimo purtroppo di una patologia già avanzata. In definitiva, parliamo dunque di un cancro spesso silente e di un sintomo, quello del sangue nelle urine, spesso molto sottovalutato”.
Oltre al fumo, quali sono i principali fattori di rischio?
“Come avviene per molte neoplasie, lo stile di vita costituisce un fattore di rischio significativo. Una dieta ricca di grassi, la mancanza di attività fisica, e l’obesità sono tutti fattori predisponenti che generalmente favoriscono lo sviluppo dei tumori. Nel caso del tumore alla vescica, tuttavia, il fattore più preponderante risulta essere il tabagismo, al punto da costituire il principale e unico elemento da tenere sotto stretta osservazione. Questa situazione è quasi paragonabile a quanto avviene nel tumore polmonare”.
Le opzione terapeutiche
Passiamo ora ad un discorso terapeutico. Quali sono le attuali possibilità di trattamento per il tumore limitato della vescica? “Come accennato, raggiungere una diagnosi precoce è di vitale importanza, specialmente se il tumore si sviluppa nella zona più superficiale della vescica e le cellule tumorali mostrano una limitata invasività. In tali casi, è possibile trattarle mediante interventi mirati alla rimozione di piccole aree tumorali o alla prevenzione di ulteriore diffusione. Le opzioni terapeutiche in queste situazioni possono comprendere l’utilizzo di immunoterapia tradizionale o l’instillazione di altri agenti. La tempestività della diagnosi è cruciale in questo contesto”.
“In genere, l’urologo gestisce l’intero percorso terapeutico relativo alla fase iniziale. Le instillazioni, di solito settimanali e successivamente mensili, mostrano elevati tassi di guarigione. Tuttavia, nel corso del tempo, si verificano frequentemente casi di ricorrenza della malattia. Pertanto, i controlli urologici regolari sono fondamentali per coloro che hanno intrapreso questo percorso. Inoltre diversi studi sperimentali sono in corso per associare trattamenti topici a quelli sistemici, cercando quindi combinazioni di vie terapeutiche per raggiungere la guarigione completa delle forme iniziali. In aggiunta, l’evoluzione tecnologica continua a introdurre significative innovazioni; alcuni approcci cercano di sviluppare piccole modifiche tecniche per garantire un’infusione continua e meno traumatica del farmaco all’interno della vescica.”
Cosa può dirci invece in merito a eventuali progressi nella fase avanzata di questa tipologia di cancro?
”Purtroppo, come accennato in precedenza, la progressione della malattia costituisce ancora una sfida significativa. Le prospettive di guarigione per un cancro alla vescica metastatico sono oggettivamente ridotte, e le probabilità di ottenere prolungate sopravvivenze con la malattia avanzata sono ancora troppo basse per suscitare soddisfazione. La colonna vertebrale del trattamento è sempre stata rappresentata dalla chemioterapia; recentemente, è stata introdotta anche l’immunoterapia, che in alcuni individui riesce a mantenere la malattia sotto controllo, ma purtroppo ciò si applica solo a una minoranza di pazienti”.
“Negli ultimi anni, e nel corso di quest’anno in Italia, è stato introdotto un farmaco a bersaglio molecolare in grado di veicolare un agente chemioterapico direttamente alle cellule tumorali, dove si lega attraverso un recettore noto come mectina. Questo farmaco rappresenta senza dubbio una risorsa terapeutica aggiuntiva, sebbene al momento non abbia ancora aumentato le probabilità di guarigione, ma piuttosto di estendere la sopravvivenza. Stiamo anche esplorando altri farmaci a bersaglio molecolare, alcuni dei quali si trovano attualmente in fase di studio e mostrano promettenti risultati nel mirare specifiche mutazioni delle cellule tumorali e nell’attaccare in modo mirato le cellule portatrici. Tutti questi progressi in ambito di cancro alla vescica sono molto recenti e pieni di promesse, ma dovranno ancora tradursi in un aumento significativo delle possibilità di sopravvivenza e guarigione. In ogni caso, fino a oggi, il cancro alla vescica rappresenta uno dei tipi di tumore più spaventosi quando è in uno stadio avanzato“.
Il commento finale dello specialista
Vuole aggiungere dell’altro?
“Certo, assolutamente. Ciò che vorrei enfatizzare è la necessità di dedicare maggiore attenzione alla prevenzione, con particolare riguardo al fumo, un’abitudine dannosa che costituisce il principale fattore di rischio per questo tipo di tumore. Allo stesso tempo, è fondamentale non trascurare mai i sintomi, specialmente per coloro che fumano. Effettuare diagnosi precoci è essenziale, poiché può fare la differenza tra la guarigione e la non guarigione. Pertanto, non bisogna mai sottovalutare il sintomo di sangue nelle urine, soprattutto se associato ad altri fastidi. È sempre consigliabile sottoporsi a una visita urologica tempestiva, poiché il tempismo gioca un ruolo cruciale nel determinare l’esito della malattia”.
“Inoltre, desidero rivolgere un messaggio alle donne: nonostante il cancro alla vescica sia meno diffuso nel sesso femminile, quando si manifesta viene spesso misconosciuto a causa di ritrosia nel discuterne e di una presunta attribuzione a problematiche ginecologiche. Questi fattori contribuiscono a ritardi nella diagnosi. Pertanto, invito le donne a non sottovalutare alcun sintomo e a prestare attenzione al problema in generale“.
La Dott.ssa Francesca Sgandurra, Coordinatore di Ricerca Clinica in Oncologia, espone le caratteristiche principali di una figura sempre più centrale nel mondo sanitario
Il Coordinatore di Ricerca Clinica (CRC), ai più noto con il nome di Study Coordinator o come Data Manager, è una figura fondamentale che gestisce varie fasi della conduzione di uno studio clinico. È un elemento irrinunciabile per qualsiasi struttura sanitaria che voglia partecipare e promuovere studi clinici. Per saperne di più sulla ricerca clinica, la redazione di Italian Medical News ha deciso di intervistare una figura esperta del settore: la Dott.ssa Francesca Sgandurra, Study Coordinator presso l’U.O.C. di Oncologia Medica dell’Ospedale “S. Vincenzo” di Taormina (ME). La Dottoressa Sgandurra ha quindi risposto lucidamente ad una serie di quesiti posti.
Le molteplici funzioni del CRC
Dottoressa, qual è il ruolo principale di un Coordinatore di Ricerca Clinica/Data Manager e quali competenze ritiene siano fondamentali per svolgere questo lavoro in modo efficace?
“Il Coordinatore di Ricerca Clinica (CRC) è una figura che si occupa di coordinare tutte quelle professionalità che ruotano intorno al protocollo di ricerca. Il CRC è infatti un punto di riferimento per il centro clinico, per lo staff sperimentale e per tutte le figure coinvolte, comprese quelle esterne alla struttura ospedaliera. Il Coordinatore di Ricerca Clinica inoltre è conosciuto anche con altre terminologie come ad esempio quella di Study Coordinator o Data Manager”.
“La nostra è una professione che svolge svariate funzioni. Innanzitutto, quelle gestionali-amministrative di uno studio, a partire dalla compilazione del cosiddetto questionario di fattibilità, ovvero un format fornito dallo Sponsor finalizzato a valutare l’adeguatezza o meno del centro clinico a svolgere il protocollo. Esistono poi altre attività amministrative di cui lo Study Coordinator si occupa come l’attivazione e la chiusura del protocollo, nonché la programmazione delle visite di monitoraggio da parte di Sponsor e CRO (Contract Research Organization)”.
“C’è poi tutta la fase relativa alla gestione della documentazione sia dello staff sperimentale che dei dati clinici del paziente. Il CRC si occupa anche di gestire tutte le facility del centro clinico, ovvero garantire la qualità di tutte le apparecchiature utilizzate durate la conduzione del protocollo, reperendo certificati di accreditamento e calibrazione etc. Ovviamente è presente tra i compiti anche la gestione di tutte le comunicazioni, verbali e scritte, con tutte le personalità coinvolte: dai medici agli Sponsor, dalle autorità regolatorie ai pazienti. Un’altra attività fondamentale riguarda la gestione del farmaco sperimentale e dei kit di laboratorio per la revisione centralizzata dei campioni biologici”.
“Per quanto riguarda invece le competenze personali di questa figura, sicuramente il CRC deve avere un background accademico-scientifico oltre a possedere una rigida metodica organizzativa. Allo stesso tempo deve essere una persona elastica e versatile ed avere buone capacità relazionali e interpersonali”.
L’importanza di una corretta gestione del tempo
Come gestisce la complessità e le sfide quotidiane che possono sorgere durante la gestione di uno studio clinico?
“Il CRC deve essere abile nel gestire il tempo e le priorità. Deve lavorare costantemente aggiornando la sua agenda così da raggiungere sempre gli obiettivi entro le scadenze preposte. Dico sempre che non esiste una ‘giornata tipo’ del Coordinatore di Ricerca Clinica per via delle numerose e svariate attività da portare a termine; in ogni caso la gestione del tempo è fondamentale. Spesso poi sopraggiungono gli imprevisti che vanno ad inficiare sulla tabella di marcia e che costringono a rimodulare una giornata di lavoro in corso d’opera; anche qui è necessaria una corretta gestione delle tempistiche e anche una buona dose di problem solving”.
Le Good Clinical Practice (GCP)
Quali sono i principali aspetti etici e regolatori da considerare nella conduzione di uno studio clinico e come si assicura che siano rispettati?
“Tutti gli studi si basano sulle Good Clinical Practice (GCP) ovvero una raccolta di norme e principi, redatte in conformità con la dichiarazione di Helsinki, standardizzate a livello internazionale e in vigore dal 1997. Sono una serie di norme che garantiscono la sicurezza e il benessere del paziente. Le GCP dettano quelli che sono i doveri degli sperimentatori, degli Sponsor e delle autorità regolatorie con il fine ultimo di preservare la salute del paziente. Gli sperimentatori devono assolutamente conoscere le norme GCP e possedere un certificato in corso di validità”.
“Un’altra fase delicata è la firma del consenso. Nello specifico, lo sperimentatore deve sostenere un colloquio con il paziente durante il quale esporre in modo esaustivo e chiaro il protocollo. È fondamentale dunque che il clinico si assicuri che il paziente accetti consapevolmente di partecipare allo studio clinico. Altro aspetto fondamentale è l’aderenza al protocollo, la quale va garantita parallelamente alla costante vigilanza sulla salute del paziente. Ovviamente è importante anche assicurarsi che tutti gli sperimentatori siano sempre correttamente formati e aggiornati”.
Le regole di una corretta comunicazione
Come gestisce la comunicazione e la collaborazione con il personale medico, i ricercatori e altre figure coinvolte nello studio clinico?
“In questo caso la comunicazione, che sia verbale o scritta, è fondamentale così come una corretta divisione dei ruoli. A tal proposito è importante avere alle spalle un ottimo team multidisciplinare che sia competente e metodico. Personalmente ho la fortuna di lavorare in un team che è coeso, affiatato, motivato e altamente collaborativo. Per quanto riguarda i rapporti con le professionalità esterne, cerco di essere sempre una persona collaborativa, propositiva e disponibile alle comunicazioni. In tal senso, penso che oltre alle competenze e alla professionalità individuali sia importante una buona dose di gentilezza e predisposizione positiva verso l’altro. In generale, una buona comunicazione permette un clima sereno e di conseguenza anche efficiente”.
Vuole aggiungere altro?
“Vorrei aggiungere che questo è un lavoro che amo molto. È un lavoro dinamico e stimolante che permette di interfacciarsi con moltissime personalità e che consente un grande arricchimento personale. È un lavoro che consiglio ai giovani che vogliano muovere i primi passi nel mondo della ricerca clinica, anche e soprattutto al fine di confrontarsi con varie figure professionali, spesso di alto livello. Tuttavia, esiste un grosso problema ancora da risolvere: nonostante il Coordinatore di Ricerca Clinica sia una figura riconosciuta da tempo a livello internazionale, purtroppo in Italia non è ancora istituzionalizzata e la posizione contrattuale ancora indefinita. C’è ancora molto da fare per migliorare questa condizione”.
La Dott.ssa Sara Cardellini, Biologa Nutrizionista presso il ‘San Raffaele’ di Milano, spiega l’importanza di una corretta nutrizione per una specifica popolazione oncologica: i pazienti testa-collo
Conoscere l’Oncologia’ è il format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici. Per farlo, intervisteremo diversi specialisti provenienti da tutta Italia, trattando numerosi temi riguardanti l’oncologia.
Secondo Step con la Dott.ssa Sara Cardellini, Biologa Nutrizionista presso IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, che di recente ci aveva descritto il rapporto tra nutrizione e oncologia, in particolare sottolineando il problema della malnutrizione (articolo che puoi trovare cliccando qui). Questa volta, l’esperta tratta l’importanza di una corretta nutrizione per una specifica popolazione oncologica, ovvero i pazienti che soffrono di tumore del distretto cervico-cefalico, più comunemente conosciuto come distretto testa-collo.
Il ruolo fondamentale dello screening nutrizionale
Dottoressa, che ruolo gioca lo screening nutrizionale in pazienti con tumori del distretto testa-collo?
“La valutazione dello stato nutrizionale dovrebbe idealmente essere svolta alla diagnosi in tutti i pazienti oncologici, al fine di intervenire sin da subito su eventuale malnutrizione e permettere di recuperare peso corporeo prima ancora dell’avvio dei trattamenti oncologi qualora il paziente ne abbia nei mesi precedenti. Capita molto spesso che i pazienti con tumori del distretto testa-collo risultino in prima visita oncologica con una buona composizione corporea e senza particolari difficoltà ad alimentarsi, ma considerando l’aggressività dei trattamenti oncologici è bene avviare comunque precocemente una presa in carico nutrizionale per prevenire rapidi ed improvvisi peggioramenti che potrebbero insorgere nel giro di poche settimane riguardanti la possibilità di alimentarsi regolarmente e con appetito”.
Alimentazione riadeguata in relazione agli effetti collaterali
Con quale scopo viene svolto counselling nutrizionale in pazienti con tumori del distretto testa-collo all’avvio dei trattamenti oncologici?
“In questi pazienti è importantissimo riadeguare l’alimentazione in relazione agli effetti collaterali dei trattamenti chemio-radioterapici che impattano negativamente sulla capacità di introdurre alimenti per bocca; tra questi, troviamo soprattutto disfagia (utilizzare consistenze specifiche degli alimenti aiuta a tal proposito ad evitare dolore e difficoltà nel transito di alimenti e bevande) e mucositi (ovvero infiammazioni a carico del cavo orale, che spesso il paziente avverte come sensazione di bruciore quando l’area interessata entra in contatto con ciò che ingerisce per bocca)”.
“Queste condizioni hanno un impatto debilitante sulla qualità della vita del paziente già ancora prima di iniziare i trattamenti oncologici. Inoltre incidono negativamente anche sulla sua capacità di comunicazione verbale. Suggerimenti mirati riguardanti cosa escludere già in questa fase (ad esempio alcolici, caffè, alimenti troppo secchi e spezie) possono sicuramente aiutare a non aggravare ulteriormente la sintomatologia descritta e a mantenere un buon introito calorico-proteico giornaliero. Una presa in carico nutrizionale tempestiva già dalla diagnosi, quindi, è in grado di prevenire e contrastare queste problematiche per permettere ai pazienti di svolgere con l’efficacia attesa tutto il percorso terapeutico”.
La nutrizione artificiale
Cosa succede se diventa difficile nutrire unicamente tramite alimenti e ONS i pazienti con tumori del distretto testa-collo?
“I rapidi cambiamenti indotti nell’organismo da radio-chemioterapia molto spesso costringono a modificare frequentemente le indicazioni nutrizionali da un incontro all’altro. Questo succedeanche perché tanti pazienti ad un certo punto del percorso necessitano dell’attivazione di nutrizione artificiale a causa dell’impossibilità nel proseguire unicamente con l’alimentazione per bocca. Un costante confronto all’interno del team multidisciplinare permette, a tal proposito, di supportare al meglio i pazientiaiutandoli in ciascuno di questi step a gestire le rapide ed improvvise modifiche che sono caratterizzate dall’avere un impatto importante in negativo sulla qualità di vita, già compromessa dai trattamenti in corso; il posizionamento di sondino nasogastrico per utilizzare nutrizione artificiale, per esempio, può essere una valida opzione per evitare che alimenti e bevande possano infiammare ulteriormente il cavo orale già compromesso dagli intensivi trattamenti oncologici in pazienti che perdono peso a causa del ridotto introito calorico per bocca”.
Referenze:
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Cereda E, Cappello S, Colombo S, Klersy C, Imarisio I, Turri A, Caraccia M, Borioli V, Monaco T, Benazzo M, Pedrazzoli P, Corbella F, Caccialanza R. Nutritional counseling with or without systematic use of oral nutritional supplements in head and neck cancer patients undergoing radiotherapy. Radiother Oncol. 2018 Jan
Cook F, Rodriguez JM, McCaul LK. Malnutrition, nutrition support and dietary intervention: the role of the dietitian supporting patients with head and neck cancer. Br Dent J. 2022 Nov
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