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Cuore, ecco perché bisogna star attenti durante la stagione natalizia

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Gli studi scientifici convergono tutti su un unico punto: nei giorni pre e post Natale i fenomeni cardiovascolari aumentano vertiginosamente

Il periodo natalizio è noto per essere caratterizzato da giorni di festa e celebrazioni. Giorni dove si mangia molto e, perché no, ci si concede anche un bicchiere di più rispetto al solito. In realtà però, bisogna fare molta attenzione durante quei giorni, soprattutto al proprio cuore. Numerosi studi scientifici, infatti, convergono tutti su un unico punto: nei giorni tra Natale e Capodanno, ma anche fino all’epifania, i fenomeni cardiovascolari aumentano vertiginosamente, sia in chi soffre di patologie cardiache sia in chi non sa di essere a rischio.

In particolare, la notte di Natale risulta essere il momento più ‘pericoloso’, seguito a ruota dal 26 dicembre e dal 1 gennaio. In generale, secondo l’American Hearth Association, nella settimana dal 24 Dicembre al 1 Gennaio si verifica il numero più alto di decessi per attacco cardiaco rispetto a qualsiasi altra settimana dell’anno. O ancora, secondo uno studio condotto dall’Istituto Karolinska di Stoccolma durante la Vigilia di Natale il rischio di attacchi cardiaci aumenta del 37%; il 25 dicembre del 29% e la notte di Capodanno il 20%. L’incremento è ovviamente dovuto a diversi fattori che caratterizzano il periodo delle festività: pasti troppo abbondanti, consumo di alcol, sbalzi di temperatura e stress emotivo. Da qui l’invito dei cardiologi a non abbassare la guardia e a prestare attenzione ai segnali critici.

Le parole dell’esperto

Il presidente della Società Italiana di Cardiologia (SIC), Pasquale Perrone Filardi, ha spiegato i motivi degli aumentati rischi cardiovascolari, come riportato da Sanità Informazione. “Nei giorni di festa si tende in generale a rilassarsi. Questo vale anche rispetto all’attenzione per le proprie condizioni di salute. Un pasto troppo abbondante e pensate, in una persona che soffre di problemi cardiologici, può costituire uno sforzo eccessivo per l’organismo e per il cuore”.

“Un altro aspetto
 riguarda le condizioni atmosferiche: un’esposizione al freddo intenso dopo un pasto abbondante consumato in un ambiente riscaldato può determinare un’alterazione a livello coronarico. Attenzione all’alcol, soprattutto alle bollicine: i vini molti frizzanti, se assunti in quantità eccessive, possono innescare aritmie cardiache e fibrillazione atriale. Altro fattore importante – prosegue Perrone Filardi – sono le emozioni: queste durante le festività tendono ad essere più intense, nel bene e nel male. E purtroppo, anche quando si tratta di emozioni positive, l’impatto sul sistema cardiaco può essere critico”.

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Tre tazzine di caffè al giorno per combattere il diabete

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Grazie alla sua ricca miscela di composti bioattivi, tra cui i polifenoli, il caffè sarebbe in grado di influenzare positivamente il metabolismo del glucosio e i processi antiossidanti

Il caffè emerge come un alleato naturale nella lotta contro il diabete di tipo 2. La sua ricca combinazione di composti bioattivi, inclusi i polifenoli, sembra esercitare un impatto positivo sul metabolismo del glucosio e sui processi antiossidanti. Recentemente, uno studio pubblicato su Clinical Nutrition, in concomitanza con la Giornata Mondiale del Diabete il 14 novembre, ha confermato che il consumo di 3-4 tazzine di caffè al giorno è associato a un rischio inferiore di circa il 25% nello sviluppo della patologia, rispetto a chi consuma quantità inferiori o evita il caffè del tutto.

Una dose in armonia con le raccomandazioni scientifiche dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa), che stabilisce che 400 mg di caffeina al giorno costituiscano la quantità appropriata per la maggior parte delle persone. È rilevante considerare che in Italia, nel 2022, circa 3,9 milioni di individui hanno dichiarato di essere affetti da diabete, corrispondenti al 6,6% della popolazione. L’anno scorso, si è assistito a un notevole aumento dell’incidenza della patologia, con oltre 400mila casi in più rispetto a soli tre anni prima. Tale incremento può essere attribuito all’invecchiamento della popolazione, alla propensione a diagnosi più precoci del diabete e al peggioramento di alcuni fattori di rischio nel contesto della pandemia, come l’aumento dell’eccesso di peso e la riduzione dell’attività fisica.

Una maggiore protezione per le donne

La vasta e dettagliata letteratura che approfondisce il ruolo di questa bevanda nella riduzione del rischio di sviluppare il diabete è notevole. L‘Isic, l’Institute for Scientific Information on Coffee, ha evidenziato molteplici prove scientifiche afferenti al tema. Tra queste, si sottolinea che il caffè con caffeina sembra conferire una maggiore protezione alle donne rispetto agli uomini nel ridurre la probabilità di sviluppare il diabete. Inoltre, sono emerse evidenze suggerenti che anche il caffè decaffeinato possieda effetti protettivi. È stato notato anche che un consumo prolungato di caffè nel tempo può contribuire al carico antiossidante totale della dieta, svolgendo un ruolo nell’attenuare lo stress ossidativo e, di conseguenza, limitare l’insorgenza della patologia.

Clicca qui per leggere l’estratto dello studio in questione. 

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Esiste una proteina che unisce il cervello, cuore e reni

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La proteina in questione è l’endotelina: la sua eccessiva produzione è collegata allo sviluppo di diverse malattie, tra cui ipertensione e insufficienza renale cronica

Il cervello, il cuore e i reni sono connessi da una sottile trama, rappresentata dalla presenza di una proteina fondamentale: l’endotelina. Questa sostanza gioca un ruolo chiave nel modulare le funzioni dei vasi sanguigni e nel regolare il tono del muscolo liscio che li avvolge. La produzione eccessiva di endotelina è associata allo sviluppo di varie patologie, tra cui ipertensione e insufficienza renale cronica.

Recenti indagini mettono in luce il coinvolgimento di molecole attivatrici dei recettori dell’endotelina, le quali hanno un impatto significativo su diversi aspetti del sistema nervoso. Questo fenomeno si traduce in benefici tangibili anche per coloro che hanno affrontato un ictus. Parallelamente, l’opportunità di regolare tale effetto mediante l’uso di farmaci sta dando impulso a una vasta area di ricerca, estendendosi persino alla cura della calvizie e dei disturbi del sonno. Questi argomenti sono stati al centro delle discussioni durante la diciottesima edizione della ‘Conferenza internazionale sull’Endotelina ET-18’, evento co-organizzato a Roma dalla Fondazione Menarini. “I ricercatori di tutto il mondo – spiega il professor Carmine Cardillo, presidente del congresso – stanno facendo progressi significativi nello studio di questa proteina chiave”.

Una proteina collegata a diverse funzioni

L’endotelina e i suoi recettori sono diffusamente distribuiti nel sistema nervoso. Ricerche recenti hanno evidenziato che gli agonisti dell’endotelina, che amplificano l’azione dei recettori, hanno un impatto sulla vitalità dei neuroni e svolgono un ruolo cruciale in processi come la risposta al danno cerebrale, offrendo una protezione contro gli effetti dannosi dell’ictus. Questo complesso sistema non solo è fondamentale per la comprensione delle malattie renali, ma si sta rivelando coinvolto anche in fenomeni come la precoce caduta dei capelli.

“Alcune ricerche – spiega Cardillo – hanno dimostrato che l’endotelina può essere presente nel cuoio capelluto di persone con calvizie in quantità maggiori. Ma per comprendere la relazione esatta sono necessarie ulteriori ricerche. Mentre per la regolazione del ciclo sonno-veglia si sta esplorando il potenziale utilizzo di farmaci che modulano l’attività dell’endotelina per migliorare la qualità del sonno nei pazienti con disturbi. Ma è ancora presto per capire se potranno servire a mettere a punto nuove terapie”.

Durante il congresso, particolare rilevanza è stata attribuita al contributo di questa proteina nell’ambito delle malattie autoimmuni, dell’obesità, della gestosi e del tumore dell’ovaio. “Trentacinque anni dopo la scoperta e dopo oltre 34.000 studi scientifici pubblicati, l’endotelina resta ancora un’affascinante campo da esplorare”ha affermato il professor Masashi Yanagisawa, scopritore dell’endotelina nel 1988.

Fonte.

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Troppo lavoro fa male al cuore: la dimostrazione da un nuovo studio

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Oltre ad un’eccessiva mole di lavoro, anche la mancanza di gratificazione gioca un ruolo negativo sulla salute del cuore

Troppo lavoro fa male al cuore: sembra una frase fatta ma uno studio ne dimostra l’effettiva verità. Inoltre, lavorare intensamente senza ricevere adeguata gratificazione può danneggiare il cuore, generando gli stessi effetti negativi sulla salute cardiaca riscontrati nell’obesità. È quanto emerge da una ricerca condotta dall’Université Laval di Quebec City, in Canada, e presentata durante il 44º congresso della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (Gise) attualmente in corso a Milano. 

“Il nuovo studio sottolinea per la prima volta l’enorme impatto della combinazione di questi due fattori, cioè lavoro duro e ricompensa bassa” – commenta il presidente Gise Giovanni Esposito. I risultati evidenziano quindi l’urgente necessità di affrontare in modo proattivo le condizioni di lavoro stressanti, per creare ambienti più sani a vantaggio dei dipendenti e dei datori di lavoro”.

La ricerca ha monitorato per quasi 20 anni circa 6.500 professionisti ‘colletti bianchi’ di entrambi i sessi, privi di precedenti malattie cardiache. Coloro che hanno dichiarato di aver affrontato stress lavorativo o di aver sperimentato uno squilibrio tra sforzo e ricompensa hanno mostrato un rischio maggiore del 49% di sviluppare malattie cardiache rispetto a coloro che non hanno riportato tali condizioni lavorative. Quando entrambe le condizioni erano presenti contemporaneamente, il rischio risultava raddoppiato.

“Ci sono due modi principali in cui lo stress può danneggiare il cuore – spiega Francesco Saia, presidente eletto GiseIl primo riguarda il controllo della pressione sanguigna e del restringimento dei vasi sanguigni. L’altro include l’attivazione del midollo osseo e il rilascio di cellule infiammatorie, che a loro volta, portano all’infiammazione aterosclerotica e all’insorgenza di placche e trombi. Tuttavia – conclude Saia – a fare male non è un singolo evento ma periodi prolungati di stress in combinazione con altri fattori di rischio“.    

Fonte: 44 National Congress GISE.

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