Una buona parte dei decessi è correlata a elevati livelli del cosiddetto colesterolo cattivo (Ldl)
In Italia le malattie cardiovascolari causano il 36% di tutti i decessi, superando le 230.000 morti annuali. Di queste, circa 47.000 sono attribuibili ad alti livelli del cosiddetto colesterolo cattivo (Ldl). Nonostante l’ipercolesterolemia sia riconosciuta come il fattore di rischio più facilmente modificabile, 8 pazienti su 10 non sono in grado di ridurlo ai livelli raccomandati.
A confrontarsi sulla questione e sul ruolo delle nuove terapie saranno gli esperti della Cardiologia italiana al convegno ‘Lipids in Rome – Old challenges and new opportunities’. L’evento è organizzato dall’Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco). Negli ultimi 25 anni l’approccio terapeutico alle patologie cardiovascolari è stato rivoluzionato dall’esplosione di ricerche scientifiche di biologia molecolare e studi clinici. A grazie a tutto il lavoro in questione, di recente sono diventati disponibili per l’impiego clinico, oltre agli anticorpi monoclonali, nuovi farmaci ‘intelligenti’.
Le parole dell’esperto
“L’ipercoloeterolemia deve essere trattata in maniera incisiva e precoce – spiega il presidente Anmco, Furio Colivicchi. Le più recenti evidenze indicano che un inizio tempestivo del trattamento con gli anticorpi monoclonali che contrastano l’attività della proteina Pcsk9 e una riduzione prolungata dei livelli di colesterolo Ldl consentono di ottenere più protezione nei confronti dei futuri eventi cardiovascolari.L’acido bempedoico, invece, è il primo inibitore orale dell’enzima ACL, da assumere una volta al giorno, che può essere associato ad altri trattamenti per ridurre ulteriormente i livelli di colesterolo Ldl. Rappresenta un efficace strumento nell’armamentario, soprattutto per i pazienti a più alto rischio di cuore”.
“L’inclisiran – ha proseguito l’esperto – infine è un piccolo Rna interferente che riduce i livelli di una proteina chiamata Pcsk9. Lo fa, aumentando la capacità del fegato di assorbire il colesterolo Ldl e riducendo quello presente nel sangue. Queste terapie – conclude Colivicchi – sono caratterizzate da semplicità di impiego. Potranno aiutare i pazienti che non sono aderenti ai trattamenti, spesso proprio a causa degli effetti collaterali, o che non riescono comunque a raggiungere i target ottimali di colesterolo. Sono troppe le morti per problemi al cuore e una parte si possono evitare”.
La Cardiomiopatia Artimogena è una malattia genetica che colpisce soprattutto i giovani e gli atleti. Una nuova ricerca ha identificato una potenziale cura
La Cardiomiopatia Aritmogena (ACM), è una malattia genetica che colpisce soprattutto giovani e atleti. Essa si manifesta con una progressiva disfunzione cardiaca e aritmia e può provocare infarto, spesso anche mortale. È la tragica storia di giovani atleti come Davide astori o Piermario Morosini, solo per citare i casi più noti. Ora però arrivano importanti novità. I farmaci comunemente utilizzati per modulare il calcio potrebbero essere efficaci nella cura della patologia. Lo rivela uno studio coordinato dal Centro Cardiologico Monzino e finanziato dalla Fondazione ‘Giacomo Ponzone’.
A oggi, non esiste una cura per l’ACM, ma solo dei metodi di ‘supporto’ (come l’impianto nel paziente del defibrillatore) che impediscono alle aritmie di causare infarto e diventare letali. Da qui l’importanza di capire il meccanismo che altera le cellule del cuore ‘impazzito’ per poter intervenire all’origine della patologia. Il team coordinato dal Laboratorio di Biologia Vascolare e Medicina Rigenerativa del Monzino e formato da ricercatori di diversi centri, quali l’Università di Pavia, l’Università di Milano-Bicocca e la New York Univerisity, si è concentrato sullo studio del disequilibrio del calcio, che è un meccanismo noto di scompenso cardiaco, ad oggi poco correlato all’ACM.
Una disfunzione nella regolazione del contenuto di calcio nella cellula, dimostrata principalmente in modelli animali, è stata descritta solo come meccanismo che influisce sul rischio aritmico nei cardiomiociti dei cuori malati di ACM. Il cuore è infatti caratterizzato da due tipi principali di cellule: i cardiomiociti, che adempiono ad un ruolo funzionale, di contrattilità, e le cellule stromali, che superano i cardiomiociti in numero nel cuore e che fungono da “supporto”. I ricercatori hanno analizzato la gestione del calcio nelle cellule stromali, in cui non era ancora noto se questi meccanismi influenzassero il comportamento cellulare nel contesto ACM.
Il commento degli autori
“Il nostro studio dimostra per la prima volta che anche le cellule stromali da paziente con ACM mostrano alterazioni spontanee nei livelli di calcio rispetto alle cellule di un soggetto sano – spiega Elena Sommariva, coautrice della pubblicazione. La deregolazione della normale omeostasi del calcio contribuisce all’aumentata capacità di differenziamento in adipociti (cellule adipose) e miofibroblasti (responsabili della fibrosi) delle cellule stromali cardiache. Tutto ciò provoca un rimodellamento anomalo del tessuto cardiaco, caratteristico dei cuori con ACM. Da un alto infatti – prosegue l’esperta – un cuore ‘grasso’ cioè ricco di cellule adipose, non conduce gli stimoli elettrici e dall’altro un cuore ‘fibrotico’ si contrae meno. Il differenziamento anomalo delle stromali ACM era già stato osservato in studi precedenti, ma non ne conoscevamo il meccanismo. Ora abbiamo capito che alla base di questo processo patologico c’è l’alterazione dei livelli di calcio, aprendo la via ad un possibile approccio terapeutico”
“Con questa ricerca abbiamo fornito una prova di concetto che dei farmaci modulatori del calcio potrebbero essere efficaci contro la Cardiomiopatia Aritmogena – commenta Angela Serena Maione, ricercatrice Monzino e prima firmataria del lavoro. Agendo farmacologicamente sulle proteine che regolano il contenuto di calcio nelle cellule stromali, abbiamo ottenuto una riduzione del differenziamento fibro-adipogenico. In particolare, abbiamo dimostrato l’efficacia del farmaco Flecainide, già in uso in clinica per il trattamento delle aritmie (e quindi attivo sui cardiomiociti), sul differenziamento fibro-adipogenico. Complessivamente, i nostri risultati estendono le conoscenze sulla disregolazione del calcio nella cardiomiopatia aritmogena al compartimento cellulare stromale, come meccanismo causativo delle loro alterazioni. Dimostrano inoltre una nuova modalità d’azione della Flecainide su un nuovo bersaglio terapeutico”.
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Lo dimostra uno studio pubblicato sullo European Heart Journal e condotto da un team del Karolinska Institutet di Stoccolma
Somministrare grelina nei pazienti affetti da scompenso cardiaco sembra migliorare la funzione cardiaca. Ne parla uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma e pubblicato sulla nota rivista ‘European Heart Journal’. A guidare il team di esperti è stato Lars Lund, principale autore del lavoro, che ha rilasciato una serie di dichiarazioni in merito.
“L’insufficienza cardiaca cronica con frazione di eiezione ridotta (HFrEF) – spiega Lund – è una patologia che progredisce gradualmente verso un peggioramento della qualità della vita e della capacità funzionale, con frequenti ricoveri e alto rischio di morte”. La grelina viene generalmente rilasciata dallo stomaco in risposta al digiuno e alla perdita di peso. Essa, è attivata da un’acilazione aminoacidica e viene degradata con un’emivita plasmatica. L’acil-grelina lega il recettore secretagogo dell’ormone della crescita (GHSR) e agisce come sitmolante dell’appetito ad azione centrale, agendo su recettori ampiamente distribuiti nel muscolo cardiaco, scheletrico e nell’endotelio.
Il gruppo di ricercatori ha arruolato 30 pazienti con insufficienza cardiaca al fine di verificare se la grelina fosse un bersaglio promettente per migliorare la funzione cardiaca. I volontari sono stati dunque randomizzati a ricevere grelina o placebo per via endovenosa nell’arco di 120 minuti. “Al termine delle due ore di trattamento – spiega ancora Lund – abbiamo scoperto che il volume di sangue pompato dal cuore, in un minuto aumentava in media del 28% nel gruppo grelina. La frequenza cardiaca, invece, rimaneva invariata o addirittura rallentava leggermente. Nei pazienti con HFrEF, 120 minuti di acil-grelina endovena rispetto al placebo hanno migliorato la contrattilità e la gittata cardiaca.Il tutto senza causare ipotensione, aritmie, tachicardia o ischemia. Questi dati preliminari su piccola casistica aprono la strada ad ulteriori studi clinici più ampi. L’obiettivo è quello di approfondire l’efficacia e la tollerabilità della grelina in campo cardiologico”.
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Addio aritmie e arresti cardiaci. Una nuova metodica basata sugli effetti postivi delle cellule staminali ingegnerizzate consente di riparare il cuore infartuato
Grandissima novità in ambito cardiologico. Per la prima volta nasce una nuova metodica per riparare il cuore infartato, grazie agli effetti positivi delle cellule staminali ingegnerizzate. È quanto emerge da un nuovissimo lavoro intitolato ‘Gene editing to prevent ventricular arrhythmias associated with cardiomyiocyte cell therapy”, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista ‘Cell Stem Cell’. Secondo i ricercatori che hanno condotto lo studio, è possibile dire addio ad aritmie e arresti cardiaci.
Ma facciamo chiarezza. Negli ultimi anni è emerso che trapiantare cellule di cuore differenziate da cellule staminali ha un grandissimo potenziale terapeutico. Purtroppo però, tala procedura espone il paziente a un periodo transitorio molto pericoloso, caratterizzato da severi disturbi del ritmo cardiaco, come le aritmie. Grazie a questo nuovo lavoro, però, è stato scoperto il meccanismo molecolare che porta a un’incompatibilità tra le cellule trapiantate ancora ‘immature’ e quelle del cuore adulto. Ciò, influenza la capacità delle cellule immature di battere ritmicamente in modo analogo alle cellule del pacemaker adulto ma diversamente dal resto del cuore. I risultati della ricerca mostrano, invece, l’assenza di aritmie legate al trapianto nel momento in cui si applicano metodiche di editing genetico per ingegnerizzare delle cellule staminali.
Il lavoro è stato coordinato da Alessandro Bertero, responsabile del laboratorio Armenise-Harvard di genomica dello sviluppo e ingegneria cardiaca presso l’Università di Torino. Bertero ha visto la collaborazione di un noto esperto internazionale: Chuck Murry, direttore dell’Institute for Stem Cell and Regenerative Medicine dell’Università di Washington.
La pubblicazione dello studio arriva subito dopo la notizia del finanziamento (di oltre 7 milioni di euro), conferito dal Ministero dell’Università e della Ricerca al Dipartimento di Biotecnologie e Scienze per la Salute UniTo nell’ambito del bando Dipartimenti di Eccellenza, ottenuto grazie al progetto Expect (Excellence Platform for Engineered Cell Therapies). Il progetto quinquennale (2023-2027) si focalizza, anche, su cellule immunitarie antitumorali già validate nella pratica clinica.
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