Il Dott. Giordano Beretta, Presidente di Fondazione AIOM e promotore dell’iniziativa, racconta ad Italian Medical News l’importanza di questo tema così delicato
‘Io non sono il mio tumore’ è la prima campagna in Italia volta a chiedere l’istituzione di una legge ad hoc per il diritto all’oblio oncologico. L’iniziativa, promossa da Fondazione AIOM, è partita lo scorso gennaio con l’avvio della raccolta firme e una forte campagna social. L’obiettivo dichiarato è quello di raggiungere 100.000 firme da consegnare al Governo con lo scopo di ottenere una legge di pochi articoli da tutto il Parlamento affinché venga approvata in questa Legislatura. I risultati sono stati strabilianti e l’obiettivo è davvero vicino: ad oggi, le firme si aggirano già intorno quota 90.000.
Per saperne di più, la redazione di Italian Medical News, ha deciso di intervistare il Presidente di Fondazione AIOM, nonché principale promotore dell’iniziativa, il Dott. Giordano Beretta. L’esperto dottore ha quindi riposto ad una serie di domande, spiegando nel dettaglio l’importanza dell’iniziativa, ma soprattutto di un tema così delicato come quello del diritto all’oblio oncologico.
La genesi e gli obiettivi dell’iniziativa
Dottore, può dirci come è nata l’iniziativa?
“L’iniziativa nasce da un percorso che è stato avviato da diverse realtà, per riconoscere il significato di guarito nel paziente oncologico. Ci sono quindi stati una serie di eventi e di movimenti, come quelli delle associazioni di pazienti, per la richiesta di una legge relativa al diritto all’oblio oncologico. Fondazione AIOM, che è un braccio della Società Scientifica di Oncologia Medica e che collabora con le associazioni dei pazienti oncologici, ha deciso di portare questa richiesta sull’ambito della cittadinanza, lanciando una raccolta firme e una campagna social a favore di questa iniziativa”.
“Idealmente per noi la legge potrebbe essere anche un unico articolo che possa dire che, chiunque abbia superato la malattia oncologica, e a 10 anni dalla fine dei trattamenti non abbia avuto recidive, non sia tenuto a dichiarare la pregressa patologia in dinamiche in cui quest’ultima possa essere limitante. Mi riferisco a dinamiche come la stipula di assicurazione, mutui, ma anche assunzioni sul lavoro o addirittura l’adozione di un figlio. Quello che noi vogliamo è questo, non ci interessa della proposta di legge A o proposta di legge B. La raccolta firme della fondazione AIOM, che è un meccanismo di pressione sulle istituzioni, ci servirà per andare a chiedere alle istituzioni stesse che il più rapidamente possibile l’Italia si adegui a questa situazione“.
Un successo fin dall’inizio
Avete raccolto un numero enorme di firme, in così poco tempo, come è stato possibile un risultato così importante?
“Innanzitutto devo premettere che mai mi sarei aspettato questi numeri in così pochi mesi. Ricordiamo che siamo partiti solo lo scorso gennaio. È stato possibile perché abbiamo cercato di diffondere il più possibile questa iniziativa attraverso i social specialmente. Abbiamo avuto il supporto anche di qualche influencer toccato dal problema, che ci ha aiutato molto. Ma soprattutto abbiamo deciso di portare alla popolazione le ‘camminate’ in supporto del diritto all’oblio oncologico (lo scorso 3 settembre si è tenuta la prima marcia di sensibilizzazione a Pescara [N.d.R]) che mettono insieme due aspetti: la comunicazione di questa necessità e l’attività fisica che è fondamentale nella vita di tutti per ridurre i rischi di una malattia oncologica, anche in termini di recidiva”.
A tal proposito, può dirci come è andata la prima marcia di sensibilizzazione? Quali sono state le sensazioni provate?
“A mio modo di vedere c’è stata una presenza decisamente soddisfacente. Si sono iscritte ufficialmente circa 300 persone, ma soprattutto dal lancio della camminata ci sono state migliaia di firme. Il messaggio è quindi sicuramente passato. Abbiamo avuto il supporto delle istituzioni locali e delle associazioni locali che ci hanno aiutato nell’organizzazione e hanno facilitato le fasi burocratiche. Allo stesso tempo la caduta del governo, con la conseguente caduta di proposte di legge e con le elezioni imminenti hanno in qualche modo influenzato in negativo la stessa camminata ostacolando magari alcune presenze istituzionali e politiche. Probabilmente si temeva una sorta di strumentalizzazione politica”.
“Si tratta di una battaglia di civiltà e di una legge etica”
Quanto è importante arrivare all’obiettivo e dunque all’istituzione di questa norma? Considerando anche che in vari Paesi europei come Francia, Olanda, Portogallo, questa legge già è presente? “Partiamo da un concetto. Qualcuno dice che noi siamo sempre gli ultimi che arrivano. In realtà noi abbiamo un Sistema Sanitario Nazionale di tipo universalistico che ci garantisce molto su tanti aspetti. Alcuni dei Paesi da lei menzionati, che hanno la legge, hanno un sistema sanitario di tipo assicurativo: quindi il fatto che ci fosse una quota aggiuntiva sull’assicurazione in quanto malati creava problemi non di poco conto. Questo è il motivo per cui sono stati i primi a spingersi in questa direzione”.
“Allo stesso tempo anche la Comunità europea auspica che entro il 2025 tutti gli Stati membri adottino una legislazione di questo tipo. Questo perché per definire un soggetto guarito in oncologia ci si deve basare su alcuni criteri statistici, di cui il principale è che il rischio di morte di quel soggetto per la patologia oncologica è uguale al rischio di morte di chi non ha mai avuto questo tipo di patologia. Se dunque io rischio allo stesso modo di un mio pari età che non ha il problema, non si capisce perché quando mi trovo a chiedere di esse assicurato o situazioni simili, io debba avere delle disparità. Mi sembra una dinamica assurda. Si tratta di una battaglia di civiltà e di una legge etica. Parliamo inoltre di una legge a costo zero”.
L’appello di Giordano Beretta
Per chiudere, può lanciare un appello a tutte le persone che lottano e sperano per l’istituzione di questa legge?
“Io non lancio l’appello solo al milione di persone che è guarito e che ha la stessa aspettativa di vita di una persona sana. Non lo lancio solo a loro. Lancio un appello ai loro familiari e lancio un appello a tutti i cittadini di buona volontà che non conoscono questo problema. La maggior parte delle persone non sa neanche che esista questa difficoltà. Assolutamente c’è bisogno che tutti ci possano aiutare nel raccogliere più rapidamente le firme mancanti. E nel garantirci una pressione sulle istituzioni per far sì che una legge a costo zero venga istituita. Ricordiamo che questa legge garantirebbe anche un risparmio economico a questo milione di persone, oltre dei diritti sacrosanti”.
I conflitti in atto degli ultimi tempi stanno rivoluzionando in negativo il concetto di salute in Europa. Abbiamo approfondito il tema con un’esperta in materia, la Dott.ssa Matilde Leonardi
La connessione tra disabilità e salute in periodi di guerra è un tema complesso che mette in luce sfide uniche e impatti profondi sulla popolazione coinvolta. La guerra, con la sua brutalità e le conseguenze devastanti, provoca un aumento significativo della disabilità tra civili e combattenti. Questa realtà presenta un intricato panorama di problemi che vanno oltre la semplice menomazione fisica, coinvolgendo aspetti psicologici, sociali ed economici. Nel contesto europeo, la percezione della guerra come un fenomeno distante è stata scossa negli ultimi anni, portando a una riconsiderazione degli approcci medici e politici nei confronti della salute in situazioni di conflitto.
Per saperne di più Italian Medical News ha di recente intervistato la Dottoressa Matilde Leonardi, una figura di spicco nel campo della neurologia e pediatria in Italia. Attualmente Direttrice di Neurologia presso l’Unità di Sanità Pubblica, Disabilità e Centro di Ricerca Coma dell’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, la Dottoressa Leonardi è riconosciuta a livello internazionale come FEAN (Fellow of the European Academy of Neurology) e consulente esperto dell‘OMS in neurologia, disabilità, invecchiamento e sviluppo delle politiche. Co-presidente del gruppo del Forum OMS NeuroCOVID sui servizi neurologici essenziali per i recuperatori COVID-19 e membro del Presidio della Federazione Mondiale di Neuroriabilitazione, la Dottoressa Leonardi condivide la sua prospettiva su come gli eventi bellici e la disabilità impattino sulla salute, offrendo un’illuminante analisi in un contesto europeo in rapida evoluzione.
Il terribile cambiamento degli ultimi anni
Dottoressa, qual è la sua opinione sull’insorgere dei conflitti in una regione come l’Europa, che per lungo tempo non aveva sperimentato simili problematiche belliche?
“Siamo in Europa, e fino a quattro anni fa, il concetto di guerra evocava principalmente la Bosnia, l’ultimo scenario bellico per noi europei. In quel periodo, ci consideravamo al di fuori di tale realtà, percependo la guerra come un tema coinvolgente paesi più lontani. Tuttavia, tutto è mutato negli ultimi anni. Anche noi medici affrontavamo la questione in modo diverso; personalmente, mi occupavo sia del punto di vista di coloro che, a causa della guerra, diventano disabili, sia delle implicazioni belliche per coloro che già presentano disabilità. Tutto rientrava nel contesto delle emergenze. La guerra, fino a pochi anni fa rappresentava per noi un argomento d’analisi da parte degli esperti, ma che non ci coinvolgeva direttamente“.
“Purtroppo, negli ultimi quattro anni, tutto è cambiato qui in Europa. Recentemente sono tornata dal Kazakistan, dove abbiamo condotto una riunione della Regione Europea per discutere delle linee guida della Primary Health Care. Era un incontro programmato da tre anni. Mai avremmo immaginato che all’interno della Regione Europea ci saremmo trovati nella zona con il maggior numero di conflitti bellici protagonisti del ragionamento sulla salute della popolazione europea.”
I tre conflitti in atto
Qual è la sua valutazione delle connessioni tra i conflitti attuali in Europa e l’impatto sulla salute pubblica’
“Attualmente, affrontiamo tre conflitti: il primo riguarda l’aggressione della Russia sull’Ucraina nel 2022. Il secondo è il significativo conflitto tra Azerbaijan e Armenia, che, sebbene non sia ampiamente discusso, è riconosciuto come una questione nella regione europea dell’OMS. Il terzo conflitto è scaturito dall’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre, che sta diventando una tragedia. Questa tragedia si svolge in un contesto in cui il 48% della popolazione è composto da persone sotto i 18 anni, colpendo statisticamente in modo drammatico i bambini. Parlare di guerra in relazione alla salute non era prassi in Europa dal periodo della Seconda Guerra Mondiale. Mai ci saremmo aspettati di dover cambiare la nostra prospettiva sui determinanti della salute, inserendo la pace come fattore chiave“.
“La connessione tra guerra e salute non era contemplata tre anni fa, quando è stato pianificato questo convegno regionale sulle nuove direzioni della salute in Europa. Non avremmo mai immaginato che nelle conclusioni sarebbe stato essenziale introdurre la pace come determinante di salute per la regione europea, poiché la mancanza di pace sta provocando un netto peggioramento delle condizioni di salute, non solo per le persone direttamente coinvolte nei conflitti. Sta avvenendo un cambiamento enorme, al quale non possiamo rimanere indifferenti, sia come individui che come professionisti della salute e politici”.
“Il sangue non ha colore, e i medici intervengono su tutti”
In termini concreti cosa possono fare gli operatori sanitari per provare a limitare i danni?
“Posso condividere la mia esperienza personale riguardo alla collaborazione attuale con l’Ucraina. Ero consulente del governo ucraino prima dell’inizio della guerra, focalizzandomi sulla chiusura degli Istituti Internat, le strutture che ospitano persone con disabilità. Già all’epoca ero coinvolto nei dibattiti sulla disabilità in Ucraina. Ovviamente, con l’inizio della guerra, la prospettiva è cambiata. La mia presenza mi ha permesso di osservare alcuni fenomeni significativi. Uno di questo è che la guerra ha drasticamente aumentato il livello di disabilità nella popolazione. Posso affermare che in Ucraina si è verificato un aumento delle disabilità non solo tra i combattenti, ma anche tra i civili“.
“Cosa possiamo fare noi come medici? Il sangue non ha colore, e i medici intervengono su tutti. Nel mio campo, la riabilitazione e la neuro-riabilitazione, ritengo che la disabilità non debba essere vista solo come una menomazione fisica, ma anche come un problema contestuale. Affrontare questa sfida richiede un impegno esteso con numerosi stakeholder, non solo medici, ma anche del mondo del lavoro, dell’istruzione, dei servizi sociali, eccetera. Quindi, come medici, dobbiamo operare su tutti i fronti. In definitiva, un medico che si trova a lavorare in contesti di conflitto non deve mai smettere di arrendersi e di fare il proprio lavoro e non deve mai concentrarsi esclusivamente su un determinato gruppo. È fondamentale prendersi cura di tutti.”
Il Prof. Roberto Maroldi, Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Cervico-Cefalica (AIOCC), racconta nei dettagli la più grande iniziativa di sensibilizzazione contro i tumori testa-collo
Dal 18 al 22 settembre 2023, ha preso vita la Make Sense Campaign, la campagna europea dedicata all’educazione e sensibilizzazione per la prevenzione dei tumori del distretto testa-collo. In Italia, l’iniziativa è stata promossa con forza dall’Associazione Italiana di Oncologia Cervico-Cefalica (AIOCC), coinvolgendo 141 centri che, durante quella settimana, hanno offerto giornate di diagnosi precoce gratuite, aperte a tutti o su prenotazione. L’obiettivo era duplice: individuare tempestivamente eventuali sintomi e indirizzare i pazienti ai necessari accertamenti, sottolineando al contempo l’importanza della prevenzione come pratica quotidiana, non limitata a una sola settimana l’anno.
A poco più di un mese dall’evento, abbiamo scelto di intervistare il principale artefice di questa Campagna, nonché il Presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Cervico-Cefalica (AIOCC): il Prof. Roberto Maroldi. Le risposte chiare ed esaustive dell’esperto offrono un quadro dettagliato di questa iniziativa di grande rilevanza.
La Campagna nel dettaglio
Presidente Maroldi, potrebbe illustrare l’importanza della Make Seinse Campaign?
“La Make Sense Campaign si impegna attivamente nella sensibilizzazione delle persone riguardo a una serie di sintomi, veri campanelli d’allarme, che se trascurati possono comportare lo sviluppo di neoplasie avanzate nel distretto testa-collo. Ogni anno, in Italia, si registrano circa 10.000 pazienti con diagnosi di tumore del testa-collo. Due sono le cause principali: da un lato l’abuso combinato di alcol e fumo, che incide sulle superficie epiteliali delle vie digestive e sulla laringe, dall’altro, l’infezione di un virus cancerogeno, il virus HPV, responsabile di un rapido aumento dei tumori localizzati nell’oro-faringe. In particolare, questa zona, che include le tonsille, è un punto di intersezione del nostro organismo con agenti patogeni, quali il virus HPV, che ha contribuito a un aumento di neoplasie maligne legate a comportamenti sessuali”.
“Pertanto, è di vitale importanza porre attenzione su segni chiave. Nel caso delle malattie neoplastiche correlate al virus, la presenza di una tumefazione al collo, specialmente lateralmente, persistente per oltre 3 settimane, dovrebbe destare preoccupazione e spingere il paziente a cercare una visita medica. La Make Sense Campaign si concentra su questi segni e sintomi che possono fungere da segnali di allarme per tali malattie. È fondamentale prestare attenzione non solo alle tumefazioni al collo ma anche a sintomi come voce disfonica protratta per oltre 2-3 settimane, dolore all’orecchio e paralisi facciale”.
140 strutture e 5000 pazienti: alcuni numeri
“La Make Sense Campaign offre gratuitamente visite alle persone in Italia che ne avvertono la necessità. Lo scorso anno, più di 120 strutture, pubbliche e private, hanno partecipato, e quest’anno il numero è significativamente cresciuto, superando le 140. Sempre nel 2022, con questa iniziativa, siamo entrati in contatto con oltre 4.300 pazienti, mentre quest’anno si si è arrivati quasi a 5.000 pazienti. Oltre 850di questi sono stati rimandati ad approfondimenti. Una grandissima campagna di pubblicizzazione sia reale che virtuale ha reso possibile questo successo”.
I motivi di un importante successo
In che modo la Make Sense Campaign 2023 ha affrontato la sfida? Come si può spiegare questo miglioramento? Le persone stanno capendo di più l’importanza della prevenzione?
“Credo che ci siano diverse ragioni alla base di questa situazione. Abbiamo attentamente valutato come trasmettere il messaggio, avvalendoci di due supporti fondamentali: il primo riguarda il coinvolgimento di società scientifiche che hanno diffuso il messaggio in modo capillare tra otorinolaringoiatri, chirurghi maxillo-facciali, medici di medicina generale, i quali hanno reso disponibili locandine per raggiungere un vasto pubblico. Il secondo pilastro di supporto è stato costituito dai gruppi di advocacy, che hanno ulteriormente amplificato il messaggio, sostenendo i pazienti”.
“Questa strategia si è dimostrata cruciale. Abbiamo mirato a una diffusione massima del messaggio, utilizzando loghi, slogan e elementi di richiamo come il noto “hai la testa a posto?”. Questi elementi sonopensati per catturare l’attenzione e indirizzarla verso l’essenziale: considerare questi sintomi come campanelli d’allarme da non trascurare“.
È fondamentale diffondere cultura sulla sepsi, patologia purtroppo sempre più diffusa in Italia e nel mondo. Ne abbiamo parlato con alcuni esperti del settore
La sepsi o setticemia è una sindrome clinica caratterizzata da un’abnorme Risposta Infiammatoria Sistemica (SIRS), messa in atto dall’organismo in seguito al passaggio nel sangue di microrganismi patogeni provenienti da un focolaio sepsigeno. Se manca la componente flogistica non si parla più di sepsi, ma di “semplice” batteriemia (presenza di batteri nel sangue dimostrata da almeno un’emocoltura positiva). La sepsi è una condizione potenzialmente molto grave, che passa attraverso stadi di gravità crescente e come tale necessita di un immediato trattamento medico.
BDsi distingue come una delle aziende più impegnate e appassionate nella lotta contro la sepsi, dimostrando una dedizione costante nell’innovazione e nello sviluppo di soluzioni avanzate per migliorare l’individuazione diagnostica e il trattamento di questa grave condizione medica. Abbiamo dunque approfondito l’argomento con alcuni esperti del settore: il Dott. Salvatore Distefano – TLSB Direzione Medica AOUP “P.Giaccone” di Palermo, la Dott.ssa Carla Caio – Customer Solution Expert BD e l’Ing. Andrea Brivio – Marketing Manager BD.
L’intervista si è svolta in concomitanza con la Giornata Mondiale per la lotta contro la sepsi del 13 settembre, durante un evento organizzato presso l’AOU Policlinico “P. Giaccone” di Palermo. La comunità professionale dell’AOU Policlinico “P. Giaccone” ha voluto vivere questa giornata attraverso un momento formativo mirato a sensibilizzare sull’importanza di migliorare la prevenzione, il riconoscimento precoce, nonché la gestione di questa grave condizione clinica.
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