Intervista ad uno dei membri principali di Eberlife, l’azienda di dispositivi medici e nutraceutici che sta stupendo tutti
Eberlife è un’azienda che produce dispositivi medici e nutraceutici per il benessere della persona. Nasce dall’unione di esperti in campo farmaceutico e offre dei rimedi per varie esigenze, dall’apparato respiratorio a quello vascolare.
L’azienda nasce in Piemonte ma è ormai presente in tutta Italia. La sede legale è posta a Torino, mentre gli impianti di logistica sono sparsi in Campania. Con questa organizzazione, avvalendosi di rappresentati in Piemonte, Lombardia, Campania, Sardegna e Sicilia, Eberlife riesce ad offrire una copertura capillare su tutto il territorio nazionale
Per saperne di più, Italian Medical News ha deciso di intervistare uno dei membri principali dell’azienda: il Dott. Gianluigi Busiello. Abbiamo posto all’esperto una serie di quesiti relativi all’azienda e alla sua imponente crescita degli ultimi anni.
Interessante intervista alla Dott.ssa Pisana Ferrari, socio fondatore e presidente dell’Associazione Ipertensione Polmonare Italiana (AIPI). Fari puntati sulla centralità delle Associazioni di Pazienti nell’ambito del sistema sanitario
“Verso la fine degli anni ‘90 l’ipertensione polmonare era ancora pressoché sconosciuta, non c’erano informazioni, non c’erano ancora farmaci e qualche raro centro medico iniziava solo allora a occuparsene. Non c’erano pazienti nella mia città né nella mia regione, nessuna possibilità di incontro e di condivisione. AIPI è nata proprio dall’esigenza di fare uscire i pazienti da questo isolamento. Dunque, di fornire loro informazioni sulla malattia, e un aiuto concreto per la vita di tutti i giorni, di vario tipo, materiale, legale, economico”.
Cosa rappresenta AIPI oggi per i pazienti che ne fanno parte?
“AIPI è diventata una comunità, una grande famiglia. In questi 20 anni siamo diventati un punto di riferimento importante per i nostri quasi 1500 tra soci e sostenitori. Abbiamo attivato tutta una serie di servizi e attività di supporto ai pazienti e ai loro familiari, tra cui due linee telefoniche dedicate 24/7, materiali informativi su vari aspetti della malattia, una rivista trimestrale, sito web, pagine social, incontri tra pazienti, assemblea annuale dei Soci. Forniamo consulenza previdenziale e legale e aiutiamo concretamente i soci in difficoltà attraverso un Fondo di Solidarietà che viene rifinanziato di anno in anno. Abbiamo anche realizzato della campagne di sensibilizzazione sulla malattia con testimonial importanti. Svolgiamo, inoltre, azioni di tutela dei diritti dei pazienti presso ASL e istituzioni”.
AIPI collabora con altre associazioni di pazienti?
“AIPI collabora in Italia con AMIP, un’associazione di pazienti con ipertensione polmonare che ha sede a Roma e con OMAR, Osservatorio Malattie Rare. A livello europeo fa parte della federazione europea per l’ipertensione polmonare, PHA Europe, che riunisce 33 associazioni di pazienti con ipertensione polmonare da tutta Europa e con la quale abbiamo dei progetti comuni, come ad esempio la Giornata Mondiale per l’ipertensione polmonare, il 5 maggio di ogni anno”.
Un ruolo complementare a quello del servizio sanitario nazionale
Usciamo dal tema dell’ipertensione polmonare e passiamo al generale. Quanto sono importanti, secondo Lei, le associazioni di pazienti, di qualsiasi disciplina, al giorno d’oggi in Italia?
“Le associazioni di pazienti svolgono da sempre un ruolo molto importante di sostegno ai pazienti e alle loro famiglie e di tutela dei loro diritti. Un ruolo in qualche modo complementare a quello del servizio sanitario nazionale. L’Istituto Superiore di Sanità scrive sul suo sito: ‘L’associazionismo è uno dei beni più preziosi per la comunità dei pazienti, in particolare di quelli con malattia rara, per la loro capacità di favorire la consapevolezza e la capacità di autodeterminazione del paziente e di offrire un bagaglio di conoscenza diverso e complementare a quello medico e/o istituzionale, stimolando ricerche, azioni ed interventi sociosanitari’. Purtroppo, la nostra associazione, come tante altre, ha problemi di sostenibilità economica Pur affidandosi prevalentemente al lavoro di volontari e beneficiando del 5xmille, che rappresenta una risorsa molto importante. Non è sempre facile garantire lo svolgimento delle varie attività e servizi”.
Un nuovo modello di sanità
Secondo lei il ruolo del paziente è cambiato negli ultimi 10-20 anni?
“Siamo in un momento storico di passaggio da una visione tradizionale della medicina, diciamo ‘paternalistica’, in cui il paziente era un soggetto passivo, a un nuovo modello di sanità in cui il paziente è più informato, non solo grazie a una maggiore scolarizzazione e all’avvento di internet, ma anche al lavoro di sensibilizzazione svolto delle associazioni, e quindi più partecipe alle decisioni riguardo il proprio percorso di cura. Si parla sempre di più infatti di medicina partecipativa, che colloca al centro il paziente, i suoi bisogni, le sue preferenze e potenzialità. Questo nuovo modello può favorire una migliore aderenza alle cure, una maggiore soddisfazione del paziente e anche migliori esiti medici”.
Vuole aggiungere altro?
“Sì, tengo ad aggiungere che in questi ultimi anni è sempre più riconosciuto il valore della ‘conoscenza esperienziale’ dei pazienti (ovvero l’esperienza diretta della malattia che viene a completare la conoscenza dei medici). I pazienti e i loro rappresentanti oggi sono chiamati a partecipare a vario titolo a processi decisionali in sanità. Cito il mio esempio: io sono stata chiamata più volte come paziente esperta dall’ EMA – Agenzia Europea del Farmaco, per dare il punto di vista del paziente su nuovi farmaci. Per la Società Europea di Cardiologia, che riunisce 40.000 cardiologi da tutto il mondo, ho fatto parte di una task force per l’elaborazione delle nuove linee guida 2022 per l’ipertensione polmonare, e sono anche stata nominata Co-Presidente Onorario del Congresso Annuale 2023 della Società Europea per il Trapianto di Organi. Tutte cose assolutamente impensabili solo pochi anni fa e che promettono bene per il futuro!”.
Prosegue il focus sul ruolo del chirurgo oncologo. Ancora una volta è l’esperto Prof. Marano a raccontarci nel dettaglio i molteplici compiti di questa delicata figura
La chirurgia oncologica è quella branca della medicina che si occupa della terapia chirurgica del cancro attraverso la rimozione dello stesso dall’organismo del paziente. Quando si rimuove un cancro è possibile anche eliminare parte del tessuto circostante che può contenere cellule cancerose avendo l’obiettivo di essere quanto più radicali possibile. L’operazione è effettuata da parte di un chirurgo oncologo specializzato.
Di recente, Italian Medical News ha intervistato un esperto in materia: il Prof. Luigi Marano, Chirurgo Oncologo presso l’Azienda Ospedaliera-Universitaria Senese e Professore Associato presso l’Università degli Studi di Siena. Nella citata intervista (che puoi leggere cliccandoqui) il Prof. Marano ha esposto una serie di temi e concetti relativi alla figura del chirurgo oncologo: dall’importanza della multidisciplinarietà al concetto della fragilità, passando a necessità urgenti come quella di introdurre, a livello istituzionale, il cosiddetto ‘core curriculum’ specifico per la chirurgia oncologica. Abbiamo deciso dunque di intervistare nuovamente l’esperto, ponendo nuove domande e ricevendo altrettante interessanti risposte.
Un rapporto in evoluzione
Professore, qual è la relazione che si instaura tra il chirurgo oncologo e l’oncologo di trattamento? Come si rapportano queste due figure?
“Innanzitutto si tratta di collaboratori di una stessa equipe. Mi lasci passare la confidenza, in genere parliamo prima di amici e poi di colleghi. Ciò sicuramente ha un risvolto positivo nell’ambito del rapporto professionale. L’oncologo medico così come il radioterapista oncologo sono nostri alleati e tutti insieme combattiamo contro una malattia per conseguire lo stesso obiettivo. Dunque, si tratta di un rapporto di assoluto rispetto, collaborazione e di condivisione di informazioni. Tra l’altro possiamo parlare anche di evoluzione di questo rapporto: infatti, prima l’oncologo medico lavorava separatamente dal chirurgo e dal radioterapista. In passato erano delle discipline che non comunicavano o comunicavano poco fra loro. Oggi si va verso una visione maggiormente olistica del paziente, che pone il malato al centro del sistema di cura. Esiste il malato e non la malattia“.
“Questo è un grande cambiamento. se noi iniziamo ad avere questo approccio filosofico-scientifico, per quanto possa sembrare una contrapposizione, noi siamo in grado di fornire al paziente un trattamento ‘personalizzato’ e un trattamento di precisione. Entriamo quindi nella cosiddetta era della ‘Precision Medicine’ e della ‘Precision Surgery’. Il tutto con una visione globale del paziente, a 360°, e ciò ci permette di offrire il ‘Best Treatment’, ovvero il miglior trattamento possibile al paziente garantendo, nei limiti che pone il preciso contesto, un miglioramento in termini di sopravvivenza e in termini di qualità di vita del paziente. La cura centrata sulla persona sottolinea, quindi, anche l’importanza di conoscere la persona dietro il paziente come un essere umano con ragione, volontà, sentimenti e bisogni, per coinvolgerlo come partner attivo nel processo di cura e nel suo trattamento”.
Sinergia tra conoscenza medica e nuove tecnologie
In prospettiva futura, quali sono gli orizzonti della chirurgia oncologica anche in termini tecnologici?
“Negli ultimi decenni siamo stati spettatori di un progressivo sviluppo della tecnologia, soprattutto nell’ambito delle scienze chirurgiche e, ancor di più, della chirurgia oncologica. Un esempio è rappresentato dallo sviluppo e dall’applicazione sempre più capillare degli approcci mininvasivi. Essi hanno costituito una vera e propria ‘rivoluzione’ concettuale soprattutto nel campo applicativo della chirurgia oncologica. Si è passati dall’era (parliamo del 1800) in cui venivano timidamente eseguite le prime procedure di chirurgia ‘eroica’, con l’obiettivo di asportare la malattia, fino agli anni ’30-40 del ‘900 in cui più si era demolitivi, più si riteneva di ottenere consistenti chances di cura. Oggi, invece, la chirurgia mininvasiva, laparoscopica e robotica, ha contribuito ad invertire tale tendenza. Si sente sempre più spesso parlare di trattamento conservativo: ecco che quindi si adotta un approccio chirurgico resettivo limitato nel tentativo di preservare l’organo e, soprattutto, di conservarne la sua funzionalità”.
“Insomma, una vera e propria sinergia tra conoscenza medica e nuove tecnologie. E’ necessario, però, sottolineare che il chirurgo oncologo non può e non deve mai perdere di vista il proprio fine nella scelta dell’approccio: la radicalità del trattamento della malattia neoplastica. Questo obiettivo deve sempre essere perseguito indipendentemente dall’approccioscelto. Se il chirurgo ritiene l’approccio laparoscopico/robotico non efficace in un preciso contesto, è necessario eseguire l’intervento chirurgico secondo l’approccio open tradizionale. Ed ecco che torniamo al concetto precedente: ‘Precision Medicine’ e ‘Precision Surgery’”.
Un prestigioso riconoscimento
Professore, chiudiamo con una domanda un po’ più personale: di recente, la prestigiosa rivista internazionale ‘World Journal of Gastrointestinal Oncology’ l’ha “premiato” dedicandole la copertina del volume uscito lo scorso 9 settembre. Sono state, in particolare, le attività di ricerca scientifica, il trattamento chirurgico delle neoplasie addominali e l’applicazione delle nuove tecnologie mininvasive, laparoscopiche e robotiche a destare la loro attenzione. Cosa può dirci in merito? Che emozione ha provato?
“E’ per me motivo di grande orgoglio aver ricevuto tale premio internazionale che sugella la mia costante attività pluriennale di chirurgo e di ricercatore. E’ il riconoscimento della costanza, della dedizione e soprattutto del sacrificio personale che si sono resi necessari per lo sviluppo e la definizione delle mie numerose ricerche nel campo delle malattie funzionali (ad esempio: acalasia esofagea, malattia da reflusso gastro-esofageo, ernie iatali) ed oncologiche dell’esofago e dello stomaco. In aggiunta a ciò, l’esperienza nel campo della chirurgia mininvasiva laparoscopica e robotica maturata in un gruppo chirurgico di riconosciuto prestigio mi ha consentito di poter essere stato, nel 2018, il primo chirurgo ad eseguire in Italia un delicato intervento chirurgico all’esofago utilizzando contemporaneamente il robot daVinci e la stampa 3D“.
“Non da ultimo, le numerose iniziative attuate durante il periodo in cui ho avuto l’onore e l’onere di coordinare la sezione giovani della Società Italiana di Chirurgia Oncologica, tra cui quella di aver riunito, per la prima volta in Italia, i giovani chirurghi oncologi, oncologi medici e radioterapisti oncologi assieme ai nutrizionisti per tracciare strategie di intervento condivise a livello multidisciplinare per lo screening, la diagnosi ed il trattamento della malnutrizione del paziente oncologico. Insomma, una serie di risultati che hanno contribuito a suscitare l’attenzione dei colleghi d’oltreoceano i quali hanno deciso poi di procedere al conferimento del riconoscimento”.
La ‘vera’ gavetta
L’emozione che ho provato? Soddisfazione immensa che può provare solo un orfano di Carabiniere che, ormai dieci anni or sono, dopo una Laurea in Medicina ed una Specializzazione in Chirurgia Generale conseguite presso l’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, è stato costretto a lasciare la propria famiglia e la propria terra con una valigia di cartone ricolma di sogni, ha dovuto costruire altrove il proprio futuro lottando contro pregiudizi e preconcetti, facendo la ‘vera’ gavetta a partire dal servizio 118, passando per il pronto soccorso ed arrivando poi ai reparti chirurgici solo dopo aver scalato la piramide a partire dal gradino più basso, confidando sempre e solo nelle proprie potenzialità e non perdendo mai di vista il proprio obiettivo. Il tuttocon la consapevolezza e l’entusiasmo di dover assumersi, per il resto della vita, la responsabilità della missione di medico“. (Clicca qui per approfondire il riconoscimento ottenuto dal Prof. Marano).
Intervista al Dott. Mario Annecchiarico, Direttore UOC Chirurgia Generale e Oncologica presso l’Azienda Ospedaliera “San Pio” di Benevento ed esperto di Chirurgia Mininvasiva laparoscopica e robotica
La chirurgia robotica, o telemanipolazione computer-assistita, rappresenta allo stato attuale l’ultimo gradino nello sviluppo delle innovazioni tecnologiche applicate alla chirurgia. Con questo termine si indica un tipo di operazione effettuata grazie a tecnologie avanzate, che prevedono l’utilizzo di una sofisticata piattaforma chirurgica in grado di riprodurre, miniaturizzandoli, i movimenti della mano umana all’interno delle cavità corporee, o comunque nel campo operatorio. Nell’eccezione più frequente si definiscono “robotiche” le macchine in grado di svolgere in autonomia anche funzioni complesse, che prevedano un’interazione attiva con l’ambiente.
Per saperne di più, Italian Medical News ha intervistato una figura navigata del settore: il Dott. Mario Annecchiarico, Direttore UOC Chirurgia Generale e Oncologica presso l’Azienda Ospedaliera “San Pio” di Benevento nonché esperto di Chirurgia Mininvasiva laparoscopica e robotica. Attraverso una serie di quesiti abbiamo approfondito il tema in questione, partendo da domande pressoché generali e proseguendo con altre più tecniche relative a questo innovativo settore. Diversi infatti i temi trattati: dal concetto di chirurgia robotica ai vantaggi che essa offre al paziente (e al medico), passando per l’analisi dei sistemi robotici più evoluti al giorno d’oggi.