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Endometriosi e cibo: l’alimentazione come vera e propria cura

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Il ruolo del cibo risulta fondamentale nell’attenuazione dei sintomi, vista la stretta relazione della patologia con gli ormoni e con lo stato infiammatorio

L’endometriosi è la presenza di endometrio, mucosa che normalmente riveste esclusivamente la cavità uterina, all’esterno dell’utero. Questa patologia può interessare la donna già alla prima mestruazione (menarca) e accompagnarla fino alla menopausa.

Gli studi istologici hanno evidenziato che l’endometrio nella endometriosi è simile all’endometrio normale. È caratterizzato dalla presenza di recettori ormonali ma ha un’alta capacità di adesività che gli permette di aderire a strutture extrauterine, come le sedi in cui l’endometriosi si sviluppa. Sebbene sia ritenuta una patologia dell’età riproduttiva, sono descritti rari casi di endometriosi anche in postmenopausa, soprattutto in donne che stiano assumendo trattamenti ormonali sostitutivi.

In Italia sono affette da endometriosi il 10-15% delle donne in età riproduttiva; la patologia interessa circa il 30-50% delle donne infertili o che hanno difficolta a concepire. Le donne con diagnosi conclamata sono almeno 3 milioni.
Il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d’età più basse. La diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche per la donna. (Fonte dei dati: Ministero della salute).

Perché è importante l’alimentazione

La condizione infiammatoria è spesso il terreno fertile di molte patologie sia di natura psicosomatica, che stress-related, che biologica. La visione olistica dell’essere umano verso il quale si sta dirigendo la medicina moderna ci rende consapevoli dell’importanza di considerare ogni aspetto dello stile di vita con la finalità di inquadrare le patologie o i disturbi in una cornice più grande e completa. L’infiammazione è infatti protagonista di molte condizioni patologiche sia psichiatriche che organiche e risulta essere estremamente connessa all’alimentazione. Essendo infatti l’endometriosi pelvica una sindrome complessa caratterizzata da un processo infiammatorio cronico estrogeno-dipendente che colpisce principalmente i tessuti pelvici, comprese le ovaie, l’importanza dell’alimentazione, come anche dell’attività fisica risulta fondamentale.

Come detto, l’alimentazione gioca di un ruolo fondamentale nella regolazione dello stato infiammatorio corporeo. Essendo l’endometriosi una patologia di tipo infiammatorio, fenomeni caratterizzati da squilibri intestinali, come la disbiosi del microbiota, possono aggravare la sintomatologia. La connessione tra fattori dietetici e insorgenza dell’endometriosi è diventata un argomento di interesse soprattutto per l’osservazione dei processi fisiologici e patologici della malattia che possono essere influenzati dalla dieta. Oltre alla parte biologica dei macronutrienti che possono appunto creare un impatto sulla gravità dei sintomi di questa condizione, anche il mantenimento di un corretto peso corporeo risulta importante. Questo perché un eccesso di tessuto adiposo porta ad un’eccessiva produzione di estrogeni che favorisce la proliferazione del tessuto endometriale. 

La dieta “antiendometriosi”

E’ stata infatti formulata una dieta “antiendometriosi” ossia un regime alimentare di natura sia preventiva che curativa, che predilige alimenti antinfiammatori. In maniera generale, si può affermare che cibi da evitare con l’endometriosi sono quelli fonte di estrogeni, il peggior nemico per chi deve convivere con questo disturbo. I motivi principali per ridurre gli alimenti che contengono estrogeni sono principalmente due. Il primo è che assumendone si aumentando lo sbilanciamento ormonale già presente nella donna affetta da endometriosi mentre il secondo è la l’eliminazione in funzione della riduzione l’infiammazione e di conseguenza la produzione endogena degli stessi estrogeni.

I cibi ‘si’ e i cibi ‘no’

Ma quali sono gli alimenti consigliati e quelli che invece andrebbero evitati? Una dieta ricca di fibre sembra essere la chiave. Via libera quindi a verdure, cereali integrali poveri di glutine, legumi ricchi di proteine, frutta e semi oleosi. La riduzione dell’assorbimento degli estrogeni da parte dell’intestino dovuto all’incremento di fibre nell’alimentazione sembra essere fondamentale oltre che benefico sotto il punto di vista della digestione. Estremamente importanti sembrano essere gli Omega3, contenuti nel pesce azzurro, salmone, semi di lino e avocado con il fine di alleviare i disagi legati all’infiammazione addominale. Glutine e latticini si, ma con criterio. Non è infatti necessario eliminarli dalle proprie tavole ma applicare alcune accortezze potrebbe fare la differenza. 

I cibi da evitare sono ovviamente tutti i cibi con alte proprietà infiammatorie. Quindi prodotti raffinati e industriali, zucchero bianco ma anche alcool e caffeina sono banditi dalle tavole di che vuole aiutarsi con l’alimentazione nel contrastare l’endometriosi.

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28 marzo, Giornata Mondiale dell’Endometriosi

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Oggi, 28 marzo 2022 ricorre la Giornata Mondiale dell’Endometriosi, una malattia che può essere fortemente invalidante per le donne che ne soffrono

Il Ministero della Salute promuove la Giornata Mondiale dell’Endometriosi. Nel 2021, per valutare l’incidenza di questa malattia è stato indetto un bando di ricerca rivolto a tutti i ricercatori che operino in enti afferenti al Servizio Sanitario Nazionale. A questo scopo il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha firmato un decreto con cui ha autorizzato la spesa di 3 milioni di euro ripartiti sugli esercizi finanziari 202120222023.

L’endometriosi è una malattia cronica e progressiva, che colpisce le donne in età fertile. Essa è caratterizzata dalla presenza e dalla proliferazione di tessuto endometriale al di fuori della cavità uterina. Tra i sintomi più frequenti vi sono mestruazioni dolorose, dolore pelvico cronico, sintomi gastrointestinali e affaticamento. Questa patologia è una delle cause più note di infertilità, e può portare importanti ripercussioni sul benessere psicofisico delle donne che ne sono affette.

La patologia è considerata una malattia di rilevanza sociale, in quanto limita la produttività lavorativa delle donne colpite. Inoltre, solo una bassa percentuale di donne che ne soffre sa di essere affetta. Questo perché la diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche. I medici di medicina generale e i ginecologi sono le figure strategiche per una pronta diagnosi e per il trattamento. 

La malattia è diffusa ma ancora poco conosciuta. Le stime parlano di 190 milioni di donne colpite a livello globale, circa il 10%. In Italia si stima ne siano affette oltre 3 milioni di donne. 

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Il parto in Italia: l’88.2% delle nascite in Istituti pubblici ed equiparati

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I dati del Ministero della Salute fotografano il quadro della situazione delle nascite

L’88,2% dei parti, e quindi delle nascite, è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati. Circa il 21% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. L’età media della madre è di 33 anni per le italiane mentre scende a 30,8 anni per le cittadine straniere. Sono questi alcuni dei dati rilevati per l’anno 2020 dal flusso informativo del Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP).

La rilevazione, istituita dal Decreto del Ministro della Salute 16 luglio 2001, n.349, costituisce a livello nazionale la più ricca fonte di informazioni sanitarie, epidemiologiche e socio-demografiche relative alle nascite. Rappresentando uno strumento essenziale per la programmazione sanitaria nazionale e regionale.

Dove partoriscono le donne in Italia – L’ 88,2% delle nascite è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, l’11,6% nelle case di cura e solo lo 0,2% altrove (altra struttura di assistenza, domicilio, etc.).
Il 62,6% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui. Tali strutture, in numero di 146, rappresentano il 34,8% dei punti nascita totali. Il 6,9% dei parti ha luogo invece in strutture che accolgono meno di 500 parti annui.

Le caratteristiche delle madri, provenienza, età, livello di istruzione e professione

Nel 2020, circa il 21% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana.  Le aree geografiche di provenienza delle madri straniere più rappresentate sono quelle dell’Africa (27,9%) e dell’Unione Europea (21,4%). Le madri di origine Asiatica e Sud Americana costituiscono rispettivamente il 20,3% ed il 7,8% delle madri straniere.

L’età media della madre è di 33 anni per le italiane mentre scende a 30,8 anni per le cittadine straniere.
L’età media al primo figlio è per le donne italiane, quasi in tutte le Regioni, superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 28,9 anni.

Delle donne che hanno partorito nell’anno 2020 il 42,6% ha una scolarità medio alta, il 24,8% medio bassa ed il 32,7% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (43,3%).

Più della metà delle madri ha un’occupazione lavorativa

L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 56,2% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 27,5% sono casalinghe ed il 14,3% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2020 è per il 52,2% quella di casalinga. A fronte del 63,5% delle donne italiane che hanno invece un’occupazione lavorativa.

Le gravidanze – Nell’89,4% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 73,9% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie.
La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita oltre il primo trimestre di gravidanza è pari al 2,2% mentre tale percentuale sale all’11,3% per le donne straniere.
Le donne con scolarità medio-bassa effettuano la prima visita più tardivamente. Anche la giovane età della donna, in particolare nelle madri al di sotto dei 20 anni, risulta associata ad un maggior rischio di controlli assenti (2,5%) o tardivi (1° visita effettuata oltre l’undicesima settimana di gestazione nel 13,7% dei casi).

Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive sono state effettuate in media 3,1 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 9,64% dei casi. E questo denota un trend decrescente nell’ultimo triennio.

Il 94.1% delle donne è accompagnata dal padre durante il parto, tranne nel caso di cesarei

Il parto – La donna ha accanto a sé al momento del parto (esclusi i cesarei) nel 94,1% dei casi il padre del bambino, nel 4,5% un familiare e nell’1,5% un’altra persona di fiducia. 

In media, nel 2020 il 31,12% delle nascite è avvenuto con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica.
I dati denotano comunque una tendenza alla diminuzione in linea con le indicazioni delle “Linee di indirizzo per la promozione e il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”.

I dati sui neonati – Lo 0,9% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi ed il 5,9% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 98,6% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10.

Sono oltre mille, nel 2020 i neonati nati morti per un tasso di natimortalità del 2.65 ogni 1000 nati

Sono stati rilevati 1.072 nati morti corrispondenti ad un tasso di natimortalità, pari a 2,65 nati morti ogni 1.000 nascite, e registrati 5.001 casi di malformazioni diagnostiche alla nascita. 

La procreazione medicalmente assistita (PMA) – Il ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta effettuato in media 3,2 gravidanze ogni 100. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET). Seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI).

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Covid, l’importanza del vaccino per le donne in gravidanza

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Uno studio del CDC ha valutato l’importanza del vaccino per le donne in gravidanza e per i bambini

La conferma arriva direttamente dal Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Riguarda il vaccino anticovid per le donne in gravidanza e per i loro bambini: il vaccino rappresenta un salvavita. Una notizia importante se correlata al tasso di mortalità tra le donne americane in attesa di un figlio e affette da Covid. Una cifra tre volte superiore che diventa cinque volte più alta da quando è entrata in scena la variante Delta.

Durante il periodo di analisi delle pazienti, sono decedute 15 donne incinte risultate positive al Covid e nessuna di queste aveva completato il ciclo vaccinale. Il dato importante è che il rischio maggiore è nelle donne nere rispetto alle ispaniche e alle bianche.

La variante Delta ha anche portato a un incremento del rischio di natimortalità. Una percentuale che è salita dal 47% prima che si manifestasse, al 304% dopo la manifestazione. Il problema diventa di primaria importanza. Basta valutare che, negli Stati Uniti, solo il 35% delle donne in gravidanza è stato completamente vaccinato prima o durante la gravidanza.

I risultati dello studio possono rappresentare uno stimolo in più per le donne in gravidanza

Un numero esiguo. Secondo Torri Metz, professore di Ostetricia e ginecologia presso l’Università dello Utah, i risultati dello studio dei CDC potrebbero servire come “fattore motivante” per le donne in gravidanza a farsi vaccinare. “Penso che questi dati che dicono che abbiamo un aumento del rischio di natimortalità indicano davvero che non è solo la madre a essere a rischio di Covid, ma anche il feto e spingere questo messaggio può davvero aiutare le persone a decidere di vaccinarsi”, dice.

In Italia, l’invito alla vaccinazione per le donne in attesa è datato.

 “È importante che le donne in gravidanza proteggano sé stesse e i loro bambini con i vaccini”, conferma su Il Fatto Quotidiano Antonino Guglielmino, presidente della Società italiana di riproduzione umana (Siru). “Non solo. Il vaccino anti-Covid è fortemente raccomandato alle donne che hanno iniziato o che sono in procinto di iniziare un percorso di procreazione medicalmente assistita”, aggiunge. “Ormai ci sono evidenze scientifiche chiare che ci dicono che l’infezione Covid-19 può essere pericolosa per le donne incinte e i bambini che portano in grembo. Consigliamo quindi – conclude – la vaccinazione anti Covid anche alle coppie che cercano una gravidanza, per evitare che il virus Sars-CoV-2 possa ostacolare la ricerca di un figlio”.

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