Mancano almeno 100 unità Stroke Unit e solo il 37% dei pazienti è trattato con tecniche all’avanguardia. L’allarme arriva dai cardiologi del Gise
L’ictus è una grave patologia che si verifica quando una scarsa perfusione sanguigna al cervello provoca la morte delle cellule. Esistono due tipologie principali di ictus: quello ischemico e quello emorragico. Il primo è il più frequente ed è causato dall’ostruzione di un’arteria che porta sangue ossigenato al cervello. Tale ostruzione, provoca il mancato passaggio del sangue. Il secondo avviene quando un’arteria che porta sangue ossigenato al cervello si rompe o perde sangue, impedendo il rifornimento dei tessuti a valle della lesione. Inoltre la pressione generata dall’emorragia causa ulteriori danni cellulari.
Una tecnica all’avanguardia, sicura e in grado di ridurre la disabilità residua dopo l’ictus, è la ‘trombectomia intracranica’. Tale tecnica libera i vasi ostruiti attraverso una procedura percutanea e rappresenta oggi una valida alternativa alla trombolisi con farmaci anche perché ha una finestra di intervento più lunga, fino a 16/24 ore dalla comparsa dei sintomi in pazienti adeguatamente selezionati con studio di perfusione, rispetto alle 4,5-9 ore massime della trombolisi endovenosa. Una differenza di tempo fondamentale per i pazienti. Purtroppo però, oggi, in Italia, vengono sottoposti a questo intervento meno di 4 pazienti su 10. Questo capita perché sono ancora poche leUnità Neurovascolari dove è possibile utilizzare la trombectomia. Nel concreto, per garantire terapie adeguate a tutti i pazienti, servirebbero 300 Stroke Unit in tutta Italia. Ce ne sono però, solo 190.
L’allarme degli esperti del Gise
A denunciarlo sono gli esperti dellaSocietà Italiana di Cardiologia Interventistica – Gise. Infatti, durante la prima edizione del convegno ‘Rome Peripheral Intervention’ svoltosi a Roma, gli esperti Gise hanno sottolineato una distribuzione molto disomogenea dei Centri Ictus presenti in Italia. L’80% di questi si trova al Nord, fattore che chiaramente penalizza i pazienti del Centro e del Sud Italia. Ma soprattutto fattore che contribuisce a spiegare perché oggi meno della metà delle vittime di ictus riceva un trattamento tempestivo e adeguato.
Giovanni Esposito, presidente Gise, entra nel merito della questione rilasciando una serie di dichiarazioni. “L’ictus cerebrale rappresenta la prima causa di invalidità nel mondo. La seconda causa di demenza e la terza causa di mortalità nei paesi occidentali. In Italia si registrano ogni anno poco più di 100mila casi di ictus, dei quali circa un terzo porta al decesso nell’arco di un anno. Un altro terzo causa invalidità serie e significative. Oggi quasi un milione di italiani convive con le conseguenze invalidanti di un ictus cerebrale, sempre più irreversibili e gravi all’aumentare del tempo trascorso prima di un intervento che elimini l’occlusione di un’arteria cerebrale. Questo evento può essere risolto con la trombolisi o con la trombectomia”.
Le parole del presidente Gise vengono poi susseguite da quelle di Eugenio Stabile, primario di cardiologia all’Ospedale San Carlo di Potenza. “In Italia è purtroppo difficile garantire la trombectomia e i suoi vantaggi ai numerosi pazienti che ne necessitano. In tutto il paese, solo il 37% dei pazienti candidabili a trombectomia intracranica viene sottoposto al trattamento endoarterioso. Ciò dipende in buona parte dalla carenza di Stroke Unit: ne servirebbero almeno 300 in tutta Italia ma ce ne sono solo 90. Inoltre l’80% di questi è distribuita al nord. Ne consegue che la maggioranza dei trattamenti è effettuata in pochi centri, anche perché – conclude l’esperto cardiologo – una presenza di specialisti h24 è assicurata solo in una minoranza delle strutture”.
L’anticorpo ha dimostrato di poter diminuire il numero di nuove lesioni in T1 gadolinio captanti nei pazienti con sclerosi multipla recidivante
Nuova importante speranza per tutti i pazienti di sclerosi multipla (Sm). Un nuovo anticorpo, prodotto da Sanofi, mostra un’elevata efficacia riducendo significativamente l’attività di malattia. Nello studio di fase 2 presentato al Consortium of Multiple Sclerosis Centers 2023, frexalimab (nome dell’anticorpo) ha dimostrato di poter ridurre il numero di nuove lesioni in T1 gadolinio captanti nei pazienti con sclerosi multipla recidivante.
Frexalimab è il primo anticorpo anti-Cd40l di seconda generazione a mostrare efficacia nel trattamento della terribile patologia. Il farmaco riesce a bloccare la via cellulare costimolatoria Cd40/Cd40l necessaria per l’attivazione e la funzione della immunità adattiva (cellule T e B) e innata (macrofagi e cellule denditriche), senza deplezione dei linfociti.
Il commento degli esperti
“Sulla base dei nostri 20 anni di ricerca e sviluppo nella Sm, siamo impegnati a far crescere la nostra robusta pipeline di terapie per questa patologia – afferma in una nota il responsabile globale dello sviluppo neurologico di Sanofi, Erik Wallström. Il nostro impegno si basa sull’esplorazione di molteplici approcci terapeutici con anticorpi monoclonali unici che hanno il potenziale di rallentare o arrestare la disabilità, che rimane oggi una delle maggiori esigenze mediche insoddisfatte nella sclerosi multipla”.
Anche Gavin Giovannoni, noto professore di Neurologia presso la Queen Mary University di Londra, ha commentato con entusiasmo l’efficacia del nuovo anticorpo. “Frexalimab ha un meccanismo d’azione unico, che blocca la via costimolatoria Cd40/Cd40l ritenuta in grado di regolare l’attivazione e la funzione delle cellule immunitarie sia adattative che innate, una via che è fondamentale nella patogenesi della Sclerosi multipla. Siamo entusiasti – ha concluso Giovannoni – dei risultati ottenuti con frexalimab in soli 3 mesi. Risultati che dimostrano come l’inibizione di CD40L controlli rapidamente l’attività della malattia senza deplezione dei linfociti”.
Secondo un nuovo studio pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition, l’adozione di un multivitaminico a base di epicatechine avrebbe l’effetto di migliorare la memoria del 16%
Il consumo di frutta e verdura è importante a ogni età, ma fra gli anziani risulta fondamentale anche per la protezione della memoria. Un deficit di antiossidanti flavonoli, infatti, è correlato a una maggiore perdita della memoria in età avanzata. Secondo un nuovo studio pubblicato su The American Journal of Clinical Nutrition, l’adozione di un multivitaminico a base di epicatechine avrebbe l’effetto di annullare la carenza migliorando la memoria del 16%.
Lo studio, pubblicato anche su Pnas, è firmato da scienziati della Columbia University e del Brigham and Women’s Hospital/Harvard. I dati mostrano la capacità dell’integrazione multivitaminica di migliorare i punteggi dei test progettati per rilevare la perdita di memoria dovuta al normale invecchiamento. È emerso anche che l’azione protettiva svolta dai flavonoli è maggiore proprio in quelle persone che seguono una dieta di peggiore qualità.
Alla ricerca hanno partecipato 3.500 anziani sani, assegnati casualmente a ricevere un integratore giornaliero di flavanoli (in pillole) o un placebo per tre anni. L’integratore attivo conteneva 500 mg di flavanoli, tra cui 80 mg di epicatechine, una quantità che gli adulti dovrebbero assumere con l’alimentazione.
Nel gruppo di anziani che seguivano già una dieta sana i punteggi sono migliorati solo leggermente, ma in quello dei soggetti che seguivano una dieta povera di flavanoli i punteggi sono aumentati in media del 10,5% rispetto al placebo e del 16% rispetto alla memoria mostrata a inizio studio. Dai risultati si evince che la carenza di flavanoli è determinante nella perdita di memoria legata all’età. La fisiologica perdita di memoria che si verifica a partire da una certa età può quindi essere rallentata con un’integrazione specifica.
Indagine rivoluzionaria sul cervello umano svela i segreti delle bugie e apre la strada a comportamenti etici e responsabili
Un nuovo studio rivoluzionario, condotto presso il Laboratorio di Neuroscienze Sociali e Cognitive della Fondazione Santa Lucia IRCCS in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia di Sapienza Università di Roma e il Laboratorio di Neuroimmagini della Fondazione Santa Lucia IRCCS, rivela l’impatto delle scelte disoneste sul cervello umano. Utilizzando la Risonanza Magnetica Funzionale, i ricercatori hanno individuato specifiche regioni cerebrali coinvolte durante le interazioni sociali in cui si opta per le bugie.
Attraverso un gioco coinvolgente, i partecipanti sono stati sottoposti a esami neurologici in tempo reale, permettendo agli scienziati di rilevare le differenze di attivazione cerebrale durante la decisione di mentire o dire la verità, soprattutto quando la reputazione era in gioco. I risultati di questa ricerca, pubblicati sulla rivista Communications Biology, mettono in luce il ruolo fondamentale del cingolato anteriore bilaterale (ACC), dell’insula anteriore (AI), del dorsolaterale prefrontale sinistro, dell’area motoria supplementare e del nucleo caudato destro nel processo decisionale.
Secondo Maria Serena Panasiti, neuroscienziata clinica coinvolta nello studio, “Gli individui più manipolativi mostrano un coinvolgimento minore del cingolato anteriore durante le menzogne a proprio vantaggio, ma un coinvolgimento maggiore durante la verità a vantaggio degli altri.” Questa scoperta evidenzia l’importanza del controllo cognitivo quando le decisioni entrano in conflitto con i propri obiettivi personali, specialmente quando si cerca di manipolare gli altri per il proprio vantaggio.
Salvatore Maria Aglioti, coordinatore dello studio, afferma: “La nostra ricerca fornisce importanti informazioni sulle basi neurali delle decisioni disoneste durante le interazioni sociali. La comprensione di questi meccanismi potrebbe aiutare a sviluppare strategie per promuovere comportamenti più etici e responsabili in diversi contesti sociali.”
Questo studio pionieristico, condotto dai ricercatori della Fondazione Santa Lucia IRCCS e della Sapienza Università di Roma, getta una nuova luce sul complesso panorama delle bugie delle scelte morali. Grazie all’integrazione delle neuroscienze e della psicologia, siamo sempre più vicini a comprendere i meccanismi profondi che guidano il nostro comportamento, aprendo la strada a un futuro in cui potremo promuovere relazioni sincere e fiduciose.
Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.
Pingback: Ictus, per evitarlo è fondamentale fare attenzione ai primi sintomi