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Indagine OCSE, cala l’aspettativa di vita e aumentano le spese sanitarie

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Nell’indagine dell’organismo internazionale si parla di un calo dagli 83,6 anni del 2019 agli 82,4% del 2020

Un’indagine dell’Istat dello scorso marzo ha portato alla luce un dato preoccupante. Bruciata in un anno la speranza di vita. un vantaggio acquisito nel decennio che è stato abbattuto dalla pandemia. E arriva anche l’OCSE a confermare il dato parlando di un calo sensibile dell’aspettativa di vita degli italiani che passa dagli 83,6 anni del 2019 agli 82,4 del 2020, nel corso della pandemia.

Al primo novembre – precisa l’organismo internazionale – sono stati 4,8 milioni i casi di contagio nel nostro Paese. Si parla di oltre 132.000 i morti dovuti alla pandemia. Nel rapporto Health at a Glance 2021 si segnala che a livello internazionale l’aspettativa di vita è calata mediamente di 6 mesi. Sempre al primo novembre, in Italia, risulta completamente vaccinato il 71% della popolazione contro contro una media OCSE del 65%”.

La malattia innescata dal virus Sars Cov2 ha avuto “un impatto significativo e negativo sulla salute mentale. In Italia, la prevalenza dei sintomi di depressione è aumentata di tre volte, al 17,3%, a inizio 2020, rispetto all’anno precedente”. In Italia la pandemia ha anche comprensibilmente causato un brusco aumento delle spese sanitarie. Il dato parla di un passaggio dall’’8,7% del Pil nel 2019 al 9,7% del Pil nel 2020Nell’insieme dell’area OCSE, la spesa sanitaria è aumentata mediamente di 0,9 punti nello stesso periodo.

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Lo smog aumenta il pericolo di aritmie cardiache: lo studio

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Prima di questo studio, condotto su 322 città, non vi erano evidenze chiare di un collegamento tra l’inquinamento atmosferico e il rischio di aritmie

Un’esposizione acuta all’inquinamento dell’aria (smog) è risultata associata a un aumento del pericolo di aritmia cardiaca. È quanto emerge da un ampio studio condotto su 322 città cinesi e pubblicato sul Canadian Medical Association Journal. Le aritmie comuni, la fibrillazione atriale e il ‘flutter’ atriale (che possono, tra l’altro, evolvere in malattie cardiache più gravi) colpiscono circa 59,7 milioni di persone a livello globale. L’inquinamento atmosferico è un fattore di rischio modificabile per le malattie cardiache. Fino ad ora, però, non vi erano evidenze chiare di un collegamento tra smog e rischio di aritmie.

“Abbiamo scoperto che l’esposizione acuta all’inquinamento dell’aria era associata a un aumento del rischio di aritmia sintomatica – afferma Renjie Chen, tra gli autori dello studioI rischi si sono verificati nelle prime ore dopo l’esposizione e potevano persistere per 24 ore. Le relazioni esposizione-risposta tra 6 inquinanti e 4 sottotipi di aritmie erano lineari. Dunque, al crescere dell’inquinamento aumenta il rischio di aritmie – ha concluso l’esperto. 

Il team ha valutato l’esposizione oraria all’inquinamento atmosferico e l’insorgenza improvvisa di sintomi di aritmia utilizzando i dati di 2025 ospedali in 322 città cinesi. Lo studio ha incluso ben 190.115 pazienti con insorgenza acuta di aritmia sintomatica, tra cui fibrillazione atriale, flutter atriale, battiti prematuri e tachicardia sopraventricolare. L’esposizione allo smog è risultata maggiormente associata al flutter atriale e alla tachicardia sopraventricolare, seguiti dalla fibrillazione atriale e dai battiti prematuri. Inoltre, tra gli inquinanti, il biossido di azoto (NO2) presentava l’associazione più forte con tutti e 4 i tipi di aritmie

“Sebbene i meccanismi esatti non siano ancora del tutto compresi, l’associazione tra l’inquinamento atmosferico e insorgenza acuta di aritmia che abbiamo osservato è biologicamente plausibile – scrivono gli autori. Alcune evidenze hanno indicato che l’inquinamento altera le attività elettrofisiologiche cardiache. In particolare, lo smog induce stress ossidativo e infiammazione, compromettendo anche la funzione nervosa autonoma. Inoltre, l’effetto negativo risulta immediato, sottolineando la necessità di proteggere le persone a rischio in caso di forte inquinamento atmosferico”.

Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.

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smog

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Salute

Anche camminare poco aumenta l’aspettativa di vita

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Una ricerca pubblicata su ‘Jama Network Open’ rivela che è possibile ottenere benefici sostanziali per salute camminando per 8.000 passi anche soltanto per due giorni alla settimana

Camminare (anche) poco, camminare tutti. Il segreto per ottenere benefici e ridurre il tasso di mortalità sta nel camminare, anche se abbiamo poco tempo a disposizione. Uno studio pubblicato su Jama Network Open rivela che è possibile ottenere benefici sostanziali per la salute camminando per 8.000 passi, anche soltanto per due giorni alla settimana

“Precedenti studi hanno dimostrato che le persone che camminano regolarmente, in particolare quelli che fanno 8.000 passi al giorno o più, sperimentano una mortalità inferiorespiega Kosuke Inoue, della Kyoto University e primo nome dello studioTuttavia si sa poco sui benefici per la salute derivanti dal camminare intensamente solo pochi giorni alla settimana” – dichiara l’esperta.

I dettagli dello studio

I ricercatori giapponesi hanno esaminato l’associazione dose-risposta fra numero di giorni in cui un soggetto raggiunge gli 8.000 passi o più e la mortalità di un campione rappresentativo di 3.101 individui di età pari o superiore a 20 anni che avevano partecipato ai National Health and Nutrition Examination Surveys 2005-2006 e che avevano indossato un accelerometro per una settimana. Tra i partecipanti, 1.583 erano donne e 1.518 uomini. Gli esperti hanno osservato che il 20,4% degli individui non avevano fatto 8.000 passi in nessun giorno della settimana, il 17,2% avevano camminato per 8.000 passi o più in 1-2 giorni alla settimana e il 62,5% avevano raggiunto o superato il numero di passi stabilito dai tre ai sette giorni alla settimana.

Il follow-up è durato 10 anni, nel corso dei quali si sono verificati decessi per ogni causa nel 14,2% dei partecipanti e per cause cardiovascolari nel 5,3% degli stessi. Rispetto a chi non aveva mai raggiunto gli 8.000 passi, il rischio di mortalità per ogni causa era inferiore fra chi aveva camminato per 8.000 o più in uno/due giorni e da tre a sette giorni alla settimana. L’associazione dose-risposta per il rischio di mortalità cardiovascolare e per tutte le cause era curvilinea. L’associazione protettiva si è invece stabilizzata a tre giorni alla settimana.

“I nostri risultati suggeriscono che gli adulti che hanno difficoltà a fare un esercizio fisico regolare possono comunque ottenere benefici significativi per la salute. Si tratta soltanto di raggiungere il numero di passi raccomandato (8.000) anche solo un paio di giorni alla settimana – concludono gli autori.

Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.

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Diabete: il 70% dei casi dipende dall’alimentazione

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Lo rivela una ricerca elaborata da un gruppo di ricercatori della Tufts University (Boston) e pubblicata sulla rivista ‘Nature Medicine’

Un’alimentazione povera e squilibrata causa oltre 14 milioni di casi di diabete nel mondo. A rivelarlo è un lavoro pubblicato su Nature Medicine da un gruppo di ricercatori della Tufts University di Boston. Gli esperti hanno preso in esame i dati relativi al 1990 e al 2018, concludendo che 7 casi su 10 (circa il 70%) sono riconducibili a scelte alimentari sbagliate. 

Sarebbero 4, secondo lo studio, i principali fattori che hanno contribuito in misura maggiore all’aumento del diabete a livello mondiale: scarsa qualità dei carboidrati, scarso consumo di cereali integrali, eccesso di riso e cereali bianchi, e consumo eccessivo di carne lavorata come salsicce, wurstel e hamburger. Inoltre, a contribuire al dato sarebbe anche un consumo eccessivo di succhi di frutta, così come lo scarso consumo di verdure, noci e semi. 

“Il nostro studio suggerisce che la scarsa qualità dei carboidrati è uno dei principali fattori che spiegano i casi di diabete attribuibili alla dieta – dichiara Dariush Mozaffarian, autore principale del lavoroCi sono comunque importanti variazioni a livello nazionale e nel tempo. In ogni caso, questi nuovi risultati rivelano aree critiche su cui concentrarsi per migliorare la nutrizione e ridurre il peso devastante del diabete”.

Nel confronto fra il 1990 e il 2018, i casi di diabete si sono mostrati in aumento in tutti i 184 paesi analizzati. La cattiva alimentazione sembra esercitare la sua influenza negativa soprattutto sugli uomini, fra i giovani e fra i residenti in città. Il maggior aumento di incidenza di casi si è registrato in Polonia e Russia, paesi in cui è alto il consumo di carne lavorata e patate. Alti livelli sono emersi anche in America Latina e nei Caraibi, soprattutto a causa dell’elevato consumo di bevande zuccherate e scarsa assunzione di cereali integrali.

Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.

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