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In Italia sono quasi 8 milioni i consumatori di alcol a rischio

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A illustrare la situazione, come ogni anno, è l’Osservatorio nazionale alcol (Ona) dell’Istituto superiore di sanità – Iss

Nel 2021 sono stati ben 7.7 milioni i cittadini italiani di età superiore a 11 anni (pari al 20% degli uomini e all’8,7% delle donne) a bere quantità di alcol tali da esporre la propria salute a forte rischio. Di questi, circa 3 milioni e mezzo di persone hanno bevuto per ubriacarsi. Mentre, 750.000 sono stati i consumatori dannosi, ovvero coloro che hanno consumato alcol provocando un danno alla loro salute, a livello fisico o mentale. 

A scattare la fotografia è, come tutti gli anni, l’Osservatorio nazionale alcol (Ona) dell’Istituto superiore di sanità – Iss. L’Ona ha rielaborato i dati istat in occasione dell’Alcohol prevention day. Se è vero che molti valori sono diminuiti tornando ai livelli pre-pandemici, è altrettanto vero che questi erano comunque elevati. Ma soprattutto che i decrementi, registrati quasi sempre per gli uomini e non per le donne, sono distanti dal raggiungimento degli Obiettivi salute sostenibile programmati dall’Agenda 2030 nelle Nazioni Unite.

Tra i consumatori maggiormente a rischio preoccupano soprattutto i giovani: sono, infatti, circa 1.370.000 tra 11 e 25 anni a bere quantità importanti di alcol, di cui 620.000 minorenni. Ma anche le donne preoccupano: esse sono circa 2,5 milioni e sempre più in crescita dal 2014, con punte massime di consumatrici a rischio del 29% tra le minorenni (16-17). Infine, occhio anche agli anziani: sono ben 2,6 milioni, di cui un uomo su 3 e una donna su 10 over65 sono a rischio. Gli anziani, in particolare eccedono su base quotidiana e consumano alcolici fuori pasto.

Clicca qui per leggere il comunicato ufficiale dell’Osservatorio nazionale alcol (Ona).

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Leucemia, Commissione europea approva nuova terapia mirata

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Le autorità regolatorie hanno riconosciuto il beneficio apportato dalla nuova cura ai pazienti affetti dalla terribile patologia

La Commissione europea ha approvato una nuova terapia: si tratta di ivosidenib, target therapy sviluppata da Servier, azienda farmaceutica francese. Sono due le indicazioni autorizzate per ivosidenib: in associazione con azacitidina per il trattamento di pazienti adulti con leucemia mieloide acuta (Lma) di nuova diagnosi con una mutazione dell’isocitrato deidrogenasi-1 (IDH1) non idonei a ricevere la chemioterapia di induzione standard; in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti con colangiocarcinoma (Cca) localmente avanzato o metastatico con una mutazione (IDH1), precedentemente trattati con almeno una linea di terapia sistemica.

Formulato in compresse, ivosidenib è il primo e unico inibitore di IDH1 approvato in Europa. Ha ricevuto la designazione di farmaco orfano, dopo che le autorità regolatorie hanno riconosciuto il beneficio apportato ai pazienti rispetto alle terapie disponibili a valle di due differenti studi globali multicentrici randomizzati: lo studio ClarlDHy (colangiocarcinoma) e Studio Agile (leucemia mieloide acuta).

Arnaud Lallouette, M.D., Executive Vice President, Global Medical & Patient Affairs di Servier, commenta: “La prognosi per i pazienti con diagnosi di leucemia mieloide acuta o colangiocarcinoma è sempre stata infausta, con opzioni terapeutiche molto limitate. Con l’approvazione da parte della Commissione europea, ivosidenib è ora il primo inibitore mirato di IDH1 approvato in Europa. Questo conferma sempre di più la nostra leadership scientifica nel setting delle mutazioni IDH1 e il nostro impegno nella ricerca di nuove soluzioni terapeutiche per i pazienti affetti da tumori difficili da trattare”

Anche Philippe Gonnard, M.D., Executive Vice President, Global Product Strategy di Serviercommenta con entusiasmo l’efficacia della nuova terapia. “Le mutazioni di IDH1 sono i principali fattori di progressione di malattia nella leucemia mieloide acuta e nel colangiocarcinoma, patologie che spesso vengono diagnosticate in fase avanzata e quindi bisognose di un’opzione terapeutica mirata. Lo sviluppo di nuove terapie come ivosidenib, con un meccanismo d’azione diverso dai chemioterapici tradizionali, offre ai pazienti nuove opzioni terapeutiche in grado di aumentare l’aspettativa e la qualità di vita”.

Fonte.

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Ue-Pfizer: c’è l’accordo per ridurre le dosi del vaccino anti-Covid

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A seguito dei negoziati, l’accordo prevede la conversione delle dosi originariamente contrattate in ordini facoltativi

L’Unione europea e BioNTech-Pfizer hanno concluso un nuovo accordo per ridurre il numero di consegne dei vaccini contro il Covid pattuite nel terzo contratto di acquisto siglato tra le due parti nel 2021, durante la pandemia. Le dosi inizialmente contrattate potranno essere convertite in ordini facoltativi, dietro pagamento di una tariffa. La somma sarà deducibile nel caso in cui i Paesi decidano di acquistare ulteriori dosi in futuro. Inoltre, l’accordo prevede l’estensione fino a 4 anni, a partire da ora, del periodo in cui i Paesi potranno ricevere i vaccini, compresi quelli adattati alle nuove varianti.

Ma facciamo un passo indietro. Il 20 maggio 2021, la Commissione europea, in collaborazione e per conto degli Stati membri, aveva firmato un terzo contratto con BioNTech-Pfizer per l’acquisto di 900 milioni di dosi di vaccino, con l’opzione di acquistare altre 900 milioni di dosi. Metà delle consegne erano state concordate per il 2021 e il 2022, mentre l’altra meta nel 2023. Il miglioramento della situazione epidemiologica ha portato a un surplus di vaccini. A fine 2022 i ministri della Salute Ue hanno dunque chiesto di ridurre il numero di dosi e prolungare il periodo di consegna. Gli accordi di acquisto con gli sviluppatori di vaccini, sono giuridicamente vincolanti e non possono essere modificati unilateralmente – ha spiegato Bruxelles in una nota.

A seguito dei negoziati con la casa farmaceutica, l’accordo di oggi prevede quindi la conversione delle dosi originariamente contrattate in ordini facoltativi. Un passaggio per il quale si pagherà una tariffa deducibile dal prezzo che gli Stati membri dovrebbero pagare per le dosi opzionali aggiuntive se in futuro decideranno di attivarle. L’accordo prevede infatti che i Paesi possano continuare ad avere accesso a dosi aggiuntive fino al volume originariamente contrattato fino alla fine del contratto, nel caso debbano far fronte a una nuova ondata epidemica.

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Primo trapianto di cuore inattivo da 20 minuti: è la prima volta in Italia

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In passato erano stati eseguiti trapianti con cuore fermo da pochi minuti, ma questo intervento rappresenta il nuovo record

Un cuore fermo e privo di attività elettrica per 20 minuti non ha impedito ai medici dell’Azienda Ospedale Università di Padova di eseguire il trapianto in programma. In passato, erano stati eseguiti trapianti con cuore fermo da pochi minuti. Questo intervento, però, rappresenta il nuovo record. Ma vediamo la storia nel dettaglio.

Il donatore è stato colpito da morte cardiaca e irreversibili danni cerebrali e, secondo la legge, i medici devono osservare la residua attività cerebrale per 20 minuti fino al suo spegnimento prima di procedere all’espianto. L’uomo era potenzialmente compatibile con il quarantaseienne padovano ricevente, cardiopatico congenito con due interventi alle spalle ed in lista per un trapianto dal 2020. Dopo lo stop, il cuore del donatore è stato riperfuso, valutandone la funzionalità; successivamente è stato dato il via all’iter del trapianto. “Per i primi al mondo – ha dichiarato Gino Gerosa, direttore della cardiochirurgia padovana e capo dell’équipe che ha diretto l’intervento – abbiamo dimostrato che si può utilizzare per un trapianto cardiaco un cuore che ha cessato ogni attività elettrica da 20 minuti”.

Anche Massimo Cardillo, direttore del Centro nazionale trapianti (Cnt) ha speso importanti parole in merito. “L’intervento realizzato a Padova – ha detto Cardillo – è sicuramente una nuova opportunità che nasce dall’esperienza che è già è stata fatta da anni in Italia nell’utilizzo di organi da donatore con accertamento di morte cardio-circolatoria. Questi interventi si fanno già da tempo all’estero ed è un’esperienza molto consolidata. Adesso ciò vale anche in Italia e questo è molto positivo e sarà di grande beneficio per i pazienti”.

Al momento sono 600 i pazienti in lista d’attesa per un trapianto di cuore e ogni anno si effettuano circa 250 interventi. “Abbiamo dei lunghi tempi di attesa e purtroppo molti pazienti in attesa muoiono e non arrivano al trapianto – ha spiegato il direttore del Cnt. È pertanto importante utilizzare tutti gli organi e tutti i cuori disponibili dai donatori deceduti. Ovviamente – ha concluso Cardillo – ribadisco che il concetto importante è che i cittadini confermino il consenso alla donazione degli organi“.

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