L’importante risultato, frutto di un ampio studio prettamente italiano, è pubblicato sulla rivista eBioMedicine
Il neuroblastoma è un tumore che prende origine dai neuroblasti, cellule presenti nel sistema nervoso simpatico, una parte del sistema nervoso autonomo che controlla alcune funzioni involontarie come la respirazione, la digestione o il battito cardiaco. In particolare i neuroblasti sono cellule immature, o in via di sviluppo, che si trovano nei nervi e sono diffuse in tutto l’organismo. Per questi motivi, il neuroblastoma può insorgere in diverse sedi, anche se la maggior parte dei casi di manifesta al livello delle ghiandole surrenali. Questo tipo di tumore riguarda principalmente i bambini colpendone annualmente 15.000 nel mondo e oltre un centinaio in Italia.
La ricerca italiana apre però la strada a nuove terapia mirate per questo terribile tumore dell’infanzia. Grazie ad uno studio di bioinformatica condotto sulla più ampia casistica mai esaminata finora, sono state identificate alcunerare varianti genetiche che predispongono a questo tumore maligno del sistema nervoso. Tumore, considerato la prima causa di morte per malattia in età prescolare e il terzo tumore pediatrico per frequenza. Lo studio, pubblicato sulla rivista eBioMedicine, è stato elaborato dal gruppo di Mario Capasso e Achille Iolascon, rispettivamente professore associato e ordinario di Genetica Medica presso l’Università Federico II di Napoli.
“Questa è la più alta casistica studiata fino ad oggi”
“Abbiamo analizzato il Dna di quasi 700 bambini affetti da neuroblastoma e più di 800 controlli mediante sequenziamento avanzato – spiega Capasso. Si tratta di una tecnica innovativa che riesce a decodificare tutti i geni finora conosciuti in modo affidabile è veloce. Inoltre, questa è la più alta casistica mai studiata fino ad oggi grazie alla quale abbiamo scoperto che il 12% dei bambini con neuroblastoma ha almeno una mutazione genetica ereditata che aumenta il rischio di sviluppare un tumore”.
Lo studio (finanziato da Open Onlus, Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma e Fondazione Airc per la ricerca sul cancro) ha preso corpo da analisi computazionali avanzate condotte da Ferdinando Bonfiglio, co-autore dello lavoro. Tutti i dati genetici prodotti sono disponibili in un database online che altri studiosi potranno liberamente consultare per sviluppare nuovi studi.
Risultati utili a migliorare diagnosi e gestione clinica del paziente
“I risultati di questa ricerca hanno rilevanti implicazioni cliniche cliniche per il neuroblastoma – aggiunge Iolascon. Sono risultati utili a migliorare la diagnosi, rendendola sempre più precoce e certa. Ma utili anche nel migliorare la gestione clinica del paziente, indirizzando il medico verso l’utilizzo di trattamenti personalizzati”. Altro dato interessante emerso dallo studio, sottolinea Capasso “è che alcune mutazioni trovate in questi bambini sono associate anche allo sviluppo di malattie del neurosviluppo. Malattie come i disturbi dello spettro autistico. I risultati raggiunti – conclude l’esperto – sono importanti anche a comprendere meglio i meccanismi molecolari che sono alla base dello sviluppo di malattie non oncologiche”.
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L’invenzione consiste in un vaporizzatore che consente di trasformare in pochi secondi qualsiasi molecola farmacologicamente attiva dalla fase liquida a uno stato di gas
Nasce un nuovo strumento per veicolare i farmaci attraverso la nebulizzazione. Un nuovo studio internazionale descrive l’impiego di un innovativo vaporizzatore che è stato testato sull’uomo per la somministrazione di farmaci. Si tratta di un’invenzione che consente di trasformare in poche decine di secondi qualsiasi molecola farmacologicamente attiva dalla fase liquida a uno stato di gas, aprendo la strada a nuove possibilità terapeutiche per patologie respiratorie, cerebrali, cutanee, immunologiche e oncologiche. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista ‘Heliyon’ (Cell Press).
L’inventore del nuovo strumento è il fisico Bruno Brandimarte. “Per molti anni ho insegnato Biofisica applicata alla medicina – spiega l’inventore. Molti colleghi mi ponevano la seguente domanda: ‘come possiamo fare per raggiungere con i farmaci le zone profonde dell’apparato respiratorio, considerando che gli attuali aerosol si fermano ai bronchi?’ Grazie alle mie conoscenze di anatomia ultrastrutturale e di fisica molecolare, trovai l’equazione che lega la dimensione delle gocce del vapore alla frequenza vibratoria che poteva generarle. Da qui, nasce il vaporizzatore” – ha spiegato Brandimarte.
Perché è così importante il nuovo strumento
Lo studio pubblicato ha certificato l’efficacia di questa innovativa via terapeutica. Grazie ad essa, inoltre, si verifica una riduzione drastica dei dosaggi necessari, e dunque una minore tossicità e una maggiore velocità di azione. Il nuovo apparecchio, chiamato Vaporizzatore Molecolare (VM) potrà essere utilizzato nel prossimi futuro per la cura di polmoniti, sinusiti, Parkinson. Ma anche tumori e malattie infettive (Covid incluso) tramite la somministrazione di vaccini e terapie con anticorpi monoclonali secondo schemi posologici del tutto innovativi per via del basso impatto sul paziente. La versatilità di impiego del VM consente di ‘colpire’ in modo mirato target specifici effettuando una medicina di precisione. Di conseguenza implica una vantaggiosa riduzione della concentrazione minima efficace rispetto alle somministrazioni per via sistemica disponibili oggi (orale, intramuscolare, endovenosa).
Vediamo le principali caratteristiche del nuovo strumento. 1) Innanzitutto, un tempo di vaporizzazione di poche decine di secondi, molto utile per la terapia inalatoria nei bambini. 2) La dimensione delle micro-gocce che costituiscono il vapore sono di circa 0,2/0,3 micron; tanto piccole che il vapore si comporta da gas. 3)In terzo luogo, l’assenza di condensazione: tale caratteristica, completamente assente negli aerosol, consente di raggiungere le zone profonde dell’apparato respiratorio (alveoli polmonari). L’assenza di condensazione è fondamentale anche per lo sviluppo di un innovativo sistema di umidificazione di soggetti intubati. 4)Infine, l’erogazione a ‘pressione positiva’, fondamentale per impiego in neonatologia e pediatria, su pazienti molto piccoli che non sono in grado di controllare volontariamente l’inspirazione.
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Un recente studio ha individuato una rara popolazione di cellule staminali leucemiche. I risultati sono pubblicati sulla rivista ‘Nature Communications’
Individuata per la prima volta una rara popolazione di cellule staminali leucemiche che, nei pazienti con leucemia mieloide acuta (Lma), influenzano la mancata risposta alla chemioterapia, causando così ricadute di malattia. Il dato emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’Irccs ‘San Raffaele’ di Milano e pubblicato su ‘Nature Communications’. Il lavoro chiarisce i diversi effetti della chemioterapia su cellule di pazienti con Lma.
Gli autori del lavoro hanno utilizzato innovative tecniche di sequenziamento dell’Rna e di nuovi approcci bioinformatici. Studiando nel dettaglio le cellule tumorali di pazienti e di modelli animali durante la prima somministrazione di chemioterapia gli scienziati hanno scoperto questa rara popolazione di cellule staminali leucemiche. Successivamente hanno sviluppato una firma molecolare, composta da un pannello di geni utile per caratterizzare queste rare cellule staminali leucemiche già al momento della diagnosi, al fine di individuarle tempestivamente per offrire terapie alternative e migliorare la personalizzazione del trattamento.
La leucemia mieloide acuta è una patologia aggressiva che colpisce con maggiore probabilità persone sopra i 60 anni. In realtà può però insorgere anche nei bambini e persone più giovani, cosa cmq rara. Le cure attuali possono portare la malattia a remissione, ma una considerevole percentuale di pazienti adulti presenta una ricaduta dopo il trattamento standard. Dati recenti suggerivano che la ricaduta spesso avesse origine da cellule già presenti alla diagnosi, difficili da distinguere dalla massa leucemia. Inoltre, il meccanismo utilizzato da tali cellule non era noto.
Il commento degli autori
“Siamo partiti dai campioni clinici seriali di 13 pazienti con Lma, conservati nella Biobanca dell’ospedale San Raffaele – riferisce il coordinatore dello studio, Matteo Naldini. Li abbiamo analizzati con una tecnologia innovativa, chiamata sequenziamento dell’Rna a livello di singole cellule (scRNAseq) che ha permesso di ottenere i livelli di espressione di migliaia di geni per ogni singola cellula (il loro trascrottoma)”. Lo sviluppo di nuovi approcci bioinformatici ha consentito di identificare in modo specifico i trascrittomi associati alle cellule leucemiche, distinguendole così dalle cellule ematiche normali. Tale distinzione, non può essere effettuata in maniera affidabile dalla tecnologia standard.
“Per la prima volta abbiamo descritto in modo molto approfondito gli effetti della chemioterapia sulle cellule leucemiche che erano altamente eterogenee – ha aggiunto Bernhard Gentner, tra i firmatari dello studio. Alcune delle cellule leucemiche morivano, altre proliferavano e altre ancora ricadevano in un profondo stato di quiescenza. Identificare questa rara popolazione di cellule è stato come trovare un ago in un pagliaio. Ciò non sarebbe stato possibile con le tecniche standard che rilevano solo la ‘risposta media’ dell’intera popolazione leucemica”.
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L’inibizione del gene Atic, essenziale nella formazione del DNA, potrebbe bloccare la proliferazione cellulare distruttiva e la progressione dell’ipertensione polmonare
Inibire il gene Atic per ridurre in maniera significativa la progressione dell’ipertensione polmonare. Il gene Atic è coinvolto nella produzione delle basi puriniche (costituenti dei nucleotidi) e la sua inibizione potrebbe ‘spegnere’ la proliferazione cellulare distruttiva e dunque ridurre la progressione dell’ipertensione polmonare. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori del Medical College of Georgia, presso l’Università di Augusta (Usa). I risultati del lavoro sono pubblicati sull’European Heart Journal’.
L’ipertensione polmonare è definita come un aumento di pressione nelle arterie dei polmoni, con valori medi a riposo superiori a 20 mmHg. Tale patologia si ripercuote inevitabilmente sul cuore, portando ad un sovraccarico di lavoro per il ventricolo destro che dovrà pompare il sangue contro una resistenza molto aumentata ed andrà col tempo a scompensarsi. Non è ancora chiaro in che modo le cellule gestiscano questa crescita insolita e in quale fase della patologia le terapie siano più efficaci.
Da precedenti studi è emerso che nella proliferazione cellulare è implicato il DNA, con l’RNA e le proteine che producono. Un elemento chiave in questo processo è la purina, e, nella sua produzione il gene Atic svolge un ruolo chiave. Lo studio del team USA ha evidenziato, in un modello animale, che eliminando tale gene, sia dalla muscolatura vascolare che dall’organismo, si riducono lo sviluppo e la progressione dell’ipertensione polmonare. Serviranno ovviamente nuovi studi per confermare tale scoperta, ma di certo le previsioni sono più che positive. Si tratterebbe di una vera e propria svolta terapeutica nella cura di questa patologia.
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