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Conoscere l'oncologia

Novità terapeutiche del tumore alla prostata – Dott. Domenico Germano

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Sesto appuntamento del format ‘Conoscere l’Oncologia’ e secondo con il Dott. Domenico Germano. Questa volta l’esperto oncologo tratta le maggiori novità terapeutiche relative al cancro prostatico

‘Conoscere l’Oncologia’ è il nuovo format di Italian Medical News dedicato agli
approfondimenti oncologici. Per farlo, intervisteremo diversi specialisti provenienti
da tutta Italia, trattando numerosi temi riguardanti l’oncologia. Secondo appuntamento con il Dott. Domenico Germano, Oncologo Medico presso
l’Azienda Ospedaliera ‘San Pio’ di Benevento. Nella prima intervista (che puoi
leggere cliccando qui) l’esperto ha trattato in modo chiaro ed esaustivo dei caratteri generali relativi al tumore della prostata, evidenziando una serie di fattori: dalla prevenzione ai sintomi, passando per una limpida analisi sul passaggio alla fase di metastasi. Questa volta l’attenzione sarà focalizzata sulle novità terapeutiche di questa tipologia di cancro.

Le novità per il carcinoma prostatico metastatico ormonosensibile

Dottore, quali sono le novità terapeutiche più importanti relative al carcinoma
prostatico metastatico ormonosensibile?

Innanzitutto dobbiamo considerare che parliamo di una malattia, quella
ormonosensibile, molto eterogena. Una malattia che comprende una serie di gruppi di pazienti che possono essere a basso o alto rischio. Difatti definiamo i pazienti ad alto rischio quei pazienti che presentano più di 3 metastasi ossee, che abbiano metastasi viscerali (come ad esempio l’interessamento metastatico dei linfonodi) o che presentino un Gleason score con un punteggio superiore ad 8. Ma esistono anche i cosiddetti pazienti ad alto volume, ovvero quei soggetti che presentano più di 4 lesioni ossee di cui almeno una è al di fuori di quello che è l’asse vertebrale-pelvico. Sono dunque gruppi di pazienti eteregonei perché presentano differenti prognosi (e dunque un differente impatto sulla sopravvivenza); per fortuna però in entrambi i gruppi di malattia il 2022 ha rappresentato un anno di straordinaria evoluzione”.

“C’è stata infatti l’introduzione di trattamenti farmacologici che si sono dimostrati
molto importanti. Si tenga conto che per questo tipo di pazienti fino a poco tempo fa avevamo fondamentalmente soltanto la possibilità di praticare la terapia di
deprivazione androgenica. Per fortuna, nel 2022 sono stati introdotti nella pratica
clinica in Italia due anti-androgeni di nuova generazione: l’Enzalutamide e
l’Apalutamide
. I due farmaci hanno dimostrato una riduzione del rischio di morte di questi pazienti che si attestava dal 35 al 48%. Dunque, introducendo questi nuovi farmaci, associati alla terapia di deprivazione androgenica si è avuto un vantaggio della sopravvivenza davvero significativo. Il tutto
testato e dimostrato da studi clinici randomizzati: lo studio TITAN per l’Apalutamide e gli studi ARCHES e ENZAMET per l’Enzalutamide”.

Buone notizie anche per i pazienti definiti ‘Castration resistent M0’

Quali sono invece le novità principali che riguardano i pazienti con carcinoma
prostatico resistente alla castrazione non metastatico?

“Questa è una tipologia di pazienti particolare. Si tratta di pazienti in cui, nonostante la terapia di deprivazione androgenica, si presenta un incremento progressivo del PSA (il marcatore della ripresa della malattia) fino a superare i 2 nanogrammi per ml. Definiamo questi pazienti ‘castration resistent M0’, ovvero con assenza di malattia metastatica a distanza evidenziabile con le tradizionali tecniche di Imaging (Tac e Scintigrafia ossea). Nonostante sapessimo che questi pazienti avrebbero sviluppato prima o poi la malattia metastatica, fino all’anno scorso non avevamo farmaci e/o trattamenti per la terapia di questa precisa forma di tumore alla prostata”.

“Per fortuna però nel 2022, tre studi clinici randomizzati (Spartan, Aramis e Prosper) hanno dimostrato come l’aggiunta di Apalutamide, Darulotamide e Enzalutamide alla terapia di deprivazione androgenica determinasse un vantaggio in termini di libertà dalla comparsa di malattia metastatica ma anche nella sopravvivenza globale. Dunque la novità è la possibilità di aggiunta di una di queste 3 molecole alla terapia di deprivazione androgenica; molecole che ovviamente hanno profili diversi di tollerabilità e che quindi vanno sempre utilizzate in base alle caratteristiche del peculiari del singolo paziente”.

“Un vantaggio importante in termini di qualità di vita”

Quanto impattano queste novità sulla qualità di vita del paziente?

“Sia nella malattia ormonosensibile, sia in quella ‘castration resistent M0’, questi
farmaci hanno dimostrato un vantaggio importante in termini di qualità di vita. Sono stati somministrati ai pazienti, nell’ambito degli studi clinici citati prima, dei test di qualità di vita che hanno dimostrato come i farmaci rappresentavano un grosso vantaggio in entrambe le malattie con parametri migliorativi. Tutto rientra nel solco dell’oncologia moderna: migliorare sia la quantità di vita che possiamo dare ai nostri pazienti ma anche la qualità. Vivere più a lungo e vivere meglio”.

Quanto è importante il ruolo del team multidisciplinare, il cosiddetto GOM, nel
trattamento dei pazienti con cancro prostatico?

“L’introduzione dei gruppi multidisciplinari, ormai istituzionalizzati nell’ambito della
rete oncologica ha determinato un cambio di passo nel trattamento di tutte le
patologie oncologiche
. In verità all’interno della mia struttura ospedaliera già 12
anni fa fu istituito e personalmente da me coordinato, il gruppo multidisciplinare di patologia Uroncologica che chiamavamo GOIP, tale gruppo, composto da
Oncologo,Urologo e Radioterapista discuteva la maggior parte dei casi di tumore
della sfera urogenitale. Con l’introduzione della rete oncologica tutto questo è stato istituzionalizzato: è diventato un obbligo dell’azienda ospedaliera, attraverso un atto deliberativo, attivare il Gruppo Oncologico Multidisciplinare (GOM)”.

“Sicuramente la discussione multidisciplinare migliora la cura del paziente: se di un preciso paziente contemporaneamente ne discutono più specialisti ne fuoriesce un sunto della situazione che non può che migliorare il trattamento. È un vantaggio importante sia dal punto di vista terapeutico che da quello psicologico. Esistono inoltre delle tempistiche da seguire nella cura del paziente, che fanno parte di quelle che sono delle precise linee guida: i cosiddetti PDTA (Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali). Il trattamento dunque segue un preciso percorso, e non ha più una sua discrezionalità. Le tempistiche sono fondamentali”.

Un commento finale

Chiarissimo Dottore. C’è qualcosa che vuole aggiungere per concludere?

“Un commento finale per quanto riguarda la genetica del tumore alla prostata.
Come detto all’inizio il cancro prostatico ha una componente genetica
come rilevato negli ultimi anni. Per questo motivo, per il tumore prostatico è stato posto a rimborso il primo farmaco a bersaglio molecolare: Olaparib. Questo farmaco è indirizzato ad un particolare gruppo di pazienti, ovvero coloro con un tumore prostatico metastatico ‘castration resistent’ che hanno una mutazione di un oncogene denominato BRCA”.

“Olaparib, che è un inibitore del sistema di riparazione del DNA, ha dimostrato un vantaggio di sopravvivenza importante in questo gruppo di pazienti dopo progressione agli agenti ormonali di nuova generazione. Tutto questo ha un duplice importante impatto, sia da un punto di vista prettamente terapeutico, sia perché ci permette di lavorare sul cosiddetto ‘Counseling genetico’ e dunque valutare la trasmissibilità familiare della mutazione genetica eventualmente evidenziata. Questa era un’altra novità importante che era doveroso sottolineare”.

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Focus sulla figura dello Study Coordinator – Intervista Dott.ssa Sgandurra

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La Dott.ssa Francesca Sgandurra, Coordinatore di Ricerca Clinica in Oncologia, espone le caratteristiche principali di una figura sempre più centrale nel mondo sanitario

Il Coordinatore di Ricerca Clinica (CRC), ai più noto con il nome di Study Coordinator o come Data Manager, è una figura fondamentale che gestisce varie fasi della conduzione di uno studio clinico. È un elemento irrinunciabile per qualsiasi struttura sanitaria che voglia partecipare e promuovere studi clinici. Per saperne di più sulla ricerca clinica, la redazione di Italian Medical News ha deciso di intervistare una figura esperta del settore: la Dott.ssa Francesca Sgandurra, Study Coordinator presso l’U.O.C. di Oncologia Medica dell’Ospedale “S. Vincenzo” di Taormina (ME). La Dottoressa Sgandurra ha quindi risposto lucidamente ad una serie di quesiti posti.

Le molteplici funzioni del CRC

Dottoressa, qual è il ruolo principale di un Coordinatore di Ricerca Clinica/Data Manager e quali competenze ritiene siano fondamentali per svolgere questo lavoro in modo efficace?

“Il Coordinatore di Ricerca Clinica (CRC) è una figura che si occupa di coordinare tutte quelle professionalità che ruotano intorno al protocollo di ricerca. Il CRC è infatti un punto di riferimento per il centro clinico, per lo staff sperimentale e per tutte le figure coinvolte, comprese quelle esterne alla struttura ospedaliera. Il Coordinatore di Ricerca Clinica inoltre è conosciuto anche con altre terminologie come ad esempio quella di Study Coordinator o Data Manager”. 

“La nostra è una professione che svolge svariate funzioni. Innanzitutto, quelle gestionali-amministrative di uno studio, a partire dalla compilazione del cosiddetto questionario di fattibilità, ovvero un format fornito dallo Sponsor finalizzato a  valutare l’adeguatezza o meno del centro clinico a svolgere il protocollo. Esistono poi altre attività amministrative di cui lo Study Coordinator si occupa come l’attivazione e la chiusura del protocollo, nonché la programmazione delle visite di monitoraggio da parte di Sponsor e CRO (Contract Research Organization)”.

“C’è poi tutta la fase relativa alla gestione della documentazione sia dello staff sperimentale che dei dati clinici del paziente. Il CRC si occupa anche di gestire tutte le facility del centro clinico, ovvero garantire la qualità di tutte le apparecchiature utilizzate durate la conduzione del protocollo, reperendo certificati di accreditamento e calibrazione etc. Ovviamente è presente tra i compiti anche la gestione di tutte le comunicazioni, verbali e scritte, con tutte le personalità coinvolte: dai medici agli Sponsor, dalle autorità regolatorie ai pazienti. Un’altra attività fondamentale riguarda la gestione del farmaco sperimentale e dei kit di laboratorio per la revisione centralizzata dei campioni biologici”. 

“Per quanto riguarda invece le competenze personali di questa figura, sicuramente il CRC deve avere un background accademico-scientifico oltre a possedere una rigida metodica organizzativa. Allo stesso tempo deve essere una persona elastica e versatile ed avere buone capacità relazionali e interpersonali”.

L’importanza di una corretta gestione del tempo

Come gestisce la complessità e le sfide quotidiane che possono sorgere durante la gestione di uno studio clinico?

“Il CRC deve essere abile nel gestire il tempo e le priorità. Deve lavorare costantemente aggiornando la sua agenda così da raggiungere sempre gli obiettivi entro le scadenze preposte. Dico sempre che non esiste una ‘giornata tipo’ del Coordinatore di Ricerca Clinica per via delle numerose e svariate attività da portare a termine; in ogni caso la gestione del tempo è fondamentale. Spesso poi sopraggiungono gli imprevisti che vanno ad inficiare sulla tabella di marcia e che costringono a rimodulare una giornata di lavoro in corso d’opera; anche qui è necessaria una corretta gestione delle tempistiche e anche una buona dose di problem solving”.

Le Good Clinical Practice (GCP)

Quali sono i principali aspetti etici e regolatori da considerare nella conduzione di uno studio clinico e come si assicura che siano rispettati?

“Tutti gli studi si basano sulle Good Clinical Practice (GCP) ovvero una raccolta di norme e principi, redatte in conformità con la dichiarazione di Helsinki, standardizzate a livello internazionale e in vigore dal 1997. Sono una serie di norme che garantiscono la sicurezza e il benessere del paziente. Le GCP dettano quelli che sono i doveri degli sperimentatori, degli Sponsor e delle autorità regolatorie con il fine ultimo di preservare la salute del paziente. Gli sperimentatori devono assolutamente conoscere le norme GCP e possedere un certificato in corso di validità”. 

“Un’altra fase delicata è la firma del consenso. Nello specifico, lo sperimentatore deve sostenere un colloquio con il paziente durante il quale esporre in modo esaustivo e chiaro il protocollo. È fondamentale dunque che il clinico si assicuri che il paziente accetti consapevolmente di partecipare allo studio clinico. Altro aspetto fondamentale è l’aderenza al protocollo, la quale va garantita parallelamente alla costante vigilanza sulla salute del paziente. Ovviamente è importante anche assicurarsi che tutti gli sperimentatori siano sempre correttamente formati e aggiornati”.

Le regole di una corretta comunicazione

Come gestisce la comunicazione e la collaborazione con il personale medico, i ricercatori e altre figure coinvolte nello studio clinico?

“In questo caso la comunicazione, che sia verbale o scritta, è fondamentale così come una corretta divisione dei ruoli. A tal proposito è importante avere alle spalle un ottimo team multidisciplinare che sia competente e metodico. Personalmente ho la fortuna di lavorare in un team che è coeso, affiatato, motivato e altamente collaborativo. Per quanto riguarda i rapporti con le professionalità esterne, cerco di essere sempre una persona collaborativa, propositiva e disponibile alle comunicazioni. In tal senso, penso che oltre alle competenze e alla professionalità individuali sia importante una buona dose di gentilezza e predisposizione positiva verso l’altro. In generale, una buona comunicazione permette un clima sereno e di conseguenza anche efficiente”.

Vuole aggiungere altro?

“Vorrei aggiungere che questo è un lavoro che amo molto. È un lavoro dinamico e stimolante che permette di interfacciarsi con moltissime personalità e che consente un grande arricchimento personale. È un lavoro che consiglio ai giovani che vogliano muovere i primi passi nel mondo della ricerca clinica, anche e soprattutto al fine di confrontarsi con varie figure professionali, spesso di alto livello. Tuttavia, esiste un grosso problema ancora da risolvere: nonostante il Coordinatore di Ricerca Clinica sia una figura riconosciuta da tempo a livello internazionale, purtroppo in Italia non è ancora istituzionalizzata e la posizione contrattuale ancora indefinita. C’è ancora molto da fare per migliorare questa condizione”.

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L’importanza del supporto nutrizionale nei pazienti con tumori del distretto testa-collo – Dott.ssa Sara Cardellini

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La Dott.ssa Sara Cardellini, Biologa Nutrizionista presso il ‘San Raffaele’ di Milano, spiega l’importanza di una corretta nutrizione per una specifica popolazione oncologica: i pazienti testa-collo

Conoscere l’Oncologia’ è il format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici. Per farlo, intervisteremo diversi specialisti provenienti da tutta Italia, trattando numerosi temi riguardanti l’oncologia. 

Secondo Step con la Dott.ssa Sara Cardellini, Biologa Nutrizionista presso IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, che di recente ci aveva descritto il rapporto tra nutrizione e oncologia, in particolare sottolineando il problema della malnutrizione (articolo che puoi trovare cliccando qui). Questa volta, l’esperta tratta l’importanza di una corretta nutrizione per una specifica popolazione oncologica, ovvero i pazienti che soffrono di tumore del distretto cervico-cefalico, più comunemente conosciuto come distretto testa-collo

Il ruolo fondamentale dello screening nutrizionale

Dottoressa, che ruolo gioca lo screening nutrizionale in pazienti con tumori del distretto testa-collo?

“La valutazione dello stato nutrizionale dovrebbe idealmente essere svolta alla diagnosi in tutti i pazienti oncologici, al fine di intervenire sin da subito su eventuale malnutrizione e permettere di recuperare peso corporeo prima ancora dell’avvio dei trattamenti oncologi qualora il paziente ne abbia nei mesi precedenti. Capita molto spesso che i pazienti con tumori del distretto testa-collo risultino in prima visita oncologica con una buona composizione corporea e senza particolari difficoltà ad alimentarsi, ma considerando l’aggressività dei trattamenti oncologici è bene avviare comunque precocemente una presa in carico nutrizionale per prevenire rapidi ed improvvisi  peggioramenti che potrebbero insorgere nel giro di poche settimane riguardanti la possibilità di alimentarsi regolarmente e con appetito”.

Alimentazione riadeguata in relazione agli effetti collaterali

Con quale scopo viene svolto counselling nutrizionale in pazienti con tumori del distretto testa-collo all’avvio dei trattamenti oncologici?

“In questi pazienti è importantissimo riadeguare l’alimentazione in relazione agli effetti collaterali dei trattamenti chemio-radioterapici che impattano negativamente sulla capacità di introdurre alimenti per bocca; tra questi, troviamo soprattutto disfagia (utilizzare consistenze specifiche degli alimenti aiuta a tal proposito ad evitare dolore e difficoltà nel transito di alimenti e bevande) e mucositi (ovvero infiammazioni a carico del cavo orale, che spesso il paziente avverte come sensazione di bruciore quando l’area interessata entra in contatto con ciò che ingerisce per bocca)”.

“Queste condizioni hanno un impatto debilitante sulla qualità della vita del paziente già ancora prima di iniziare i trattamenti oncologici. Inoltre incidono negativamente anche sulla sua capacità di comunicazione verbale. Suggerimenti mirati riguardanti cosa escludere già in questa fase (ad esempio alcolici, caffè, alimenti troppo secchi e spezie) possono sicuramente aiutare a non aggravare ulteriormente la sintomatologia descritta e a mantenere un buon introito calorico-proteico giornaliero. Una presa in carico nutrizionale tempestiva già dalla diagnosi, quindi, è in grado di prevenire e contrastare queste problematiche per permettere ai pazienti di svolgere con l’efficacia attesa tutto il percorso terapeutico”.

La nutrizione artificiale

Cosa succede se diventa difficile nutrire unicamente tramite alimenti e ONS i pazienti con tumori del distretto testa-collo?

“I rapidi cambiamenti indotti nell’organismo da radio-chemioterapia molto spesso costringono a modificare frequentemente le indicazioni nutrizionali da un incontro all’altro. Questo succede anche perché tanti pazienti ad un certo punto del percorso necessitano dell’attivazione di nutrizione artificiale a causa dell’impossibilità nel proseguire unicamente con l’alimentazione per bocca. Un costante confronto all’interno del team multidisciplinare permette, a tal proposito, di supportare al meglio i pazienti aiutandoli in ciascuno di questi step a gestire le rapide ed improvvise modifiche che sono caratterizzate dall’avere un impatto importante in negativo sulla qualità di vita, già compromessa dai trattamenti in corso; il posizionamento di sondino nasogastrico per utilizzare nutrizione artificiale, per esempio, può essere una valida opzione per evitare che alimenti e bevande possano infiammare ulteriormente il cavo orale già compromesso dagli intensivi trattamenti oncologici in pazienti che perdono peso a causa del ridotto introito calorico per bocca”. 

Referenze:
  1. Bahl A, Elangovan A, Kaur S, Verman R, Oinam AS, Ghoshal S, Panda NK. Pre-Treatment Nutritional Status and Radiotherapy Outcome in Patients with Locally Advanced Head and Neck Cancers. Gulf J Oncolog. 2017 Sep
  2. Orell-Kotikangas H, Österlund P, Mäkitie O, Saarilahti K, Ravasco P, Schwab U, Mäkitie AA. Cachexia at diagnosis is associated with poor survival in head and neck cancer patients. Acta Otolaryngol. 2017 Jul
  3. Cereda E, Cappello S, Colombo S, Klersy C, Imarisio I, Turri A, Caraccia M, Borioli V, Monaco T, Benazzo M, Pedrazzoli P, Corbella F, Caccialanza R. Nutritional counseling with or without systematic use of oral nutritional supplements in head and neck cancer patients undergoing radiotherapy. Radiother Oncol. 2018 Jan
  4. Cook F, Rodriguez JM, McCaul LK. Malnutrition, nutrition support and dietary intervention: the role of the dietitian supporting patients with head and neck cancer. Br Dent J. 2022 Nov

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Carcinoma del colon – Dott. Giovanni Sanna

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Italian Medical News presenta il tredicesimo appuntamento di ‘Conoscere l’Oncologia’ il format dedicato agli approfondimenti oncologici. Questa volta, insieme al Dott. Giovanni Sanna, trattiamo di carcinoma del colon

Conoscere l’oncologia è il format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici. Il format si basa su interviste che vedono protagonisti diversi specialisti oncologici provenienti da tutta Italia. L’appuntamento di quest’oggi è dedicato al carcinoma del colon, patologia che rappresenta il 10% di tutti i tumori diagnosticati nel mondo, oltre ad essere la terza più frequente tra i maschi (12%) dopo il tumore della prostata e quello polmonare, e tra le femmine (11,2%) dopo il cancro della mammella. (Dati AIOM-AIRTUM 2021).

Per saperne di più la redazione di Italian Medical News ha deciso di intervistare il Dott. Giovanni Sanna, Medico Oncologo presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari. L’esperto Dottore ha quindi risposto in modo chiaro ed esaustivo ad una serie di quesiti posti.

Un’elevata incidenza

Dottore, può esporci in linee generali in cosa consiste il carcinoma del colon?

“Si tratta di una neoplasia maligna che insorge sulle diverse sedi dell’intestino crasso. Parliamo del tumore più presente tra la popolazione italiana e non solo. La sua incidenza è al secondo posto nelle donne dopo il tumore della mammella e al terzo posto negli uomini dopo il tumore alla prostata e quello polmonare. Anche la mortalità è molto elevata essendo la seconda neoplasia maggiormente letale sia per gli uomini (dopo il cancro al polmone) che per le donne (dopo il tumore al seno). L’incidenza aumenta con l’età, e tende ad aumentare soprattutto dopo i 55 anni“.

“Se vogliamo fare anche una distribuzione geografica del carcinoma del colon a livello nazionale, troviamo una frequenza più elevata nelle regioni del nord (specie Trentino Alto Adige e Veneto) e più bassa al sud; allo stesso tempo, però, nel meridione e nelle isole si rileva una mortalità maggiore. Quest’ultimo è un fattore che la dice lunga sia sull’adesione alle campagne di screening promosse dalle regioni, sia su una (probabile) minore qualità assistenziale rispetto al settentrione”.

Sopravvivenza in aumento

“Per fortuna però, la sopravvivenza è in stabile aumento e questo è indice del miglioramento delle cure che vengono messe in atto. Un’incidenza così elevata è correlata a dei fattori di rischio. Tra i principali possiamo menzionare l’eccessiva ingestione di cibi ad alto contenuto di grassi e carboidrati e il corrispettivo basso consumo di frutta e verdura, l’uso in elevate quantità di alcolici e l’abitudine costante al fumo di sigarette. Esistono anche delle cause genetiche tra cui la poliposi familiare e la sindrome di Lynch. Attenzione anche alle malattie infiammatorie intestinali croniche che in alcuni casi possono essere alla base del carcinoma del colon”.

Sintomi e prevenzione

Quali sono invece i sintomi più frequenti di questa tipologia di cancro?

“Tra i sintomi principali della fase primitiva del carcinoma del colon possiamo menzionare l’irregolarità dell’alvo (che riguarda in particolare il colon sinistro), la rettorragia e l’insorgenza di un’anemia progressivamente più rilevante. Menzionerei anche i dolori addominali. In ogni caso, irregolarità dell’alvo, rettoragia e anemia sono sicuramente i più frequenti”.

Quanto è importante invece la prevenzione?

“La prevenzione è fondamentale, e possiamo dividerla in due principali categorie. La prima è rappresentata dalla prevenzione primaria, ovvero il condurre un’alimentazione e in generale una vita sana. Dunque mangiare più frutta e verdura e meno grassi, evitare eccessive quantità alcoliche e non fumare. La seconda categoria è rappresentata invece dalla prevenzione secondaria, cioè sottoporsi agli screening. Parliamo di una prevenzione volta ad individuare il più precocemente possibile l’insorgenza di una malattia e ha come scopo principale quello della riduzione della mortalità per quella precisa patologia, tra cui il carcinoma del colon. Le regioni italiani offrono dei programmi di screening, anche e soprattutto per questa tipologia di cancro, rivolti alle persone con età pari o superiore ai 55 anni”.

Alla scoperta di cetuximab

Dottore, trattiamo ora di un farmaco in particolare: cetuximab. In cosa consiste e in che modo agisce?

“Il cetuximab non è un chemioterapico classico come siamo abituati ad immaginare. Si tratta di un farmaco inibitore del fattore di crescita epidermico: in altri termini inibisce il segnale intracellulare di proliferazione che viene dato dal recettore del fattore di crescita. Il tutto comporta una mancata traduzione del segnale all’interno della cellula e dunque la mancata replicazione della cellula tumorale. Parliamo di un farmaco conosciuto ormai da un po’ di anni e si utilizza soltanto nelle fasi di malattia metastatica. Questo perché è inutilizzabile come terapia precauzionale. Nell’ambito della malattia metastatica il cetuximab è indicato sia nella prima sia nella seconda sia in linee successive e il suo utilizzo avviene quasi esclusivamente in associazione a diversi tipi di chemioterapia”.

“Cetuximab è in ogni caso condizionato dalla selezione molecolare della neoplasia: questo perché, si è visto che funziona soltanto in neoplasie coliche in assenza di mutazioni delle sequenze geniche K-RAS, N-RAS e B-RAF. La presenza di queste mutazioni rappresenta una controindicazione assoluta all’uso di cetuximab. In aggiunta, negli ultimi anni si è costatato che l’efficacia del farmaco è più elevata quando la neoplasia colica, sempre in assenza di mutazioni genetiche parlate prima, si trova nel colon sinistro, rispetto al colon destro. Insomma, quando la neoplasia si trova nel colon sinistro, il cetuximab diventa più efficace”.

Descrizione di un caso clinico

Per chiudere, può parlarci un caso clinico che ha visto l’utilizzo di cetuximab?

“Ce n’è uno molto significativo. Un caso che riguarda una donna, che attualmente ha 65 anni ed è in cura dal 2018, quando le venne diagnosticata una neoplasia del retto prossimale. La signora era stata sottoposta ad una resezione anteriore diretto nell’ottobre del 2018, e già all’atto della stadiazione erano presenti 3 lesioni epatiche metastatiche, per cui dopo l’intervento chirurgico sul tumore primitivo e sui linfonodi, è stato definito e avviato un programma di terapia. Tale programma prevedeva 6 cicli di FOLFOX, un intervento chirurgico sulle metastasi epatiche e poi altri 6 cicli di FOLFOX”.

Purtroppo, al termine del programma, si è verificata un’evidente progressione di malattia con il riscontro di metastasi polmonari diffuse e di nuove metastasi epatiche. In questo difficile caso, la selezione molecolare aveva documentato l’assenza di mutazioni dei geni K-RAS, N-RAF e B-RAS e, essendo un colon sinistro, si è deciso di avviare una cura a base di cetuximab. La cura è iniziata intorno all’ottobre del 2019, e la signora è rimasta in terapia con il farmaco fino all’aprile del 2021. Si parla dunque di circa un anno e mezzo di terapia con cetuximab“.

“Successivamente nell’ottobre del 2021, essendoci state nuove progressioni della malattia, ho ritenuto di effettuare prima una biopsia liquida e successivamente, dopo aver riscontrato assenza di mutazioni genetiche, ho ripreso la cura con cetuximab. Ad oggi, a inizio del 2023, la paziente è in ottime condizioni, la malattia è remissione parziale. Tutto questo fa ben capire l’importanza di cetuximab per trattare questa neoplasia maligna”.

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