Si tratta del 44° gruppo sanguigno ad essere descritto. La scoperta potrebbe essere utile per comprendere alcune rare malattie del sangue
Oltre ai gruppi sanguigni più comunemente conosciuti come A, B, 0 e Rh esistono dozzine di altri gruppi. L’ultimo è stato appena scoperto da uno studio condotto dal National Health Service Blood and Transplant (Nhsbt) e pubblicato sulla rivista ‘Blood’. Il suo nome è ‘Er’ e la sua scoperta potrebbe essere fondamentale per comprendere e prevenire rare malattie del sangue. Si tratta del 44° gruppo sanguigno ad essere identificato e descritto.
Secondo lo studio ci sono cinque antigeni Er in questo nuovo gruppo il quale può indurre le cellule immunitarie ad attaccare le cellule non corrispondenti, cosa che accade quando i gruppi sanguigni sono incompatibili. Gli esperti ritengono che questo potrebbe essere davvero utile per medici e infermieri nella diagnosi dei pazienti. In realtà lo studio di Er ha già dei precedenti storici risalenti a circa 40 anni fa. A far avviare le indagini fu la morte di neonati, la quale aveva spinto gli scienziati nell’avviare ricerche su un raro gruppo sanguigno individuato per la prima volta nell’uomo nel 1982.
Ma adesso la situazione è decisamente più chiara grazie alla nuova scoperta. Ma come è nata la ricerca? Un team di ricercatori guidati dalla sierologa Nicole Thornton del National Health Service Blood and Transplant (NHSBT) del Regno Unito ha analizzato il sangue di 13 pazienti con gli antigeni sospetti. Hanno identificato cinque variazioni negli antigeni Er: le varianti conosciute Era, Erb, Er3 e due nuove Er4 ed Er5.
Successivamente, sequenziando i codici genetici dei pazienti, l’equipaggio e il team sono stati in grado di individuare il gene che codifica per le proteine della superficie cellulare. Sorprendentemente si trattava di un gene già familiare alla scienza medica: PIEZO1. Il gene è già associato a diverse malattie conosciute. L’equipaggio e il team hanno confermato i loro risultati eliminando PIEZO1 in una linea cellulare di eritroblasti, un precursore dei globuli rossi, e testando gli antigeni. PIEZO1 è necessario per aggiungere l’antigene Er alla superficie della cellula. Questo studio mette in evidenza la potenziale antigenicità anche di proteine molto poco espresse e la loro rilevanza per la medicina trasfusionale.
L’invenzione consiste in un vaporizzatore che consente di trasformare in pochi secondi qualsiasi molecola farmacologicamente attiva dalla fase liquida a uno stato di gas
Nasce un nuovo strumento per veicolare i farmaci attraverso la nebulizzazione. Un nuovo studio internazionale descrive l’impiego di un innovativo vaporizzatore che è stato testato sull’uomo per la somministrazione di farmaci. Si tratta di un’invenzione che consente di trasformare in poche decine di secondi qualsiasi molecola farmacologicamente attiva dalla fase liquida a uno stato di gas, aprendo la strada a nuove possibilità terapeutiche per patologie respiratorie, cerebrali, cutanee, immunologiche e oncologiche. I risultati dello studio sono pubblicati sulla rivista ‘Heliyon’ (Cell Press).
L’inventore del nuovo strumento è il fisico Bruno Brandimarte. “Per molti anni ho insegnato Biofisica applicata alla medicina – spiega l’inventore. Molti colleghi mi ponevano la seguente domanda: ‘come possiamo fare per raggiungere con i farmaci le zone profonde dell’apparato respiratorio, considerando che gli attuali aerosol si fermano ai bronchi?’ Grazie alle mie conoscenze di anatomia ultrastrutturale e di fisica molecolare, trovai l’equazione che lega la dimensione delle gocce del vapore alla frequenza vibratoria che poteva generarle. Da qui, nasce il vaporizzatore” – ha spiegato Brandimarte.
Perché è così importante il nuovo strumento
Lo studio pubblicato ha certificato l’efficacia di questa innovativa via terapeutica. Grazie ad essa, inoltre, si verifica una riduzione drastica dei dosaggi necessari, e dunque una minore tossicità e una maggiore velocità di azione. Il nuovo apparecchio, chiamato Vaporizzatore Molecolare (VM) potrà essere utilizzato nel prossimi futuro per la cura di polmoniti, sinusiti, Parkinson. Ma anche tumori e malattie infettive (Covid incluso) tramite la somministrazione di vaccini e terapie con anticorpi monoclonali secondo schemi posologici del tutto innovativi per via del basso impatto sul paziente. La versatilità di impiego del VM consente di ‘colpire’ in modo mirato target specifici effettuando una medicina di precisione. Di conseguenza implica una vantaggiosa riduzione della concentrazione minima efficace rispetto alle somministrazioni per via sistemica disponibili oggi (orale, intramuscolare, endovenosa).
Vediamo le principali caratteristiche del nuovo strumento. 1) Innanzitutto, un tempo di vaporizzazione di poche decine di secondi, molto utile per la terapia inalatoria nei bambini. 2) La dimensione delle micro-gocce che costituiscono il vapore sono di circa 0,2/0,3 micron; tanto piccole che il vapore si comporta da gas. 3)In terzo luogo, l’assenza di condensazione: tale caratteristica, completamente assente negli aerosol, consente di raggiungere le zone profonde dell’apparato respiratorio (alveoli polmonari). L’assenza di condensazione è fondamentale anche per lo sviluppo di un innovativo sistema di umidificazione di soggetti intubati. 4)Infine, l’erogazione a ‘pressione positiva’, fondamentale per impiego in neonatologia e pediatria, su pazienti molto piccoli che non sono in grado di controllare volontariamente l’inspirazione.
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Un recente studio ha individuato una rara popolazione di cellule staminali leucemiche. I risultati sono pubblicati sulla rivista ‘Nature Communications’
Individuata per la prima volta una rara popolazione di cellule staminali leucemiche che, nei pazienti con leucemia mieloide acuta (Lma), influenzano la mancata risposta alla chemioterapia, causando così ricadute di malattia. Il dato emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’Irccs ‘San Raffaele’ di Milano e pubblicato su ‘Nature Communications’. Il lavoro chiarisce i diversi effetti della chemioterapia su cellule di pazienti con Lma.
Gli autori del lavoro hanno utilizzato innovative tecniche di sequenziamento dell’Rna e di nuovi approcci bioinformatici. Studiando nel dettaglio le cellule tumorali di pazienti e di modelli animali durante la prima somministrazione di chemioterapia gli scienziati hanno scoperto questa rara popolazione di cellule staminali leucemiche. Successivamente hanno sviluppato una firma molecolare, composta da un pannello di geni utile per caratterizzare queste rare cellule staminali leucemiche già al momento della diagnosi, al fine di individuarle tempestivamente per offrire terapie alternative e migliorare la personalizzazione del trattamento.
La leucemia mieloide acuta è una patologia aggressiva che colpisce con maggiore probabilità persone sopra i 60 anni. In realtà può però insorgere anche nei bambini e persone più giovani, cosa cmq rara. Le cure attuali possono portare la malattia a remissione, ma una considerevole percentuale di pazienti adulti presenta una ricaduta dopo il trattamento standard. Dati recenti suggerivano che la ricaduta spesso avesse origine da cellule già presenti alla diagnosi, difficili da distinguere dalla massa leucemia. Inoltre, il meccanismo utilizzato da tali cellule non era noto.
Il commento degli autori
“Siamo partiti dai campioni clinici seriali di 13 pazienti con Lma, conservati nella Biobanca dell’ospedale San Raffaele – riferisce il coordinatore dello studio, Matteo Naldini. Li abbiamo analizzati con una tecnologia innovativa, chiamata sequenziamento dell’Rna a livello di singole cellule (scRNAseq) che ha permesso di ottenere i livelli di espressione di migliaia di geni per ogni singola cellula (il loro trascrottoma)”. Lo sviluppo di nuovi approcci bioinformatici ha consentito di identificare in modo specifico i trascrittomi associati alle cellule leucemiche, distinguendole così dalle cellule ematiche normali. Tale distinzione, non può essere effettuata in maniera affidabile dalla tecnologia standard.
“Per la prima volta abbiamo descritto in modo molto approfondito gli effetti della chemioterapia sulle cellule leucemiche che erano altamente eterogenee – ha aggiunto Bernhard Gentner, tra i firmatari dello studio. Alcune delle cellule leucemiche morivano, altre proliferavano e altre ancora ricadevano in un profondo stato di quiescenza. Identificare questa rara popolazione di cellule è stato come trovare un ago in un pagliaio. Ciò non sarebbe stato possibile con le tecniche standard che rilevano solo la ‘risposta media’ dell’intera popolazione leucemica”.
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L’inibizione del gene Atic, essenziale nella formazione del DNA, potrebbe bloccare la proliferazione cellulare distruttiva e la progressione dell’ipertensione polmonare
Inibire il gene Atic per ridurre in maniera significativa la progressione dell’ipertensione polmonare. Il gene Atic è coinvolto nella produzione delle basi puriniche (costituenti dei nucleotidi) e la sua inibizione potrebbe ‘spegnere’ la proliferazione cellulare distruttiva e dunque ridurre la progressione dell’ipertensione polmonare. È quanto emerge da un nuovo studio condotto da un gruppo di ricercatori del Medical College of Georgia, presso l’Università di Augusta (Usa). I risultati del lavoro sono pubblicati sull’European Heart Journal’.
L’ipertensione polmonare è definita come un aumento di pressione nelle arterie dei polmoni, con valori medi a riposo superiori a 20 mmHg. Tale patologia si ripercuote inevitabilmente sul cuore, portando ad un sovraccarico di lavoro per il ventricolo destro che dovrà pompare il sangue contro una resistenza molto aumentata ed andrà col tempo a scompensarsi. Non è ancora chiaro in che modo le cellule gestiscano questa crescita insolita e in quale fase della patologia le terapie siano più efficaci.
Da precedenti studi è emerso che nella proliferazione cellulare è implicato il DNA, con l’RNA e le proteine che producono. Un elemento chiave in questo processo è la purina, e, nella sua produzione il gene Atic svolge un ruolo chiave. Lo studio del team USA ha evidenziato, in un modello animale, che eliminando tale gene, sia dalla muscolatura vascolare che dall’organismo, si riducono lo sviluppo e la progressione dell’ipertensione polmonare. Serviranno ovviamente nuovi studi per confermare tale scoperta, ma di certo le previsioni sono più che positive. Si tratterebbe di una vera e propria svolta terapeutica nella cura di questa patologia.
Per maggiori informazioni cliccaquie leggi i risultati originali dello studio.
azadehar
11 Dicembre 2022 at 9:12
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