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Pnrr, pronta la bozza: 19,7 miliardi per la Missione Salute

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Tanti fondi del Pnrr destinati alla Sanità da dividere tra le Regioni

Pronta la bozza per lo smistamento delle prime risorse del Pnrr. Una pioggia di fondi che hanno l’obiettivo di rimodulare, rinforzare, migliorare, ogni singolo aspetto che è stato intaccato dalla pandemia. Una parte delle oltre 160 pagine riguarda il capitolo salute, con la missione numero 6. Per la sanità sono previsti 19,72 miliardi di euro: 7,5 per la missione assistenza di prossimità e telemedicina, 10.5 per innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria. A questi vanno aggiunti 1.71 miliardi di REACT-EU. Gli obiettivi sono tanti:

Intervenire con azioni di rafforzamento sia del sistema ospedaliero sia, in particolare, della rete dell’assistenza territoriale. L’obiettivo è garantire omogeneità nella capacità di dare risposte integrate (di natura sanitaria e sociosanitaria), nonché equità di accesso alle cure. Nello specifico riguarda:

· Resilienza e tempestività di risposta del sistema sanitario alle patologie infettive emergenti gravate da alta morbilità e mortalità, nonché ad altre emergenze sanitarie.

· Impulso alla sanità digitale. Disporre di soluzioni digitali per piani di presa in carico multidisciplinari e multiprofessionali in grado di integrare processi di cura ed assistenza. Nonché di supportare la vicinanza e la comunicazione alle persone.

· Il settore della ricerca scientifica, incrementando le risorse destinate alla ricerca biomedica e sanitaria anche attraverso la promozione di fondi equity. Sviluppando le competenze che possano facilitare il trasferimento tecnologico.

La pandemia ha messo in crisi un sistema che stava andando al collasso

· Ospedali sicuri, tecnologici, digitali e sostenibili, con azioni miranti all’ammodernamento tecnologico delle strutture ospedaliere. Particolare riferimento alle attrezzature di alta tecnologia e ad altri interventi orientati alla digitalizzazione delle strutture sanitarie.

· Capacità, l’efficacia, la resilienza e l’equità del Paese di fronte agli impatti sulla salute, attuali e futuri, associati ai rischi ambientali e climatici.

· Intervenire sulla compagine del personale sanitario, anche sotto il profilo formativo. Il fine è sviluppare le competenze tecnico-professionali, digitali e manageriali dei professionisti del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Nonché di colmare le carenze relative sia ad alcune figure specialistiche, sia nel campo della medicina generale.

Tra gli obiettivi del Pnrr c’è quello di promuovere una Sanità sempre più tecnologica vicina al paziente

La pandemia da Covid-19 ha reso evidente il valore universale della salute e la sua natura di bene pubblico fondamentale. L’SSN è riconosciuto in tutto il mondo come uno dei pochi sistemi che riesce a raggiungere adeguati risultati in termini di salute. Al contempo mantiene una spesa sanitaria contenuta. L’Italia, infatti, si caratterizza per una popolazione con elevata speranza di vita alla nascita (circa 83 anni secondo la rilevazione Istat relativa al 2019) e un tasso di mortalità inferiore (circa 10.5 per mille abitanti) rispetto ai paesi OCSE, e, al tempo stesso, per una 151 spesa sanitaria pubblica in rapporto al PIL relativamente contenuta (pari al 6,5%, contro il 7,8% della media europea, il 9,6% della Germania e il 9,4% della Francia).

Le dinamiche e i trend del settore individuano nell’invecchiamento della popolazione la sfida più importante che i sistemi sanitari dovranno affrontare. E questo porta a un conseguente aumento delle cronicità. Tale sfida è rilevante anche per il SSN del nostro Paese. In Italia l’incidenza della popolazione anziana sul totale è elevata (23% circa di over 65 e 3,6% circa di over 80); ciò si traduce inevitabilmente, a livello epidemiologico, in una costante crescita dell’incidenza di malattie croniche non trasmissibili, cosi come nel resto del mondo.

L’SSN è chiamato ad orientarsi sempre di più a una domanda di salute e bisogni che variano con il cambiamento demografico

Considerato il cambiamento demografico in corso e l’aumento della popolazione anziana, il SSN deve quindi orientarsi ad una domanda di salute e a bisogni complessi. Questi necessitano di una offerta di servizi integrati della rete di assistenza territoriale (sanitaria e socio sanitaria). Elemento imprescindibile per garantire una risposta assistenziale appropriata ed efficace alle persone. Il quadro attuale dell’assistenza sanitaria territoriale, tuttavia, mostra elevata frammentarietà e significativi elementi di criticità. In particolare, l’Italia evidenzia un forte ritardo sulla diffusione dell’assistenza domiciliare.

La tendenza a razionalizzare i ricoveri ospedalieri inappropriati deve essere consolidata e rafforzata. Occorre demandare all’ospedale le attività a maggiore complessità e spostare a livello territoriale le prestazioni meno complesse. Anche il sistema ospedaliero manifesta ritardi. In particolare riguardo alla carenza e formazione del personale. Inoltre in termini di vetustà delle apparecchiature tecnologiche e 152 delle dotazioni informatiche. Per cui è prioritario prevedere interventi di ammodernamento in modo uniforme sul territorio nazionale.

La pandemia ha fatto emergere tutte le crepe di un sistema che ha rischiato il collasso: col Pnrr si cerca un rimedio

A fronte di tale contesto, il SSN è giunto, inoltre, alla prova del Covid-19 manifestando elementi di relativa debolezza e divario tra le Regioni. La risposta del SSN all’avanzata della pandemia, infatti, è stata ostacolata da difficoltà nell’approvvigionamento di dispositivi medici e sanitari adeguati. Inoltre da una carente dotazione di risorse umane specializzate e di infrastrutture (in particolare tecnologiche e digitali). Infine soprattutto da una risposta non sempre adeguata dell’assistenza territoriale e di quella ospedaliera. Emerge quindi l’esigenza di intervenire con azioni di rafforzamento sia del sistema ospedaliero sia, in particolare, della rete dell’assistenza territoriale. Quest’ultima appare, infatti, debole e non omogenea nella capacità di dare risposte integrate (di natura sanitaria e sociosanitaria). Non garantisce equità di accesso alle cure e costituendo una delle principali criticità del SSN.

La sanità digitale ha un ruolo trasversale e cruciale per supportare lo sviluppo dell’assistenza territoriale

Per supportare lo sviluppo dell’assistenza territoriale e per fronteggiare il futuro fabbisogno di cure, la sanità digitale riveste un ruolo cruciale e trasversale. Solo l’1,2% della spesa sanitaria pubblica è destinato a tecnologie digitali 4.0. La spesa in sanità digitale in Italia si assesta su 22 € pro capite. Il “DESI Index” – Indice di digitalizzazione dell’economia e della società ci vede posizionati al 25° posto in Europa nel 2020.

Disporre quindi di soluzioni digitali per piani di presa in carico multidisciplinari e multiprofessionali diventa un fattore fondamentale. Utile per sostenere il processo di potenziamento e di omogeneizzazione dei servizi territoriali in tutte le aree del Paese nella fase post emergenziale. Sul versante della ricerca scientifica, che è uno degli asset strategici del nostro Paese, si rilevano alcune tendenze strutturali su cui è altrettanto importante intervenire:

Col Pnrr si punta ad affrontare alcune criticità che sono emerse nel corso degli ultimi due anni

la riduzione dei fondi destinati alla ricerca biomedica e sanitaria; il numero ridotto di brevetti, pur a fronte della crescita delle produzioni scientifiche degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS);

la carenza di capitali di rischio e di competenze che possano facilitare il trasferimento tecnologico. Infine, ulteriore elemento da affrontare e non più rinviabile per il SSN riguarda il rafforzamento della compagine del personale sanitario, anche sotto il profilo formativo.

l’Italia mostra un numero di infermieri inferiore ai Paesi OCSE (5,8 per 1.000 abitanti rispetto alla media europea di 8,8). Nonostante il numero dei medici sia nel complesso superiore al valore europeo, è necessario colmare le carenze relative ad alcune figure specialistiche. E questo vale anche per il campo della medicina generale. In particolare, occorre rafforzare il ruolo del Ministero della salute e delle Regioni nell’attività di programmazione dei fabbisogni formativi.

Nella Missione Salute del Pnrr sono previste risorse per il rafforzamento della resilienza e della tempestività di risposta del sistema alle patologie infettive emergenti

Nella missione Salute, sono previste risorse per il rafforzamento della resilienza e della tempestività di risposta del sistema sanitario. In particolare per le patologie infettive emergenti gravate da alta morbilità e mortalità, nonché ad altre emergenze sanitarie. Questo obiettivo viene perseguito in primo luogo attraverso lo sviluppo di una sanità di prossimità, vicina ai bisogni delle persone. In secondo luogo, si punta a rafforzare il settore della ricerca scientifica e a sostenere la sfida dell’innovazione. Un obiettivo da centrare attraverso l’ammodernamento tecnologico ed il potenziamento dei processi di digitalizzazione e di innovazione tecnologica.

Capitolo importante del Pnrr è quello legato all’evoluzione e completamento del Fascicolo Sanitario Elettronico

Inoltre, occorrerà accelerare l’evoluzione e il completamento del Fascicolo Sanitario Elettronico. Infine rafforzare l’infrastruttura tecnologica e la capacità del Ministero della Salute. Nello specifico disporre di strumenti innovativi di analisi dei dati e di simulazione di scenari predittivi. Strumenti in grado di supportare scelte complesse di programmazione sanitaria e di prevenzione. La missione si concretizza in due componenti per quanto riguarda gli interventi:

· Assistenza di prossimità e telemedicina

· Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria

Gli interventi saranno caratterizzati da linee di azione coerenti all’interno di un unico progetto di riforma. L’obiettivo è rafforzare e rendere più sinergica la risposta territoriale e ospedaliera, nonché l’attività di ricerca del SSN:

· Definire e migliorare un’assistenza di prossimità, vicina ai bisogni dei cittadini, per consentire un’effettiva equità di accesso della popolazione alle cure sanitarie e sociosanitarie. Attraverso la definizione di standard qualitativi e quantitativi uniformi, potenziare la rete dei servizi distrettuali, nonché il consolidamento di quella ospedaliera ad essa integrata.

Innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria rientrano tra le priorità del Pnrr

· Pensare a un nuovo assetto istituzionale di prevenzione Salute-Ambiente-Clima, secondo l’approccio “One-Health”. Per promuovere la salute umana rispetto alle determinanti ambientali e ai loro cambiamenti. Il tutto in sinergia con lo sviluppo economico e sociale del Paese.

· Riformare il rapporto tra Salute e Ricerca, rivisitando il regime giuridico degli IRCCS e delle politiche afferenti al Ministero della Salute. Sostenere l’attività di ricerca e rafforzare le capacità di risposta del SSN alle emergenze sanitarie. Alla transizione epidemiologica e ai fabbisogni sanitari legati al quadro demografico. Gli interventi saranno calibrati in funzione della possibilità di compensare finanziariamente gli oneri permanenti nell’ambito delle risorse complessive disponibili a legislazione vigente nel Sistema.

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Medici ospedalieri, uno su tre vuole cambiare mestiere: la survey

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Il dato emerge da un sondaggio condotto da Anaao Assomed, sindacato dei medici ospedalieri. Alla survey hanno risposto 2130 camici bianchi

Un medico ospedaliero su tre vorrebbe cambiare lavoro per avere più tempo libero e retribuzioni più alte. Fra i camici bianchi più avanti con l’età compare anche l’esigenza di una maggiore sicurezza sul lavoro. La fascia di età più in crisi è quella tra i 45 e i 55 anni. È quanto emerge da un sondaggio condotto dal maggior sindacato dei medici ospedalieri, Anaao Assomed. Hanno partecipato alla survey 2130 tra medici e dirigenti sanitari.

I dati e le percentuali

Entriamo nel dettaglio. Più della metà (56,1%) tra medici e dirigenti sanitari è insoddisfatta delle condizioni del proprio lavoro. Inoltre, 1 su 4 (26,1%) risulta scontento della propria qualità di vita in particolare per quanto concerne la relazione familiare. Un sintomo inequivocabile di quanto il lavoro ospedaliero sia divenuto causa di sofferenza e alienazione Un’insoddisfazione che aumenta con il crescere della anzianità di servizio e delle responsabilità. Infatti, i giovani medici in formazione (24,6%) si dichiarano meno insoddisfatti dei colleghi di età più avanzata, tra i quali si raggiunge l’apice di insoddisfazione tra i 45 e i 55 anni: un periodo della vita lavorativa in cui si aspetta quel riconoscimento professionale che però il nostro sistema non riesce a garantire.  

Per quanto riguarda i cambiamenti desiderati nel lavoro, il primo posto è occupato da incrementi degli stipendi con il 63,9%, seguito a ruota dall’esigenza di una maggiore disponibilità di tempo. Singolare notale come ci sia prevalenza del fattore tempo per le donne sugli uomini che invece mirano, in maggiore misura, a retribuzioni più adeguate. Il sondaggio evidenzia inoltre come per gli over 65 (15,8%) sia prioritaria una maggiore sicurezza rispetto ai colleghi più giovani (6,3%). Al contrario, l’esigenza dei giovani di una maggior disponibilità di tempo per la famiglia e per il tempo libero è più alta (37,9%) rispetto ai colleghi con maggior anzianità di servizio (27,6%). In generale, l’aumento delle retribuzioni e del tempo libero hanno un peso maggiore nelle aspettative rispetto alla progressione di carriera.

Il 36%, ovvero poco più di 1 su 3, soprattutto nelle classi di età tra i 45 e i 55 anni, appare disposto a cambiare il lavoro attuale. Il 20% degli intervistati si dichiara ancora indeciso, segno del fatto che almeno una volta si è interrogato sul futuro della professione e sul suo ruolo all’interno del sistema. La crisi della professione è più sentita al sud rispetto al nord. Si va dal 53,6% del nord, passando al 56,3% del centro per finire al sud e isole con ben il 64,3% di insoddisfatti. “Ma il dato appare – osserva Anaao Assomed – talmente diffuso da configuare quasi una patologia endemica con la quale convivere e per la quale non esista vaccino o terapia”.

L’esigenza di un nuovo modello

È opportuno pensare che pesi il fatto che l’Italia spenda solo il 6,1% del Pil per la sanità. Si tratta infatti della cifra più bassa tra i paesi del G7. Una cifra, ben al di sotto della media europea che si aggira intorno al 11,3% del Pil per la sanità.
Occorre immaginare – propone il sindacato un nuovo modello. Modello che tenga nella dovuta attenzione la presa in carico del paziente, sia cronico che in acuzie, aumentando posti letto e personale, e implementando quella medicina di prossimità che appare oggi sempre più teorica, liberando i professionisti dalla medicina di carta che sottrae tempo alla cura”.

Fonte: Survey Anaao Assomed.

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Aziende fornitrici degli ospedali in crisi per via dell’effetto ‘payback’

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Lo Stato ha chiesto alle imprese del settore di ripianare metà dello sforamento della spesa sanitaria per i dispositivi medici. Ora le aziende fornitrici degli ospedali sono in ginocchio e molte, specie le più piccole, rischiano di chiudere

Molti dispositivi medici potrebbero mancare negli ospedali a partire da gennaio. Dispositivi salvavita, strumenti per dialisi, valvole cardiache, protesi, ferri chirurgici sono solo alcuni dei strumenti che numerosi medici di tutta Italia rischiano di non avere a disposizione in adeguata misura. Le aziende fornitrici degli ospedali sono infatti in ginocchio e molte, soprattutto le più piccole, rischiano di chiudere. Questo perché lo Stato ha chiesto a ognuna di loro di partecipare al 50% dello sforamento della spesa sanitaria per i dispositivi medici. Si tratta di un conto salato da 2,1 miliardi da pagare entro trenta giorni.

A lanciare gli allarmi sugli effetti del payback è Massimo Riem, presidente della Federazione italiana fornitori in sanità (Fifo). “Abbiamo una fortissima preoccupazione – afferma Riem. Da gennaio molti ospedali non saranno in grado di assicurare interventi chirurgici e prestazioni perché mancheranno le forniture dei dispositivi medici. È un rischio concreto per i cittadini che avranno bisogno di assistenza. La aziende – prosegue – sono in allarme perché proprio in questi giorni stanno partendo le richieste per gli anni 2015-2018 e si parla di 2,1 miliardi. Questo causerà scompensi inaccettabili”. Quello dei fornitori ospedalieri è un settore composto nel 95% da micro, piccole e medie imprese, con oltre 100.000 lavoratori coinvolti. 

“A gennaio ci troveremo davanti a una crisi senza precedenti da un punto di vista economico e sanitario”

Le imprese evidenziano un ‘effetto payback’ che rischia di abbattersi anche sulle cure e le prestazioni offerte ai cittadini: quelli forniti dalle aziende messe in difficoltà dal payback, come sottolineato da Massimo Riem, “sono prodotti anche salvavita. Un dispositivo medico è la protesi chirurgica, la protesi vascolare, lo stent, i sistemi per l’ossigenazione della circolazione extracorporea etc. . Sono tutti prodotti che servono al nostro sistema sanitario, nei nostri ospedali, per garantire assistenza ai malati. E le forniture rischiano di essere interrotte perché il decreto attuativo del payback, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 15 settembre scorso, porterà al fallimento la gran parte delle aziende che operano in questo segmento. Le imprese – prosegue il presidente Fifo – non saranno più in grado di fornire dispositivi medici. A gennaio ci troveremo davanti a una crisi senza precedenti da un punto di vista economico e sanitario”.

Ma non finiscono qui le dichiarazioni del presidente della Federazione italiana fornitori in Sanità. Al Governo chiediamo una cosa molto semplice: la cancellazione di questa norma del payback – afferma Riem. Una norma inapplicabile che distrugge un tessuto di aziende che quotidianamente garantiscono, con le loro forniture agli ospedali, la possibilità di erogare prestazioni ai cittadini. Si rischia seriamente di distruggere un settore strategico”. 

Fonte: sito web Federazione Italiana Fornitori in Sanità.

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Pronto soccorso, cresce sempre più il fenomeno del “boarding”

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Soprattutto negli ospedali Hub il “boarding” è diventato ormai una regola. La maggior parte dei pazienti arriva ad aspettare anche oltre 5 giorni

L’attesa di un posto letto in reparto da parte di un paziente, dopo la decisione di ricovero, è un fenomeno talmente frequente che ha ormai un preciso nome: “boarding”. Purtroppo si tratta di un fenomeno ormai regola nei pronto soccorso, specie negli ospedali Hub. Le iniziative per tentare di gestirlo sono limitate a documenti ufficiali che ne definiscono la durata massima fissata a 6 ore. La realtà però dice che la maggioranza dei pazienti non aspetta 6 ore, bensì dai 2 fino ai 5 giorni o addirittura oltre. Ma come nasce questo fenomeno e soprattutto in che modo si potrebbe contrastarlo?

Le cause del boarding

Il boarding è una conseguenza dei tagli degli ultimi anni, come il taglio dei Posti Letto per acuti e lungodegenza: in Italia infatti, dal 2010 al 2020 sono stati tagliati 30.492 posti letto per acuti, con una riduzione del 19%. Il taglio maggiore ha riguardato il Molise, la Calabria, la Puglia e la Liguria: in queste regioni è stato tagliato più di 1 posto letto su 4. Ma la riduzione più pesante ha riguardato la lungodegenza, dove si è verificata una diminuzione media nazionale di posti letto che sfiora il 30%.

Ai problemi già citati si aggiunge poi quello dell’occupazione dei posti letto. La maggior parte dei pazienti in boarding è infatti rappresentata da anziani con patologie internistiche, con un tasso di occupazione di posti letto nei reparti di medicina pari al 97,6%. Va infatti ricordato che il tasso ottimale, per evitare aumento di mortalità e morbilità, viene considerato non superiore all’85%, pur se aumentato al 90% dal Decreto Ministeriale n° 70/2015 sugli standard ospedalieri.
Per gestire il problema boarding è dunque attuare delle azioni economiche per incrementare i posti letto, come proposto in più occasioni da Anaao Assomed.
C’è necessità di più letti per acuti e più letti di lungodegenza.

Non solo mancanza di posti letto, ma anche di medici

Un altro difficile capitolo si apre in relazione alla carenza di medici. Il numero di camici bianchi ha toccato il suo massimo nel 2009, per poi diminuire incessantemente fino al 2020, riducendosi di 4.800 unità. In realtà, su questo dato ha inciso positivamente il reclutamento di personale medico causato dalla pandemia da Covid-19 che ha visto l’immissione di circa 1.000 medici. Infatti, se si guardasse il trend fino al 2019, la diminuzione di personale medico sarebbe ancora più accentuata (5.800 unità).

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