Lo indica uno studio dell’University of New South Wales a Sidney. Secondo la ricerca in questione, quel che conta per allungare la vita è essere impegnati nella comunità
Essere coniugati o in una relazione amorosa non necessariamente riduce il rischio di demenza. Invece, si dimostra di beneficio avere una persona con cui confidarsi apertamente. È quanto emerge da uno studio dell’University of New South Wales di Sidney, secondo il quale è fondamentale essere impegnati nella comunità per allungare la vita. Era già riconosciuta l’importanza delle relazioni non solo per la salute emotiva, ma anche per la salute fisica del cervello. Tuttavia, non era chiaro se il tipo di relazione facesse differenza e quale livello di interazione fosse necessario per dare beneficio.
I ricercatori dello studio in questione, pubblicato sul Journal of The Alzheimer Association, hanno condotto una meta-analisi di 13 studi longitudinali da diversi Paesi nel mondo. Sono stati esaminati i dati di oltre 39.000 persone di età da 65 anni in su. In particolare, gli esperti hanno tenuto conto del tipo di relazione di cui i soggetti coinvolti erano parte: se questa offriva solo supporto sociale generale o qualcosa in più e con che frequenza avvenivano le connessioni. È emerso che incontrare amici o familiari almeno una volta al mese poteva ridurre fino a metà il rischio di demenza. Particolarmente importante il tipo di relazione.
“Avere una persona con cui confidarsi è emerso un fattore molto potente per ridurre il rischio di demenza – scrive il principale autore dello studio, Suraj Samtani, psicologo clinico e ricercatore del ‘Centro per un sano invecchiamento’ dell’University of New South Wales. Non conta solo con che frequenza ci si incontra – ha aggiunto – ma anche e soprattutto se alla persona con cui ci si relaziona si possa aprire il proprio cuore. Confidarsi è fondamentale se vogliamo evitare di soffrire di Alzheimer o altre malattie neurologiche che coinvolgono la demenza”.
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Una commissione di 50 esperti ha pubblicato sulla nota rivista ‘The Lancet’ un rapporto sull’impatto dello stigma sulla salute mentale
Nel mondo quasi un miliardo di persone convive con qualche forma di sofferenza psichica. Più precisamente una persona su otto, ma la quota sale a una se sette se si considera la fascia di età tra i 10 e i 19 anni. Inoltre, la situazione è nettamente peggiorata durante la pandemia con un aumento della prevalenza di ansia e depressione del 25% nel corso del 2020. È per questi motivi che una commissione di 50 esperti provenienti da tutto il mondo, definita ‘Lancet Commission on ending stigma and discrimination in mental health’ ha pubblicato un rapporto sull’impatto dello stigma sulla salute mentale e una serie di raccomandazioni per contrastarlo.
“Stigma e discriminazione – si legge all’interno del rapporto – vanno contro i diritti umani fondamentali. Creano gravi effetti sulle persone con disturbi mentali esacerbando l’emarginazione e l’esclusione sociale, ad esempio riducendo l’accesso all’assistenza sanitaria e diminuendo le opportunità di istruzione di lavoro”. Secondo la ‘Lancet Commission’ queste persone subiscono una doppia minaccia. Da un lato, ovviamente l’impatto della condizione, dall’altro le conseguenze sociali dello stigma e della discriminazione.“Molte persone con esperienza vissuta di condizioni di salute mentale descrivono lo stigma come peggiore della condizione stessa”. Questo, quanto affermato in una nota, uno dei co-presidenti della Commissione, Graham Thornicoft, del King’s College di Londra.
Le raccomandazioni della Commissione
La Commissione ha formulato una serie di raccomandazioni indirizzate a governi, sanitari, datori di lavoro, scuole e mezzi di comunicazione vari per contrastare lo stigma. Le raccomandazioni ruotano intorno a possibili idee come l’adozione di programmi per il reinserimento lavorativo delle persone con sofferenza mentale. O ancora, istituzione di corsi di formazione sulle malattie mentali e sui diritti delle persone che ne soffrono, corsi destinati ai sanitari e utili per interventi di sensibilizzazione nelle scuole. “Ora ci sono prove evidenti su come ridurre efficacemente, e in definitiva, eliminare lo stigma e la discriminazione” – ha aggiunto Thornicroft.
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