Uno studio dei ricercatori della ‘Columbia University Mailman School of Public Health’ di New York, spiega l’impatto del sonno sul benessere cardiovascolare
Dimmi quanto dormi e ti dirò come sta il tuo cuore. È riassumibile con questa frase un recente studio targato Usa condotto dai ricercatori della ‘Columbia University Mailman School of Public Health’ di New York. Il lavoro, pubblicato sulla nota rivista ‘Journal of American Heart Association’ e sostenuto da diversi enti fra cui il ‘National Institutes of Health’, suggerisce di aggiungere il parametro sonno ai 7 indicatori spia del benessere cardiovascolare. La società dei cardiologi statunitensi, infatti, da anni ha ormai individuato 7 indicatori principali in merito al cuore: fumo, dieta, attività fisica, indice di massa corporea, pressione sanguigna, colesterolo totale e glicemia a digiuno. Ora arriva anche l’ottavo indicatore: il sonno. In particolare è la sua durata che, come spiegato dallo studio, dovrebbe essere sempre uguale o superiore a 7 ore, ma inferiore a 9.
Il campione di ricerca ha compreso circa 2.000 adulti di mezza età partecipanti al Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (Mesa). Si tratta di un’indagine sulle malattie e i fattori di rischio cardiovascolari che sottopone i partecipanti a un esame del sonno fornendo informazioni complete su quanto e come dormivano. L’obiettivo degli studiosi era quello quindi di capire quali erano i parametri relativi al sonno da considerare prioritari nella prevenzione cardiovascolare.
Non solo la durata, ma anche l’efficienza del sonno conta
Da qui è emerso come i ‘numeri del sonno’ aggiungono ai classici indicatori (prima menzionati) un valore predittivo indipendente per il rischio cardiovascolare. In altri termini, la durata del sonno è essenziale nella comprensione e analisi del benessere cardiovascolare. Sia i punteggi relativi alla durata del sonno, sia quelli che oltre alle ore includevano altri parametri come l’efficienza del sonno, la regolarità del riposo, la sonnolenza diurna e gli eventuali altri disturbi del sonno sono “tutti parametri risultati predittivi di una futura patologia cardiovascolare”.
“I nostri risultati dimostrano che il sonno è una componente integrante della salute cardiovascolare (Cvh)” – ha dichiarato Nour Makarem, autore principale del lavoro. “Nel nostro studio – aggiunge – anche un punteggio Cvh che include solo la durata del sonno, ovvero il parametro più diffusamente misurato e più semplice da ottenere in ambito clinico e di salute pubblica, è in grado di prevedere l’incidenza di malattie cardiovascolari”.
I ricercatori hanno infatti notato che durata e qualità del sonno erano strettamente correlate. Ad esempio le persone che dormivano poche ore mostravano più probabilità di avere una bassa efficienza del sonno. Ma anche sonno irregolare da un giorno all’altro, eccessiva sonnolenza diurna e apnee notturne. In particolare, tra chi dormiva poco era maggiore la prevalenza di sovrappeso/obesità, diabete di tipo 2 e ipertensione.
“Dare priorità al sonno per promuovere la salute cardiovascolare”
“Gli operatori sanitari dovrebbero valutare i modelli di sonno dei loro pazienti. Ma anche discutere con i loro problemi legati al sonno ed educarli sull’importanza di dare priorità al sonno per promuovere la salute cardiovascolare – dichiara ancora Makarem. Inserire formalmente la salute del sonno nella guida della promozione del benessere cardiovascolare – prosegue l’esperto – fornirà parametri di riferimento per la sorveglianza di questo fattore. Assicurerà inoltre che il sonno, nelle politiche di salute pubblica, diventi un elemento al quale rivolgere la stessa attenzione ad altri comportamenti di vita”.
Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.
Un noto Centro italiano ha sviluppato un modello matematico e computazionale del cuore umano per lo studio delle patologie coronariche
Il Politecnico di Milano ha sviluppato un modello matematico e computazionale del cuore umano per lo studio delle patologie coronariche. Questo modello è stato il fulcro di una ricerca pubblicata su Nature Scientific Reports, realizzata in collaborazione tra i laboratori Mox del Dipartimento di Matematica e LaBS del Dipartimento di Chimica, Materiali e Ingegneria Chimica «Giulio Natta» del Politecnico di Milano. L’iHearth Simulator, risultato di questo progetto, si distingue per la sua capacità di integrare in un’unica piattaforma i complessi processi dell’elettromeccanica, dell’emodinamica e della perfusione cardiaca. Questo livello di integrazione consente una simulazione senza precedenti delle funzionalità cardiache e delle relative patologie con una precisione biofisica straordinaria.
Un aspetto innovativo di questo studio è l’applicazione del modello alle patologie coronariche, come ischemie e infarto miocardico acuto. Grazie all’iHearth Simulator, i ricercatori possono studiare queste malattie in dettaglio, aprendo la strada a nuove terapie. In collaborazione con l’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e l’Humanitas Research Hospital di Milano, il progetto iHearth ha sviluppato modelli matematici per comprendere le aritmie cardiache, come la tachicardia ventricolare o la fibrillazione atriale, identificando fattori chiave per la loro insorgenza e mantenimento. La matematica cardiaca ha dimostrato di supportare lo studio elettrofisiologico nella localizzazione delle zone di intervento sulla parete del cuore
Sono in sviluppo algoritmi più veloci per analisi in tempo reale, accelerando le decisioni intervento. In collaborazione con l’Ospedale Sacco di Milano, un modello guida i cardiochirurghi nella rimozione del setto interventricolare per la cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva. La simulazione matematica supporta la fase preoperatoria. Inoltre, con l’Ospedale S. Maria del Carmine di Rovereto (TN), si è creato uno strumento matematico per ottimizzare la terapia di risincronizzazione cardiaca, riducendo i tempi di mappatura e guidando il posizionamento del catetere per pazienti scompensati.
L’obesità è sempre più un problema globale di salute pubblica ed è un fattore di rischio significativo per le malattie cardiovascolari
Tra il 1999 e il 2020 sono triplicati i decessi per le malattie cardiache legati all’obesità. A rivelarlo è una nuova ricerca pubblicata sul Journal of the American Heart Association su dati degli Stati Uniti d’America. “Il numero di persone con obesità è in aumento in tutto il mondo – ha dichiarato l’autrice principale dello studio, Zahra Raisi-Estabragh del William Harvey Research Institute di Londra. Il nostro studio è il primo a dimostrare che questo crescente peso dell’obesità si traduce in un aumento dei decessi per malattie cardiache”.
Il problema dell’obesità diventa sempre più una questione globale di salute pubblica ed è un fattore di rischio significativo per le malattie cardiovascolari. Attualmente colpisce infatti circa il 42% della popolazione degli Usa, con un aumento di quasi il 10% rispetto al decennio precedente. I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti dal 1999 al 2020 su 281.135 decessi in cui l’obesità è stata registrata come fattore contributivo nel database delle‘Cause Multiple di Morte’, che include dati sulla mortalità e sulla popolazione degli States.
Ed ecco i risultati. In generale, le morti per malattie cardiovascolari correlate all’obesità sono triplicate da 2,2 per 100.000 persone a 6.6 per 100.000 tra il 1999 e il 2020. Per quanto riguarda il genere, tra i decessi il 43,6% riguardava donne. Inoltre, le morti in questione erano più elevate tra gli individui di colore rispetto a qualsiasi altro gruppo razziale, con una cifra di 6,7 per 100.000 persone, seguiti dagli adulti di origine indiana americana o nativa dell’Alaska con 3,8 per 100.000.
Clicca quiper leggere l’estratto originale della ricerca americana
Lo riporta una nuova ricerca pubblicata sul Journal of the American Heart Association
Dopo la menopausa, 1 donna su 4 può sviluppare ritmo cardiaco irregolare, noto come fibrillazione atriale. Eventi di vita stressanti e insonnia rappresentano i principali fattori che contribuiscono allo sviluppo di questo disturbo del cuore. Il tutto emerge da una nuova ricerca pubblicata sul Journal of the American Heart Association.
La fibrillazione atriale può portare a coaguli di sangue, ictus, insufficienza cardiaca o altre complicazioni cardiovascolari. “Nella mia pratica cardiologica generale, vedo molte donne in menopausa con una salute fisica perfetta che lottano con scarso sonno e sentimenti o esperienze emotive psicologiche negative, che ora sappiamo potrebbero metterle a rischio di sviluppare fibrillazione atriale – rileva l’autrice principale dello studio Susan X. Zhao, cardiologa del Santa Clara Valle Medical Center di San Jose, in California. Credo fermamente che – ha proseguito l’esperta – oltre all’età, ai fattori genetici e ad altri fattori di rischio legati alla salute del cuore, l’aspetto psico-sociale sia il pezzo mancante del puzzle della genesi della fibrillazione atriale“.
I ricercatori hanno esaminato i dati di oltre 83.000 questionari di donne di età compresa tra 50 e 79 anni della Women’s Health Initiative, un importante studio statunitense. Ai partecipanti sono state poste una serie di domande su temi come eventi stressanti della vita, senso di ottimismo, supporto sociale e insonnia. Durante circa un decennio di follow-up, lo studio ha rilevato che circa il 25% delle donne ha sviluppato fibrillazione atriale. Per ogni punto aggiuntivo sulla scala dell’insonnia, esisteva una probabilità maggiore del 4% di sviluppare fibrillazione atriale. Allo stesso modo, per ogni punto aggiuntivo sulla scala degli eventi stressanti della vita, vi era una probabilità maggiore del 2% di andarvi incontro.
Clicca quiper leggere l’estratto originale dello studio.