Nove persone con paralisi causata da lesione al midollo spinale sono tornate a camminare grazie alla stimolazione elettrica
Tornare a camminare dopo la paralisi causata dalla lesione al midollo spinale sembra essere possibile grazie alla stimolazione elettrica. È quanto emerge da un nuovissimo studio condotto dalla Scuola politecnica federale di Losanna (Svizzera), pubblicato sulla nota rivista ‘Nature’. Nello specifico, i ricercatori hanno seguito nove pazienti con paralisi spinale, che, sottoposti ad un programma che prevedeva la stimolazione elettrica dell’area del midollo spinale deputata al controllo delle gambe e fisioterapia, dopo cinque mesi hanno riacquisito la capacità di camminare in maniera autonoma.
Il midollo spinale
Il midollo spinale è la struttura del sistema nervoso centrale che ha lo scopo di mettere in comunicazione cervello con il resto dell’organismo. Ciò accade grazie ai nervi spinali, che formano veri e propri circuiti di connessione nervosa. Accade che, infatti, il cervello invia segnali elettrici che consentono di controllare le diverse parti del corpo per alzarsi, muoversi, camminare. Tuttavia, un trauma causato da un evento come un incidente d’auto può provocare una lesione che distrugge le connessioni nervose presenti nel midollo spinale. In questo modo si interrompe la comunicazione con il cervello e portando a una paralisi permanente nella zona interessata. Quando le lesioni interessano il midollo spinale inferiore, la zona responsabile del controllo motorio delle gambe, il risultato spesso è la perdita della capacità di camminare e il danneggiamento di altre funzioni in cui entrano in gioco i neuroni motori.
A volte, però, la lesione può essere incompleta e alcune vie spinali possono rimanere intatte: in questi casi, si cerca di ripristinare le connessioni nervose perse attraverso la stimolazione elettrica. Quest’ultima è una tecnica riabilitativa che, grazie all’impianto chirurgico di un fascio dielettrodi nel midollo spinale inferiore, in combinazione con la fisioterapia, mira a ristabilire il segnale elettrico che si è danneggiato con lalesionespinale. L’obiettivo è ripristinare potenzialmente il movimento degli arti e le attività motorie compromesse dalla lesione spinale.
Il procedimento della ricerca
Per comprendere il meccanismo neurologico dietro la stimolazione elettrica, i ricercatori hanno studiato l’attività delle cellule del midollo spinale dei pazienti mentre camminavano, sia prima sia dopo il trattamento. Hanno quindi notato che esse, dopo la stimolazione elettrica, mostravano una particolare riorganizzazione. A questo punto il gruppo di ricerca ha studiato il meccanismo in topi da laboratorio con lesioni spinali. Da qui ha individuato una classe di neuroni che si attivavano solo in seguito alla stimolazione elettrica del midollo spinale. Neuroni che assumevano un ruolo sempre più importante man mano che il tessuto spinale riorganizzava le connessioni nervose. Inoltre, disattivando questi neuroni, i topi che avevano ricominciato a camminare smettevano immediatamente, meccanismo che non accadeva nei topi sani. Tutti questi dati hanno portato i ricercatori a concludere che questi neuroni erano gli attori chiave dietro l’efficacia delle terapie di stimolazione elettrica spinale.
“Il nostro nuovo studio – afferma Jocelyne Bloch, autrice senior dello studio – in cui nove pazienti di studi clinici sono stati in grado di riacquisire un certo grado di funzione motoria grazie ai nostri impianti, offre informazioni preziose sul processo di riorganizzazione dei neuroni del midollo spinale”. Secondo gli autori, questo spiana la strada allo sviluppo trattamenti più mirati per i pazienti con paralisi. “Ora possiamo puntare a manipolare questi neuroni per rigenerare il midollo spinale” – ha concluso la ricercatrice.
Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.
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Secondo uno studio pubblicato sull’European Heart Journal dormire meno di cinque ore a notte si associa a un rischio raddoppiato di malattia vascolare delle arterie periferiche
Che una buona qualità del sonno fosse importante in termini di salute è qualcosa di ormai noto. Arrivano però sempre più studi che confermano tale teoria. Infatti, dormire meno di cinque ore a notte si associa a rischio quasi doppio di malattia vascolare delle arterie periferiche. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato sull’European Heart Journal che ha coinvolto oltre 650.000 persone.
“Il nostro studio suggerisce che dormire sette-otto ore a notte è una buona abitudine per ridurre il rischio di questa condizione” – ha dichiarato il principale autore dello studio, Shuai Yuan, dell’istituto ‘Karolinska’ di Stoccolma. Oltre 200 milioni di persone in tutto il mondo soffrono di arteriopatia periferica, una condizione in cui le arterie delle gambe sono ostruite, limitando il flusso sanguigno e aumentando il rischio di ictus e infarto.
Il procedimento
I ricercatori hanno analizzato le associazioni tra durata del sonno e sonnellino diurno con il rischio di arteriopatia periferica. Successivamente hanno utilizzato una tecnica chiamata ‘randomizzazione mendeliana’ per esaminare l’esistenza di un eventuale nesso di causa-effetto tra disturbi del sonno e arteriopatia periferica. È dunque emerso che dormire meno di cinque ore a notte si associa a un rischio quasi doppio di arteriopatia periferica rispetto alle sette-otto ore. Per quanto concerne l’esistenza di una associazione causa-effetto tra le due condizioni (sonno disturbato e arteriopatia periferica) si è visto che da un lato chi dorme poco ha un aumento del rischio di arteriopatia periferica; dall’altra chi già soffre di tale patologia ha una maggiore probabilità di dormire poco. In altri termini, un disturbo causa l’altro e viceversa.
“Sono necessarie ulteriori ricerche su come interrompere l’esame bidirezionale tra sonno ridotto e arteriopatia periferica – spiega Yuan. I cambiamenti dello stile di vita che aiutano le persone a dormire di più, come l’essere fisicamente attivi, possono ridurre il rischio di sviluppare la condizione. Inoltre, per chi già ne soffre, la gestione del dolore associato alla malattia potrebbe consentire ai pazienti di dormire bene”.
Clicca qui per leggere l’estratto originale dello studio.
Il lavoro è opera dei ricercatori della London School of Hygiene & Tropical Medicine in uno studio pubblicato sulla rivista ‘Plos Medicine’
Lo Streptococco B è un batterio che può infettare (anche) le donne incinte e i loro bambini. Esso può causare sepsi e meningite nei neonato e talvolta portando a morte o disabilità. Si tratta di un batterio collegato ad un aumento dei rischi di natimortalità e nascite pretermine. Ora che i vaccini si stanno avvicinando all’approvazione, si ritiene necessaria una valutazione economica globale di un programma di immunizzazione globale. Un programma di vaccinazione, infatti, potrebbe portare a un risparmio considerevole in termini di costi sanitari, perdita di vite e disabilità. A questa conclusione è giunto un team di ricercatori della London School of Hygiene & Tropical Medicine in un lavoro pubblicato sulla rivista ‘Plos Medicine’.
Simon Procter, coordinatore del gruppo di ricerca in questione, ha sviluppato un modello per valutare l’efficacia in termini di costi dei vaccini contro lo Streptococco B in 140 milioni di donne incinte in 183 paesi. Innanzitutto il team ha utilizzato le recenti stime globali relative al carico sanitario del batterio nelle donne in gravidanza e nei loro figli. In un secondo momento hanno calcolato i costi stimati per i sistemi sanitari, considerando gli anni di vita persi a causa della mortalità infantile e della disabilità a lungo termine. Successivamente, sulla base delle caratteristiche che un vaccino dovrebbe avere (indicate dall’Oms), il team ha ipotizzato che si potrebbe prevenire l’infezione da Streptococco B nell’80% delle donne vaccinate. Secondo il team, inoltre, dovrebbero essere vaccinate quelle donne che ricevono almeno 4 visite prenatali.
Sulle base di tutte le valutazioni del caso, i ricercatori hanno concluso che la vaccinazione potrebbe evitare 127.000 casi di infezioni di Streptococco B infantili a esordio precoce. Ma non solo. Infatti, hanno ipotizzato anche che il vaccino eviterebbe 87.300 infezioni a esordio tardivo, 31.100 decessi, 17.900 casi di compromissione dello sviluppo neurologico e un totale di 23.000 nati morti.
Secondo Procter “riducendo le infezioni gravi da Streptococco B un vaccino materno globale potrebbe prevenire migliaia di morti neonatali e nati morti ogni anno. I nostri risultati suggeriscono che la vaccinazione materna contro lo Streptococco B potrebbe essere economicamente vantaggioso nella maggior parte dei paesi. Speriamo che il nostro studio incoraggi gli ulteriori investimenti necessari per portare più vaccini sul mercato”.
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È quanto emerge da un nuovo studio multicentrico, pubblicato sulla rivista ‘Pharmacological Research’. Il lavoro ha coinvolto 20 Centri italiani
Il mix di Arginina e Vitamina C, dopo essersi rivelato efficace nel contrastare la perdita di forza muscolare nei pazienti post-Covid, ha dimostrato di migliorare in modo marcato anche altri sintomi legati al Long Covid. Tra questi, soprattutto insonnia e disturbi gastrointestinali. È quanto emerge da un nuovo studio multicentrico, pubblicato sulla rivista ‘Pharmacological Research’.
Il lavoro, che ha coinvolto 20 Centri italiani tra università ed ospedali, è coordinato da un consorzio internazionale composto dall’Università ‘Federico II’ di Napoli, ‘l’Albert Einstein College’ di New York e il ‘Cardiovascular Research Center’ di Ahalst, in Belgio. Lo studio ha coinvolto in totale 1.390 pazienti con Long Covid, intervistati in relazione ai sintomi manifestati e divisi in due gruppi. Il primo gruppo ha ricevuto una combinazione multivitaminica (tra cui Vitamina B, B1, B2, B6 e acido folico). Il secondo ha invece ricevuto il mix di Arginina e Vitamina C liposomiale.
Il commento degli autori
Tra i principali autori dello studio c’è Gaetano Santulli, professore di Cardiologia dell’Albert Einstein College di New York. “Dopo 30 giorni abbiamo osservato che nell’87% dei pazienti che ha ricevuto il mix di Arginina e Vitamina C i disturbi gastrici erano assenti, rispetto al 64% dei pazienti a cui invece era stato somministrato il composto multivitaminico – ha spiegato Santulli. Allo stesso modo per l’insonnia il disturbo è risultato assente nell’80% dei pazienti trattati con il cocktail Arginina + Vitamina C, contro il 40% che ha ricevuto l’altro composto a base di Vitamina B”.
Anche Bruno Trimarco, professore di Cardiologia dell’Università Federico II di Napoli e co-autore dello studio ha rilasciato importanti dichiarazioni in merito. “È ormai noto che il Long Covid determina disturbi neurologici come l’insonnia. Colpisce inoltre l’intestino con lo sviluppo di sintomi gastrointestinali persistenti, come nausea, diarrea e dolori addominali – ha spiegato l’esperto. Tra i possibili meccanismi coinvolti – Ha aggiunto Trimarco – vi è l’alterazione della barriera ematoencefalica, costituita da cellule endoteliali, che può comportare una disregolazione del sistema neurovegetativo. Questa disfunzione altera il ritmo sonno-veglia con sviluppo dell’insonnia e implicazioni anche a livello gastrico-metabolico con l’insorgenza di nausea e crampi addominali”.
Secondo gli esperti, come riporta la nota dello studio, “L’arginina è un amminoacido essenziale. Presenta, infatti, molteplici funzioni nella reattività endoteliale i risposta all’esigenza dei diversi tessuti. Di conseguenza, ripristinare i valori di Arginina porta ad un miglioramento significativo dei sintomi associati alla sindrome post-infezione”.
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16 Novembre 2022 at 5:49
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18 Novembre 2022 at 16:02
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22 Novembre 2022 at 6:14
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