Italian Medical News presenta il terzo appuntamento di ‘Conoscere l’Oncologia’, il format dedicato agli approfondimenti oncologici. Questa volta, insieme al Dott. Giuseppe Santabarbara, scopriremo tutto quello c’è da sapere sul tumore del colon-retto
‘Conoscere l’Oncologia’ è il nuovo format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici. Per farlo, intervisteremo diversi specialisti provenienti da tutta Italia, trattando numerosi temi riguardanti l’oncologia. L’appuntamento di quest’oggi è dedicato al tumore del colon-retto, patologia oncologica che rappresenta il 10% di tutti i tumori diagnosticati nel mondo, oltre ad essere la seconda più frequente tra i maschi (12%) dopo il umore della prostata, e tra le femmine (11,2%) dopo il cancro della mammella. (Dati AIOM-AIRTUM 2021).
Per saperne di più la redazione di Italian Medical News ha deciso di intervistare il Dott. Giuseppe Santabarbara, Dirigente Medico di Oncologia presso l’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specialità ‘San Giuseppe Moscati’ (AV).
Differenze tra i due tumori
Dottore, esistono differenze di trattamento tra il tumore del colon e quello del retto o parliamo della stessa patologia?
“Dal punto di vista del trattamento non sono la stessa patologia, soprattutto se parliamo di malattia localizzata. Quando invece parliamo di stadio avanzato allora possiamo adoperare la stessa tipologia di trattamento. Questo perché se il tumore del retto può giovarsi del trattamento radioterapico precedentemente all’intervento chirurgico, quello del colon, quando parliamo di malattia localizzata, ha come primissimo approccio l’operazione chirurgica. Di fatto parliamo sì della stessa malattia dal punto di vista istologico, ma possono e devono essere trattati in modo diverso. È bene ricordare che distinguiamo nelle linee guida la neoplasia del colon da quella del retto ed addirittura oggi si parla anche di neoplasia del colon sinistro e del colon destro, specie per quanto riguarda la malattia avanzata”.
Come si comporta l’oncologo dinanzi ad una neoplasia colorettale metastatica?
“Innanzitutto inizia a porsi una serie di domande e molto spesso trae le risposte che cerca direttamente dalla cartella clinica del paziente. Questo perché sono tante le informazioni che dobbiamo recepire prima di decidere quale trattamento utilizzare. Soprattutto, abbiamo bisogno di un gruppo multidisciplinare che ci possa coadiuvare, infatti, oggi in tutt’Italia esistono i cosiddetti GOM – Gruppi Oncologici Multidisciplinari. Venendo a quello che è il ruolo dell’oncologo, possiamo dire che è una figura che ha bisogno del sostegno dell’anatomopatologo che è sempre più importante, così come anche del genetista. Questo perché avendo a disposizione tanti farmaci, sono tante le informazioni e le caratteristiche molecolari che dobbiamo acquisire prima di poter decidere qual è il miglior trattamento che possiamo offrire al paziente. Non siamo più a 30-40 anni fa quando c’era un solo farmaco disponibile”.
Le nuove opportunità
Rimanendo in tema, il trattamento del tumore colorettale in fase avanzata, può ad oggi giovarsi di quelle che sono le nuove opportunità, come ad esempio l’immunoterapia?
“Sì e no. Sì, perché attualmente abbiamo a disposizione l’immunoterapia anche nel trattamento del tumore colorettale metastatico; no perché usare questa arma non è possibile per tutti i pazienti, purtroppo. La percentuale di pazienti affetti da tumore del colon-retto metastatico che può essere sottoposta ad immunoterapia è abbastanza scarsa, parliamo infatti soltanto di quella percentuale di neoplasie che viene definita ‘ad elevata instabilità micro-satellitare’, vale a dire quei pazienti che hanno un tumore che ha perso la capacità di riparare il DNA. Tali informazioni derivano tra l’altro da recentissimi convegni oncologici internazionali”.
Novità internazionali
Ha parlato di convegni internazionali. Può parlarci delle ultime novità emerse da questi eventi?
“Sicuramente la novità più eclatante è emersa dall’ultimissimo convegno ASCO 2022 (ASCO = American Society of Clinical Oncology).Essa riguarda quella parte di neoplasie del retto ad elevata instabilità micro-satellitare,. È stato infatti presentato un lavoro, su 30 pazienti complessivi, di trattamento neo-adiuvante con l’immunoterapia: nello specifico, a questi individui è stata proposta l’immunoterapia ancor prima dell’attuazione di quelle terapie che sono lo standard di trattamento; bene, è emerso un 100% di risposte complete. Nessuno di questi pazienti, ad oggi, ha più evidenza di malattia e nessuno è stato operato. Ovviamente ciò non vuol dire che l’immunoterapia sia valida per tutti pazienti con elevata instabilità micro-satellitare, però, ritrovarsi il 100% di risposte cliniche complete prima dell’intervento chirurgico è un qualcosa che non avevamo mai visto in ambito oncologico colorettale. Di sicuro questa è la novità più eclatante”.
“Per quanto riguarda invece il tumore del colon tra le novità più importanti va menzionata la possibilità di applicare il cosiddetto ‘rechallenge’ di trattamento con anti-EGFR (farmaci diretti contro l’Epidermal Growth Factor Receprtor); in pratica il rechallenge consiste nel riproporre, a partire dalla III linea di trattamento in poi, il trattamento con Anti-EGFR già utilizzato in prima linea di trattamento”.
“Si valutano quei pazienti che, durante un trattamento con anti-EGFR in prima linea avevano ottenuto una risposta duratura prima della sua cessazione per progressione di malattia, ed a questi pazienti, dopo essere stati trattati con almeno un’altra chemioterapia diversa dagli anti-EGFR, quindi a partire dalla III linea viene proposto di tornare al farmaco utilizzato all’inizio, quindi all’anti-EGFR; il tutto dopo un prelievo di sangue che ha lo scopo di valutare e confermare se quelle condizioni di assenza di mutazione ai geni RAS e BRAF presenti prima del trattamento di prima linea con Anti-EGFR fossero ancora evidenti a partire alla terza linea. In sintesi la novità consiste nel fatto che il rechallenge, in questi casi specifici, si traduce nella possibilità di riproporre il trattamento anti-EFGR”.
Il ruolo della biopsia liquida
Passiamo alla biopsia liquida. Quest’ultima ha un ruolo anche in relazione al tumore del colon retto? Può sostituire la biopsia tradizionale?
“Un ruolo ce l’ha, e rientra nella possibilità di essere utilizzata per valutare alcune caratteristiche del tumore. Ricordiamoci che la biopsia liquida non è altro che un prelievo di sangue che ci permette di capire se è presente del DNA tumorale circolante cosicché poi possa essere analizzato. Con la biopsia liquida, nel tumore colorettale avanzato, andiamo quindi a controllare se quel tumore ha ancora le caratteristiche iniziali.O, al contrario,se invece esse si sono modificate”.
“Per quanto riguarda l’eventuale sostituzione della diagnosi tradizionale, la risposta è ad oggi no. Probabilmente lo farà nel prossimo futuro ma ad oggi non è ancora possibile. Ci sono in essere diversi studi che stanno cercando di analizzare se la biopsia liquida in futuro possa essere usata come mezzo di diagnosi ma ad oggi non è assolutamente pratica clinica. Siamo ancora nell’ambito sperimentale. In definitiva, la biopsia ha un ruolo per coadiuvare la diagnosi tradizionale ma non può ancora sostituirla”.
L’importanza dei gruppi multidisciplinari
Perfetto Dottore. Vuole aggiungere qualcos’altro?
“Vorrei aggiungere che il ruolo dell’oncologo è diventato assolutamente più complicato rispetto a prima. Già l’idea di trattare una neoplasia non è semplice. Ma farlo oggi, e pensare che un medico possa occuparsi di tutte le neoplasie che ci sono è follia pura. Soltanto in un ambito ristrettissimo come quello che può essere il trattamento del tumore del colon-retto ci sono tantissime cose da indagare prima di scegliere il miglior trattamento. Figuriamoci pensare che una singola persona possa gestire più neoplasie. Ben vengano i gruppi multidisciplinari. Per fortuna il Sistema Sanitario Nazionale sta andando verso questa direzione e questo è solo un bene per tutti i nostri pazienti”.
L’intervista è stata elaborata con il contributo di
La Dott.ssa Francesca Sgandurra, Coordinatore di Ricerca Clinica in Oncologia, espone le caratteristiche principali di una figura sempre più centrale nel mondo sanitario
Il Coordinatore di Ricerca Clinica (CRC), ai più noto con il nome di Study Coordinator o come Data Manager, è una figura fondamentale che gestisce varie fasi della conduzione di uno studio clinico. È un elemento irrinunciabile per qualsiasi struttura sanitaria che voglia partecipare e promuovere studi clinici. Per saperne di più sulla ricerca clinica, la redazione di Italian Medical News ha deciso di intervistare una figura esperta del settore: la Dott.ssa Francesca Sgandurra, Study Coordinator presso l’U.O.C. di Oncologia Medica dell’Ospedale “S. Vincenzo” di Taormina (ME). La Dottoressa Sgandurra ha quindi risposto lucidamente ad una serie di quesiti posti.
Le molteplici funzioni del CRC
Dottoressa, qual è il ruolo principale di un Coordinatore di Ricerca Clinica/Data Manager e quali competenze ritiene siano fondamentali per svolgere questo lavoro in modo efficace?
“Il Coordinatore di Ricerca Clinica (CRC) è una figura che si occupa di coordinare tutte quelle professionalità che ruotano intorno al protocollo di ricerca. Il CRC è infatti un punto di riferimento per il centro clinico, per lo staff sperimentale e per tutte le figure coinvolte, comprese quelle esterne alla struttura ospedaliera. Il Coordinatore di Ricerca Clinica inoltre è conosciuto anche con altre terminologie come ad esempio quella di Study Coordinator o Data Manager”.
“La nostra è una professione che svolge svariate funzioni. Innanzitutto, quelle gestionali-amministrative di uno studio, a partire dalla compilazione del cosiddetto questionario di fattibilità, ovvero un format fornito dallo Sponsor finalizzato a valutare l’adeguatezza o meno del centro clinico a svolgere il protocollo. Esistono poi altre attività amministrative di cui lo Study Coordinator si occupa come l’attivazione e la chiusura del protocollo, nonché la programmazione delle visite di monitoraggio da parte di Sponsor e CRO (Contract Research Organization)”.
“C’è poi tutta la fase relativa alla gestione della documentazione sia dello staff sperimentale che dei dati clinici del paziente. Il CRC si occupa anche di gestire tutte le facility del centro clinico, ovvero garantire la qualità di tutte le apparecchiature utilizzate durate la conduzione del protocollo, reperendo certificati di accreditamento e calibrazione etc. Ovviamente è presente tra i compiti anche la gestione di tutte le comunicazioni, verbali e scritte, con tutte le personalità coinvolte: dai medici agli Sponsor, dalle autorità regolatorie ai pazienti. Un’altra attività fondamentale riguarda la gestione del farmaco sperimentale e dei kit di laboratorio per la revisione centralizzata dei campioni biologici”.
“Per quanto riguarda invece le competenze personali di questa figura, sicuramente il CRC deve avere un background accademico-scientifico oltre a possedere una rigida metodica organizzativa. Allo stesso tempo deve essere una persona elastica e versatile ed avere buone capacità relazionali e interpersonali”.
L’importanza di una corretta gestione del tempo
Come gestisce la complessità e le sfide quotidiane che possono sorgere durante la gestione di uno studio clinico?
“Il CRC deve essere abile nel gestire il tempo e le priorità. Deve lavorare costantemente aggiornando la sua agenda così da raggiungere sempre gli obiettivi entro le scadenze preposte. Dico sempre che non esiste una ‘giornata tipo’ del Coordinatore di Ricerca Clinica per via delle numerose e svariate attività da portare a termine; in ogni caso la gestione del tempo è fondamentale. Spesso poi sopraggiungono gli imprevisti che vanno ad inficiare sulla tabella di marcia e che costringono a rimodulare una giornata di lavoro in corso d’opera; anche qui è necessaria una corretta gestione delle tempistiche e anche una buona dose di problem solving”.
Le Good Clinical Practice (GCP)
Quali sono i principali aspetti etici e regolatori da considerare nella conduzione di uno studio clinico e come si assicura che siano rispettati?
“Tutti gli studi si basano sulle Good Clinical Practice (GCP) ovvero una raccolta di norme e principi, redatte in conformità con la dichiarazione di Helsinki, standardizzate a livello internazionale e in vigore dal 1997. Sono una serie di norme che garantiscono la sicurezza e il benessere del paziente. Le GCP dettano quelli che sono i doveri degli sperimentatori, degli Sponsor e delle autorità regolatorie con il fine ultimo di preservare la salute del paziente. Gli sperimentatori devono assolutamente conoscere le norme GCP e possedere un certificato in corso di validità”.
“Un’altra fase delicata è la firma del consenso. Nello specifico, lo sperimentatore deve sostenere un colloquio con il paziente durante il quale esporre in modo esaustivo e chiaro il protocollo. È fondamentale dunque che il clinico si assicuri che il paziente accetti consapevolmente di partecipare allo studio clinico. Altro aspetto fondamentale è l’aderenza al protocollo, la quale va garantita parallelamente alla costante vigilanza sulla salute del paziente. Ovviamente è importante anche assicurarsi che tutti gli sperimentatori siano sempre correttamente formati e aggiornati”.
Le regole di una corretta comunicazione
Come gestisce la comunicazione e la collaborazione con il personale medico, i ricercatori e altre figure coinvolte nello studio clinico?
“In questo caso la comunicazione, che sia verbale o scritta, è fondamentale così come una corretta divisione dei ruoli. A tal proposito è importante avere alle spalle un ottimo team multidisciplinare che sia competente e metodico. Personalmente ho la fortuna di lavorare in un team che è coeso, affiatato, motivato e altamente collaborativo. Per quanto riguarda i rapporti con le professionalità esterne, cerco di essere sempre una persona collaborativa, propositiva e disponibile alle comunicazioni. In tal senso, penso che oltre alle competenze e alla professionalità individuali sia importante una buona dose di gentilezza e predisposizione positiva verso l’altro. In generale, una buona comunicazione permette un clima sereno e di conseguenza anche efficiente”.
Vuole aggiungere altro?
“Vorrei aggiungere che questo è un lavoro che amo molto. È un lavoro dinamico e stimolante che permette di interfacciarsi con moltissime personalità e che consente un grande arricchimento personale. È un lavoro che consiglio ai giovani che vogliano muovere i primi passi nel mondo della ricerca clinica, anche e soprattutto al fine di confrontarsi con varie figure professionali, spesso di alto livello. Tuttavia, esiste un grosso problema ancora da risolvere: nonostante il Coordinatore di Ricerca Clinica sia una figura riconosciuta da tempo a livello internazionale, purtroppo in Italia non è ancora istituzionalizzata e la posizione contrattuale ancora indefinita. C’è ancora molto da fare per migliorare questa condizione”.
La Dott.ssa Sara Cardellini, Biologa Nutrizionista presso il ‘San Raffaele’ di Milano, spiega l’importanza di una corretta nutrizione per una specifica popolazione oncologica: i pazienti testa-collo
Conoscere l’Oncologia’ è il format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici. Per farlo, intervisteremo diversi specialisti provenienti da tutta Italia, trattando numerosi temi riguardanti l’oncologia.
Secondo Step con la Dott.ssa Sara Cardellini, Biologa Nutrizionista presso IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano, che di recente ci aveva descritto il rapporto tra nutrizione e oncologia, in particolare sottolineando il problema della malnutrizione (articolo che puoi trovare cliccando qui). Questa volta, l’esperta tratta l’importanza di una corretta nutrizione per una specifica popolazione oncologica, ovvero i pazienti che soffrono di tumore del distretto cervico-cefalico, più comunemente conosciuto come distretto testa-collo.
Il ruolo fondamentale dello screening nutrizionale
Dottoressa, che ruolo gioca lo screening nutrizionale in pazienti con tumori del distretto testa-collo?
“La valutazione dello stato nutrizionale dovrebbe idealmente essere svolta alla diagnosi in tutti i pazienti oncologici, al fine di intervenire sin da subito su eventuale malnutrizione e permettere di recuperare peso corporeo prima ancora dell’avvio dei trattamenti oncologi qualora il paziente ne abbia nei mesi precedenti. Capita molto spesso che i pazienti con tumori del distretto testa-collo risultino in prima visita oncologica con una buona composizione corporea e senza particolari difficoltà ad alimentarsi, ma considerando l’aggressività dei trattamenti oncologici è bene avviare comunque precocemente una presa in carico nutrizionale per prevenire rapidi ed improvvisi peggioramenti che potrebbero insorgere nel giro di poche settimane riguardanti la possibilità di alimentarsi regolarmente e con appetito”.
Alimentazione riadeguata in relazione agli effetti collaterali
Con quale scopo viene svolto counselling nutrizionale in pazienti con tumori del distretto testa-collo all’avvio dei trattamenti oncologici?
“In questi pazienti è importantissimo riadeguare l’alimentazione in relazione agli effetti collaterali dei trattamenti chemio-radioterapici che impattano negativamente sulla capacità di introdurre alimenti per bocca; tra questi, troviamo soprattutto disfagia (utilizzare consistenze specifiche degli alimenti aiuta a tal proposito ad evitare dolore e difficoltà nel transito di alimenti e bevande) e mucositi (ovvero infiammazioni a carico del cavo orale, che spesso il paziente avverte come sensazione di bruciore quando l’area interessata entra in contatto con ciò che ingerisce per bocca)”.
“Queste condizioni hanno un impatto debilitante sulla qualità della vita del paziente già ancora prima di iniziare i trattamenti oncologici. Inoltre incidono negativamente anche sulla sua capacità di comunicazione verbale. Suggerimenti mirati riguardanti cosa escludere già in questa fase (ad esempio alcolici, caffè, alimenti troppo secchi e spezie) possono sicuramente aiutare a non aggravare ulteriormente la sintomatologia descritta e a mantenere un buon introito calorico-proteico giornaliero. Una presa in carico nutrizionale tempestiva già dalla diagnosi, quindi, è in grado di prevenire e contrastare queste problematiche per permettere ai pazienti di svolgere con l’efficacia attesa tutto il percorso terapeutico”.
La nutrizione artificiale
Cosa succede se diventa difficile nutrire unicamente tramite alimenti e ONS i pazienti con tumori del distretto testa-collo?
“I rapidi cambiamenti indotti nell’organismo da radio-chemioterapia molto spesso costringono a modificare frequentemente le indicazioni nutrizionali da un incontro all’altro. Questo succedeanche perché tanti pazienti ad un certo punto del percorso necessitano dell’attivazione di nutrizione artificiale a causa dell’impossibilità nel proseguire unicamente con l’alimentazione per bocca. Un costante confronto all’interno del team multidisciplinare permette, a tal proposito, di supportare al meglio i pazientiaiutandoli in ciascuno di questi step a gestire le rapide ed improvvise modifiche che sono caratterizzate dall’avere un impatto importante in negativo sulla qualità di vita, già compromessa dai trattamenti in corso; il posizionamento di sondino nasogastrico per utilizzare nutrizione artificiale, per esempio, può essere una valida opzione per evitare che alimenti e bevande possano infiammare ulteriormente il cavo orale già compromesso dagli intensivi trattamenti oncologici in pazienti che perdono peso a causa del ridotto introito calorico per bocca”.
Referenze:
Bahl A, Elangovan A, Kaur S, Verman R, Oinam AS, Ghoshal S, Panda NK. Pre-Treatment Nutritional Status and Radiotherapy Outcome in Patients with Locally Advanced Head and Neck Cancers. Gulf J Oncolog. 2017 Sep
Orell-Kotikangas H, Österlund P, Mäkitie O, Saarilahti K, Ravasco P, Schwab U, Mäkitie AA. Cachexia at diagnosis is associated with poor survival in head and neck cancer patients. Acta Otolaryngol. 2017 Jul
Cereda E, Cappello S, Colombo S, Klersy C, Imarisio I, Turri A, Caraccia M, Borioli V, Monaco T, Benazzo M, Pedrazzoli P, Corbella F, Caccialanza R. Nutritional counseling with or without systematic use of oral nutritional supplements in head and neck cancer patients undergoing radiotherapy. Radiother Oncol. 2018 Jan
Cook F, Rodriguez JM, McCaul LK. Malnutrition, nutrition support and dietary intervention: the role of the dietitian supporting patients with head and neck cancer. Br Dent J. 2022 Nov
Italian Medical News presenta il tredicesimo appuntamento di ‘Conoscere l’Oncologia’ il format dedicato agli approfondimenti oncologici. Questa volta, insieme al Dott. Giovanni Sanna, trattiamo di carcinoma del colon
Conoscere l’oncologia è il format di Italian Medical News dedicato agli approfondimenti oncologici. Il format si basa su interviste che vedono protagonisti diversi specialisti oncologici provenienti da tutta Italia. L’appuntamento di quest’oggi è dedicato al carcinoma del colon, patologia che rappresenta il 10% di tutti i tumori diagnosticati nel mondo, oltre ad essere la terza più frequente tra i maschi (12%) dopo il tumore della prostata e quello polmonare, e tra le femmine (11,2%) dopo il cancro della mammella. (Dati AIOM-AIRTUM 2021).
Per saperne di più la redazione di Italian Medical News ha deciso di intervistare il Dott. Giovanni Sanna, Medico Oncologo presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari. L’esperto Dottore ha quindi risposto in modo chiaro ed esaustivo ad una serie di quesiti posti.
Un’elevata incidenza
Dottore, può esporci in linee generali in cosa consiste il carcinoma del colon?
“Si tratta di una neoplasia maligna che insorge sulle diverse sedi dell’intestino crasso. Parliamo del tumore più presente tra la popolazione italiana e non solo. La sua incidenza è al secondo posto nelle donne dopo il tumore della mammella e al terzo posto negli uomini dopo il tumore alla prostata e quello polmonare. Anche la mortalità è molto elevata essendo la seconda neoplasia maggiormente letale sia per gli uomini (dopo il cancro al polmone) che per le donne (dopo il tumore al seno). L’incidenza aumenta con l’età, e tende ad aumentare soprattutto dopo i 55 anni“.
“Se vogliamo fare anche una distribuzione geografica del carcinoma del colon a livello nazionale, troviamo una frequenza più elevata nelle regioni del nord (specie Trentino Alto Adige e Veneto) e più bassa al sud; allo stesso tempo, però, nel meridione e nelle isole si rileva una mortalità maggiore. Quest’ultimo è un fattore che la dice lunga sia sull’adesione alle campagne di screening promosse dalle regioni, sia su una (probabile) minore qualità assistenziale rispetto al settentrione”.
Sopravvivenza in aumento
“Per fortuna però, la sopravvivenza è in stabile aumento e questo è indice del miglioramento delle cure che vengono messe in atto. Un’incidenza così elevata è correlata a dei fattori di rischio. Tra i principali possiamo menzionare l’eccessiva ingestione di cibi ad alto contenuto di grassi e carboidrati e il corrispettivo basso consumo di frutta e verdura, l’uso in elevate quantità di alcolici e l’abitudine costante al fumo di sigarette. Esistono anche delle cause genetiche tra cui la poliposi familiare e la sindrome di Lynch. Attenzione anche alle malattie infiammatorie intestinali croniche che in alcuni casi possono essere alla base del carcinoma del colon”.
Sintomi e prevenzione
Quali sono invece i sintomi più frequenti di questa tipologia di cancro?
“Tra i sintomi principali della fase primitiva del carcinoma del colon possiamo menzionare l’irregolarità dell’alvo (che riguarda in particolare il colon sinistro), la rettorragia e l’insorgenza di un’anemia progressivamente più rilevante. Menzionerei anche i dolori addominali. In ogni caso, irregolarità dell’alvo, rettoragia e anemia sono sicuramente i più frequenti”.
Quanto è importante invece la prevenzione?
“La prevenzione è fondamentale, e possiamo dividerla in due principali categorie. La prima è rappresentata dalla prevenzione primaria, ovvero il condurre un’alimentazione e in generale una vita sana. Dunque mangiare più frutta e verdura e meno grassi, evitare eccessive quantità alcoliche e non fumare. La seconda categoria è rappresentata invece dalla prevenzione secondaria, cioè sottoporsi agli screening. Parliamo di una prevenzione volta ad individuare il più precocemente possibile l’insorgenza di una malattia e ha come scopo principale quello della riduzione della mortalità per quella precisa patologia, tra cui il carcinoma del colon. Le regioni italiani offrono dei programmi di screening, anche e soprattutto per questa tipologia di cancro, rivolti alle persone con età pari o superiore ai 55 anni”.
Alla scoperta di cetuximab
Dottore, trattiamo ora di un farmaco in particolare: cetuximab. In cosa consiste e in che modo agisce?
“Il cetuximab non è un chemioterapico classico come siamo abituati ad immaginare. Si tratta di un farmaco inibitore del fattore di crescita epidermico: in altri termini inibisce il segnale intracellulare di proliferazione che viene dato dal recettore del fattore di crescita. Il tutto comporta una mancata traduzione del segnale all’interno della cellula e dunque la mancata replicazione della cellula tumorale. Parliamo di un farmaco conosciuto ormai da un po’ di anni e si utilizza soltanto nelle fasi di malattia metastatica. Questo perché è inutilizzabile come terapia precauzionale. Nell’ambito della malattia metastatica il cetuximab è indicato sia nella prima sia nella seconda sia in linee successive e il suo utilizzo avviene quasi esclusivamente in associazione a diversi tipi di chemioterapia”.
“Cetuximab è in ogni caso condizionato dalla selezione molecolare della neoplasia: questo perché, si è visto che funziona soltanto in neoplasie coliche in assenza di mutazioni delle sequenze geniche K-RAS, N-RAS e B-RAF. La presenza di queste mutazioni rappresenta una controindicazione assoluta all’uso di cetuximab. In aggiunta, negli ultimi anni si è costatato che l’efficacia del farmaco è più elevata quando la neoplasia colica, sempre in assenza di mutazioni genetiche parlate prima, si trova nel colon sinistro, rispetto al colon destro. Insomma, quando la neoplasia si trova nel colon sinistro, il cetuximab diventa più efficace”.
Descrizione di un caso clinico
Per chiudere, può parlarci un caso clinico che ha visto l’utilizzo di cetuximab?
“Ce n’è uno molto significativo. Un caso che riguarda una donna, che attualmente ha 65 anni ed è in cura dal 2018, quando le venne diagnosticata una neoplasia del retto prossimale. La signora era stata sottoposta ad una resezione anteriore diretto nell’ottobre del 2018, e già all’atto della stadiazione erano presenti 3 lesioni epatiche metastatiche, per cui dopo l’intervento chirurgico sul tumore primitivo e sui linfonodi, è stato definito e avviato un programma di terapia. Tale programma prevedeva 6 cicli di FOLFOX, un intervento chirurgico sulle metastasi epatiche e poi altri 6 cicli di FOLFOX”.
“Purtroppo, al termine del programma, si è verificata un’evidente progressione di malattia con il riscontro di metastasi polmonari diffuse e di nuove metastasi epatiche. In questo difficile caso, la selezione molecolare aveva documentato l’assenza di mutazioni dei geni K-RAS, N-RAF e B-RAS e, essendo un colon sinistro, si è deciso di avviare una cura a base di cetuximab. La cura è iniziata intorno all’ottobre del 2019, e la signora è rimasta in terapia con il farmaco fino all’aprile del 2021. Si parla dunque di circa un anno e mezzo di terapia con cetuximab“.
“Successivamente nell’ottobre del 2021, essendoci state nuove progressioni della malattia, ho ritenuto di effettuare prima una biopsia liquida e successivamente, dopo aver riscontrato assenza di mutazioni genetiche, ho ripreso la cura con cetuximab. Ad oggi, a inizio del 2023, la paziente è in ottime condizioni, la malattia è remissione parziale. Tutto questo fa ben capire l’importanza di cetuximab per trattare questa neoplasia maligna”.
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