Un nuovo studio ha dimostrato che si può tenere sotto controllo il tumore della prostata a basso rischio senza necessità di intervento chirurgico o radioterapia
Un autentico punto di svolta si è delineato per il tumore della prostata. Un recente studio ha evidenziato la possibilità di gestire il tumore prostatico a basso rischio senza ricorrere a interventi chirurgici o radioterapie. I risultati di START, un’ampia ricerca condotta dal 2015 e appena pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale JAMA Network Open, sono ora disponibili. Lo studio ha coinvolto oltre 900 pazienti di recente diagnosi di tumore della prostata a basso rischio, rappresentanti il 10-15% di tutte le diagnosi di questo tipo di cancro. La ricerca ha impegnato tutte le principali strutture di urologia, radioterapia e anatomia patologica del Piemonte e della Valle d’Aosta.
Promosso dalla Rete Oncologica del Piemonte e della Valle d’Aosta, con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo, lo studio è stato coordinato dall’Epidemiologia Clinica del CPO della Città della Salute di Torino. Si tratta di uno dei rari studi condotti su scala regionale, coinvolgendo un’intera rete ospedaliera, al fine di fornire ai pazienti con una nuova diagnosi di tumore della prostata a basso rischio la possibilità di scegliere tra i trattamenti tradizionali radicali (chirurgia o radioterapia) e un programma di sorveglianza attiva. La sorveglianza attiva, basata su regolari controlli clinici, di laboratorio e, con intervalli più distanziati, di tipo strumentale, consente di evitare completamente un trattamento radicale in assenza di segnali di peggioramento. In caso di necessità, offre la possibilità di ritardare il trattamento di anni, riducendo così gli impatti negativi sugli aspetti della qualità di vita dei pazienti, come disturbi della sfera sessuale, urinaria e intestinale.
Un protocollo unificato grazie allo studio START
Prima dell’avvio dello studio START, l’opzione della sorveglianza attiva era proposta raramente, limitandosi a pochi Centri e rivolta esclusivamente a pazienti altamente informati e motivati. Tale ristrettezza derivava da vari fattori, tra cui l’incertezza sui risultati a lungo termine, la preoccupazione per possibili controversie legali, la diversità di approcci tra specialisti e la comprensibile difficoltà dei pazienti nel ricevere una diagnosi di tumore senza una raccomandazione per un trattamento attivo. Grazie allo studio START, è stato possibile concordare tra i Centri di urologia, radioterapia ed anatomia patologica delle due regioni un protocollo unificato per offrire a questi pazienti la possibilità di scegliere tra diverse strategie di trattamento. Questo approccio è in linea con le raccomandazioni delle Linee guida internazionali e nazionali, compresa una Linea guida regionale del 2009. Il protocollo START prevedeva una chiara esposizione della diagnosi, della prognosi e delle diverse alternative di trattamento, inclusa la sorveglianza attiva.
Tutte queste informazioni sono state dettagliatamente illustrate in un opuscolo consegnato ai pazienti, il quale sintetizzava in modo comprensibile i vantaggi e i rischi delle varie opzioni. Questo supporto informativo mirava a consentire ai pazienti di prendere decisioni ponderate, affrontando in modo consapevole le sfide connesse alla diagnosi di tumore e alle scelte terapeutiche disponibili.
La sorveglianza attiva: l’opzione terapeutica preferita dai pazienti
Il risultato più significativo emerso dallo studio è che, una volta adeguatamente informati, oltre l’80% dei pazienti ha scelto la sorveglianza attiva come opzione terapeutica. I dati raccolti durante il monitoraggio a lungo termine di tutti i partecipanti allo studio hanno confermato una probabilità di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi sostanzialmente identica tra le diverse opzioni terapeutiche. Si stima che l’applicazione di tali risultati nella pratica clinica potrebbe evitare annualmente almeno un centinaio di trattamenti radicali e le relative conseguenze nelle due regioni coinvolte.
Tra i fattori determinanti che hanno contribuito a tranquillizzare sia i medici che i pazienti nella scelta della sorveglianza attiva, la discussione multidisciplinare dei casi tra specialisti ha svolto un ruolo chiave, in linea con l’approccio adottato dalla Rete Oncologica dei Gruppi Interdisciplinari di Cura (GIC). Inoltre, la possibilità per i patologi di ciascun ospedale di richiedere conferma delle caratteristiche di basso rischio delle biopsie a colleghi più esperti provenienti da altri ospedali ha contribuito in modo significativo alla rassicurazione.
L’esperienza derivante dallo studio START evidenzia chiaramente che le iniziative di ricerca nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale sono capaci di conseguire risultati di rilevanza scientifica a livello internazionale, mentre allo stesso tempo contribuiscono al miglioramento della qualità e dell’equità nell’assistenza sanitaria. Questa positiva collaborazione tra professionisti di diverse discipline sottolinea l’importanza di sforzi congiunti per promuovere la salute e il benessere dei pazienti.
Clicca qui per leggere i risultati originali dello studio START.
Messo a punto un sistema di Intelligenza Artificiale che calcola il pericolo di tumore al polmone con una semplice immagine radiografica del torace. Non rischiano solo i fumatori
Il fumo rimane sicuramente il principale rischio per il tumore al polmone, ma non l’unico. Ad esempio anche l’inquinamento atmosferico può aumentare il pericolo di carcinoma polmonare. In particolare, ogni anno in Italia, secondo i dati dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), si registrano poco più di 40.000 nuove diagnosi di cancro al polmone. Di queste, il 75-80% è attribuibile all’abitudine al fumo di sigaretta. Tuttavia, vi sono casi in cui il tumore si sviluppa anche in individui mai fumatori. In queste circostanze, l’inquinamento atmosferico, in particolare l’esposizione al PM2.5, il particolato atmosferico più fine in grado di penetrare nelle regioni più profonde dell’albero respiratorio, rappresenta il principale fattore di rischio.
Ora, grazie ad un innovativo sistema di intelligenza artificiale, è possibile individuare precocemente anche le forme di tumore al polmone non correlate al fumo di sigaretta. Un recente studio condotto presso la Boston University School of Medicine, che sarà presentato la prossima settimana al meeting annuale della Radiological Society of North America (RSNA), dimostra che l’intelligenza artificiale, utilizzando una comune immagine radiografica del torace, è in grado di riconoscere i non fumatori ad alto rischio di sviluppare il cancro ai polmoni. Questo è particolarmente rilevante, considerando che circa il 20% dei casi di cancro ai polmoni si verifica in individui che non hanno mai fumato o hanno fumato meno di 100 sigarette in tutta la loro vita.
“Un grande vantaggio del nostro approccio è che richiede solo un’immagine di una singola lastra toracica, uno dei test più comuni in medicina e ampiamente disponibile nelle cartelle cliniche” – spiegano gli autori. Il modello “CXR-Lung-Risk” è stato inizialmente sviluppato utilizzando 147.497 lastre toraciche di 40.643 fumatori asintomatici e non fumatori. I ricercatori hanno successivamente convalidato il modello attraverso un test su un gruppo separato di non fumatori, utilizzando lastre toraciche ambulatoriali nel periodo 2013-2014. L’indicatore principale era l’incidenza del cancro ai polmoni entro sei anni. Tra i 17.407 pazienti (età media 63 anni) inclusi nello studio, il 28% è stato identificato come ad alto rischio dallo strumento, e il 2,9% di questi pazienti ha successivamente ricevuto una diagnosi di cancro ai polmoni. Coloro considerati ad alto rischio dallo strumento presentavano un rischio di sviluppare il cancro ai polmoni più che doppio rispetto agli altri.
“Questo strumento di intelligenza artificiale apre la porta allo screening opportunistico per i non fumatori ad alto rischio di cancro ai polmoni, utilizzando le lastre toraciche esistenti nel registro elettronico delle cartelle cliniche” – conclude l’autore principale Michael Lu.Poiche’ i tassi di fumo diminuiscono, approcci per rilevare precocemente il cancro ai polmoni tra coloro che non fumano diventeranno sempre più importanti”.
Lo studio condotto dal team cinese è partito dall’analisi degli effetti della chemioterapia standard. Da qui, una grande scoperta
I ricercatori dello Shanghai Jiaotong University Affiliated Sixth People’s Hospital hanno individuato una potenziale terapia innovativa per il tumore al seno, utilizzando sostanze inibitrici della segnalazione Wnt a spettro ristretto. Il lavoro di ricerca, divulgato su Plos Biology, ha avuto inizio con l’analisi degli impatti della chemioterapia standard. Nei casi di alcuni pazienti, questa terapia può provocare lo sviluppo di cellule tumorali simili a cellule staminali, dotate di resistenza ai farmaci.
In precedenza, diversi studi hanno indicato che gli inibitori della segnalazione Wnt possono contrastare tali cellule, ma finora i vantaggi erano offuscati dagli effetti collaterali, soprattutto sulla densità ossea. Questi effetti indesiderati sono attribuiti alle 10 diverse versioni del recettore di segnalazione Wnt presenti nell’organismo umano, ciascuna con funzioni distinte. Recentemente, i ricercatori hanno sviluppato nuovi inibitori della segnalazione Wnt mirati a soli 3 di questi recettori, con l’obiettivo di ridurre gli effetti collaterali.
Al fine di valutarne l’efficacia potenziale nel trattamento del cancro, i ricercatori hanno eseguito una serie di esperimenti utilizzando uno specifico inibitore della segnalazione Wnt a spettro ristretto, denominato TcdBFBD. Questo inibitore è derivato da una tossina naturalmente presente nella specie batterica Clostridium difficile. Gli scienziati lo hanno testato su diversi modelli murini che replicano varie forme di tumore al seno, tra cui il tipo basale e il tipo luminale, riscontrabili nell’uomo.
I risultati hanno mostrato che il TcdBFBD ha efficacemente inibito la crescita tumorale e ridotto l’attività delle cellule tumorali simili alle staminali nei topi, senza causare effetti collaterali sulla densità ossea. Inoltre, è emerso che questo inibitore può agire in sinergia con il chemioterapico standard cisplatino per inibire i tumori al seno, sia di tipo basale sia di tipo luminale, nei topi. Di seguito il commento finale dei ricercatori: “Un frammento di tossina batterica colpisce e sopprime le cellule che danno vita al tumore del cancro al seno e quelle resistenti alla chemio”.
Clicca quiper leggere l’estratto originale dello studio.
In occasione della giornata universale del bambino, che si festeggia oggi 20 novembre, approfondiamo la seconda causa di morte per la fascia 0-14 anni. Per fortuna però, grazie alle nuove cure, oltre l’80% dei pazienti guarisce
Ogni anno in Italia, 1.400 bambini compresi tra 0 e 14 anni e circa 800 adolescenti tra i 15 e i 18 anni sono colpiti dai tumori. Questa condizione rappresenta la seconda causa di decesso tra i più giovani (0-14 anni), ma grazie agli avanzamenti nella ricerca e nelle cure, oltre l’80% dei pazienti riesce a guarire. Complessivamente i tumori pediatrici costituiscono circa l’1% di tutte le neoplasie. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è arrivata a superare l’80% per le leucemie e si attesta attorno al 70% per i tumori solidi, ma c’è ancora molta strada da fare per garantire cure efficaci a tutti i pazienti.
Come si forma
Il tumore è caratterizzato da una crescita rapida e incontrollata di cellule con la capacità di infiltrarsi negli organi e nei tessuti dell’organismo, alterandone la struttura e il funzionamento. Può presentarsi in forma solida, con una massa compatta di tessuto, o ematica, con cellule tumorali presenti nel midollo osseo e nel flusso sanguigno. Le cause dei tumori in età pediatrica sono ancora poco comprese e costituiscono un campo di ricerca significativo nell’oncologia. Fino ad oggi, sono stati identificati fattori di rischio precisi solo in una minoranza dei pazienti (4-6% dei casi), che comprendono sia elementi ambientali che genetici. In rari casi, l’origine del tumore può essere attribuita anche a agenti infettivi. La forma di tumore più comune in età pediatrica è la leucemia acuta (33% dei casi), seguita dai tumori cerebrali (25%) e dai linfomi (15%).
La diagnosi di tumore si avvale di una serie di esami che possono essere sia di laboratorio che strumentali. Gli esami del sangue, la radiografia del torace, l’ecografia, la TC (tomografia computerizzata), la risonanza magnetica, l’aspirato midollare, la puntura lombare, la scintigrafia, la PET con fluorodesossiglucosio e la biopsia sono tutte indagini diagnostiche che si basano su tecniche e principi diversi. Questi esami sono finalizzati a rilevare la presenza di cellule tumorali nell’organismo e a definire sia l’estensione che la tipologia del tumore. Nella guida relativa ad ogni esame utile per ottenere una diagnosi, vengono fornite informazioni su scopo, casi in cui è eseguito, procedura, precauzioni da adottare e grado di invasività per il bambino.
Guarigione sempre più in aumento
I tumori pediatrici sono attualmente affrontati con crescente successo nelle pratiche terapeutiche. Nel corso degli ultimi decenni, la probabilità di guarigione ha registrato un costante e progressivo aumento. Questo miglioramento nei risultati è attribuibile ai progressi della ricerca scientifica e alla maggiore comprensione delle caratteristiche cellulari, metaboliche e molecolari dei tumori pediatrici. Tale conoscenza consente la personalizzazione delle terapie, sfruttando trattamenti farmacologici come la chemioterapia e approcci non farmacologici come la radioterapia e la chirurgia, resi sempre più mirati ed efficaci.
Per alcune categorie di tumori, si dispone oggi di strumenti terapeutici altamente avanzati. Ad esempio, il trapianto di midollo e l’immunoterapia, che coinvolgono anche l’utilizzo di cellule geneticamente modificate per attaccare specificamente il bersaglio tumorale, rappresentano approcci innovativi. In tal senso, i medici italiani hanno svolto un ruolo di promozione, dimostrandosi i pionieri nell’introduzione di queste metodologie all’avanguardia.