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Calo vaccini contro Papillomavirus: parte la campagna di sensibilizzazione

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Diminuisce il numero di ragazzi e ragazze che hanno usufruito del vaccino contro il Papillomavirus

Al via la campagna informativa per la vaccinazione contro il Papillomavirus (Hpv). Un’esigenza dopo la notizia che la metà degli adolescenti nel 2020, a causa del covid, non hanno ricevuto l’inoculazione. E sono a rischio di contrarre una neoplasia. Lo hanno dichiarato oncologi e infettivologi in occasione della campagna “Hai Prenotato, Vero?”, organizzata da MSD e autorizzata dal Ministero della Salute. In totale sono 700mila gli adolescenti che sono a rischio.

Secondo il Ministero della Salute, nel 2020, la copertura vaccinale nelle ragazze nate nel 2007 è del 58% e nei ragazzi del 46%. Ed è molto più bassa per la coorte del 2008 (30% per ciclo completo). Già prima della pandemia, in Italia, la copertura della vaccinazione contro l’Hpv negli adolescenti era bassa. Si attestava ben al di sotto della soglia ottimale del 95% prevista dal Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale. La pandemia ha provocato un ulteriore calo. Ogni anno in Italia quasi 6.500 casi di tumore sono riconducibili proprio all’Hpv. I ritardi nei programmi di vaccinazione devono essere quindi recuperati quanto prima.

Dati in calo di vaccinazioni contro il Papillomavirus secondo il Ministero della Salute e questo sarebbe dovuto anche alla pandemia

La campagna prevede un’intensa attività digitale. L’obiettivo è accrescere la consapevolezza sulla possibilità che ogni genitore ha di proteggere i propri figli adolescenti da patologie pericolose come i tumori Hpv-correlati.


“Il Papillomavirus è il secondo agente patogeno responsabile di cancro nel mondo – spiega Saverio Cinieri, presidente eletto AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica). La vaccinazione rappresenta l’arma più importante e l’Aiom sostiene gli obiettivi stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dalla European Cancer Organization e dalla Commissione Europea: cancellare il tumore della cervice uterina (e tutti quelli Hpv correlati) entro il 2030. Le azioni da attuare sono proprio vaccinare almeno il 90% della popolazione target e assicurare che almeno il 90% della popolazione target abbia accesso agli screening cervicali gratuiti“.

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Tumore al rene, in 5 anni migliorata la sopravvivenza in Italia

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Negli ultimi cinque anni nel nostro Paese le persone vive dopo la diagnosi di tumore al rene sono aumentate in modo significativo

Negli ultimi cinque anni, in Italia, le persone vive dopo la diagnosi di tumore al rene sono aumentate del 15%. Erano circa 125.000 nel 2018, fino a diventare 144.400 nel 2022. Inoltre, oltre il 50% dei pazienti diagnosticati in fase precoce guarisce. Nel 30% dei casi la malattia è individuata in fase avanzata o metastatica e in un altro 25-30% si ripresenta dopo l’intervento chirurgico eseguito con intento curativo. 

A fare il punto sono l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e l’Associazione Nazionale Tumore del Rene (Anture), che dal Congresso della Società Americana di Oncologia Clinica (Asco) in corso a Chicago, hanno lanciato la campagna nazionale di sensibilizzazione.

Un tempo le opzioni terapeutiche erano scarse, anche perché in questo tipo di neoplasia la chemioterapia è da sempre poco efficace e il suo utilizzo è scarso. Oggi però vi sono numerosi strumenti efficaci da inserire in una strategia di cura che vede chirurgia, terapie mirate e immunoterapia, migliorando in maniera significativa la gestione di controllo della neoplasia metastatica.

Le parole del Presidente AIOM

A commentare il grande risultato è il Presidente AIOM, Saverio Cinieri“L’incremento della sopravvivenza e del numero di pazienti vivi dopo la diagnosi del tumore al rene è dovuto all’introduzione delle terapie mirate innovative e dell’immunoncologia che, in quasi vent’anni, hanno permesso di contrastare con successo anche i casi di malattia in fase avanzata. L’innovazione terapeutica – ha spiegato l’esperto – ha rivoluzionato la pratica clinica. Con la nostra campagna vogliamo migliorare il livello di consapevolezza dei pazienti e dei cittadini sui progressi della ricerca. Il tutto, senza dimenticare il ruolo degli stili di vita. È infatti dimostrato che l’attività fisica è in grado di ridurre fino al 22% il rischio di sviluppare malattia. Anche nei pazienti che hanno già ricevuto la diagnosi – conclude il presidente AIOM – il movimento fisico può migliorare del 15% i risultati dei trattamenti”.

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Tumori del cervello: in arrivo nuove efficaci terapie

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I tumori del cervello sono tra i più temuti e difficili da trattare. Ora però, grazie alla ricerca, nuove armi stanno arrivando per combatterli

I tumori del cervello, come glioma e glioblastoma, sono al centro di vari studi presentati al Congresso della Società americana di oncologia clinica (Asco). Proprio dagli Usa giunge un segnale di speranza per questi pazienti. Parliamo infatti di neoplasie relativamente rare e che, per questo, hanno ad oggi un armamentario terapeutico ancora ridotto. Il glioblastoma è il tumore del cervello maligno più frequente nell’adulto ed ogni anno in Italia ne sono colpite circa 1.500 persone. I gliomi, invece, insorgono soprattutto in età pediatrica, con un picco tra i 5 e i 10 anni di età, e se ne contano alcune decine di casi l’anno nel nostro Paese. Al congresso Asco, i riflettori si sono accesi su queste neoplasie con due studi di grande rilevanza.

Studio Indigo di fase 3

Il primo, lo studio Indigo di fase 3, ha dimostrato l’efficacia di una nuova molecola (vorasidenib), in grado di ritardare la progressione della malattia o la morte nei pazienti con glioma di grado 2 con mutazione genetica Idh, che interessa circa l’80% di questi malati. Lo studio ha coinvolto 331 pazienti (dai 16 ai 71 anni) provenienti da 10 paesi, che avevano subito un intervento chirurgico ma nessun altro trattamento.

La buona notizia è che il nuovo farmaco ha ritardato la progressione della malattia ed è stato ben tollerato. In particolare, il periodo di sopravvivenza libero da progressione della malattia ha infatti raggiunto i 27,7 mesi rispetto a 11,1 mesi per il placebo, ritardando in modo significativo il trattamento successivo. Questi risultati “rappresentano un significativo passo avanti nel trattamento ed hanno il potenziale per rivoluzionare la cura di questa malattia. Il nostro studio – spiega il primo autore Ingo Mellinghoff, del Memorial Sloan Kettering Cancer Center – mostra infatti che andando a colpire la mutazioni Idh con vorasidenib si ritarda significativamente la crescita del tumore e la necessità di terapie più tossiche”. 

“Ciò è clinicamente significativo – prosegue l’esperto –  perché i pazienti con diagnosi di glioma di grado 2 con mutazioni Idh sono tipicamente giovani e sani. Dunque, i risultati di questo studio offrono la possibilità di cambiare il paradigma del trattamento e potrebbero portare alla prima nuova terapia mirata per il glioma di basso grado“. Attualmente, sono allo studio anche combinazioni della molecola con altri farmaci sia nel glioma di basso che in quello di alto grado.

La terapia ‘Ttfields’

Altro risultato presentato all’Asco riguarda la terapia basata sull’utilizzo di campi elettrici che inibiscono la divisione delle cellule tumorali e che vengono inviati nella regione colpita dal cancro attraverso un dispositivo medico portatile, la cosiddetta terapia Ttfields. Questa ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza dei pazienti con glioblastoma di nuova diagnosi: lo conferma il primo studio di real world in questo campo, cioè di ‘vita reale’ in cui vengono inclusi pazienti non selezionati.

La sopravvivenza mediana, spiega Matthew Ballo, medical director al West Cancer Center & Research Institute di Memphis“è stata di 22,2 mesi per i pazienti che hanno ricevuto Ttfields rispetto a 17,3 mesi per i pazienti che non l’hanno ricevuta. Dico ai miei pazienti – afferma Ballo – che questa è una parte importante dello standard di cura, che consiste in radiazioni, chemio e Ttfields, perché questo approccio si traduce nel miglior risultatoInoltre, il dispositivo crea un campo elettromagnetico che interferisce con qualsiasi cellula in rapida divisione, quindi ha utilità non solo nel glioblastoma – spiega l’esperto. Le indagini hanno mostrato l’attività di Ttfields in più tumori, come nel carcinoma polmonare non a piccole cellule metastatico al cervello, carcinoma polmonare, pancreatico, epatocellulare, ovarico e nel mesotelioma”. 

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Cancro al colon: ricerca scopre nuova potenziale causa

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Un team di ricercatori della Georgetown University di Washington si è concentrato su determinati cambiamenti in atto nei microbiomi intestinali di alcuni pazienti, scoprendo inedite informazioni 

I casi di cancro al colon sono sempre più in aumento negli ultimi anni, soprattutto nelle fasce più giovali della popolazione. Per questo motivo, un gruppo di esperti della Georgetown University di Washington ha deciso di indagare a fondo la questione, concentrandosi sui cambiamenti in atto nei microbiomi intestinali dei giovani. Dalle analisi è emerso che nei tumori dei pazienti più giovani si trovava spesso il fungo Cladosporium sp., in percentuale significativamente maggiore rispetto ai pazienti più anziani. Il fungo non è un ospite abituale dell’intestino umano. In sua presenza si verificano difficoltà digestive oltre a poter causare infezioni della pelle e delle unghie.

Benjamin Weinberg, esperto di cancro gastrointestinale e co-autore della ricerca, spiega: “Molte persone anno la colpa a obesità e diabete. Ma abbiamo questi pazienti sani e giovani che hanno un cancro colorettale molto avanzato”. Il team americano ha esaminato campioni di tessuto di 63 pazienti con meno di 45 anni o con più di 65, controllando il Dna dei microrganismi nei tumori per cercare eventuali differenze a livello di microbioma intestinale. È emersa così la presenza diffusa del fungo Cladosporium sp. fra i più giovani. Per quanto riguarda i batteri, invece, non sono emerse differenze particolari.

L’ipotesi dei ricercatori è che il fungo possa causare un danno al Dna cellulare e propiziare così la mutazione delle cellule da sane a cancerose. La teoria più diffusa e accettata nel mondo scientifico finora è quella dello stile di vita alterato, con consumo di alcol, poca attività fisica e alimentazione squilibrata. Un fenomeno che certamente ha contribuito all’aumento dei casi di cancro, ma che non spiega il fatto che per alcuni tipi di cancro si sia registrata invece una diminuzione nel tempo. La ricerca americana mostra quindi la possibilità di un altro fattore che non era stato preso in considerazione e che invece potrebbe aver contribuito in maniera decisiva all’aumento dell’incidenza dei tumori, e di quello del colon in particolare.

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