Esplosione di casi di sindromi simil influenzale tra i bambini al di sotto dei cinque anni
Cronaca delle ultime settimane ha parlato del virus sinciziale che ha iniziato a preoccupare gli esperti. E le conseguenze sui più piccoli sono state tangibili. Ma non c’è solo questo. Nelle ultime settimane si è registrata “una brusca partenza della curva delle sindromi simil-influenzali in Italia in cui, dal primo al 7 novembre, si osserva un’incidenza pari a 3,5 casi per mille assistiti. Colpiti maggiormente i bambini al di sotto dei cinque anni di età in cui si osserva un’incidenza pari a 15,8 casi per mille assistiti”.
Il dato è emerso dall’ultimo rapporto di sorveglianza Influnet dell’Istituto Superiore di Sanità. Sorveglianza alta in Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna. Le regioni che hanno fatto registrare un livello di incidenza di sindromi simil-influenzali sopra la soglia e che, per questo, hanno attivato la sorveglianza. La stima parla di 207mila casi e di un totale che arriva a 573mila a partire da ottobre, mese di attivazione della sorveglianza. Nello stesso periodo dello scorso anno, il livello di incidenza era dell’1.15 casi per mille assistiti, un valore nettamente basso rispetto all’attuale di 3.49.
Nove regioni ancora ancora non hanno attivato la sorveglianza per le sindromi simil influenzali
“Nella fascia di età 0-4 anni – evidenzia il rapporto Iss – l’incidenza è pari a 15,83 casi per mille assistiti. Nella fascia di età 5-14 anni a 3,79, nella fascia 15-64 anni a 3,02 e tra gli individui di età pari o superiore a 65 anni a 1,64 casi per mille assistiti. Il sistema di sorveglianza Influnet comprende i medici e i pediatri sentinella di tutte le regioni italiane, 770 i medici sentinella che hanno inviato dati circa la frequenza di casi tra i propri assistiti”.
“Nove Regioni (Val d’Aosta, P.A. di Bolzano, P.A. di Trento, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Campania, Basilicata, Calabria, Sardegna) non hanno ancora attivato la sorveglianza InfluNet. Tra le Regioni che hanno attivato la sorveglianza, Piemonte, Lombardia e Emilia-Romagna registrano un livello di incidenza delle sindromi influenzali sopra la soglia basale di 3,16 casi per mille assistiti. L’intensità epidemica si definisce bassa quando con una soglia di 9,37 casi su mille; media con 14,37; alta con 17,36. Oltre quest’ultimo valore, l’intensità è molto alta”.
La campagna vaccinale contro l’influenza è cominciata ma i medici lamentano la scarsità di dosi
Intanto anche la campagna vaccinale contro l’influenza è già partita in alcune regioni e i medici di famiglia lamentano la scarsità di dosi: “Abbiamo necessità di vaccinare il più possibile contro l’influenza ma le dosi di vaccino, per problemi organizzativi, ci arrivano con il contagocce dalle Regioni. Lo scorso anno i medici di famiglia hanno somministrato 13 milioni di dosi, ma quest’anno siamo indietro sulla tabella di marcia” ha spiegato all’Ansa Tommasina Maio, responsabile Area vaccini della Federazione Italiana medici di medicina generale (Fimmg). “Quest’anno – spiega – ci aspettiamo una epidemia influenzale molto intensa dal punto di vista della gravità e della numerosità di casi. È fondamentale proteggersi da un virus che, soprattutto nell’anziano e nei malati cronici, come mostra la letteratura scientifica, può provocare complicanze respiratorie, neurologiche e cardiovascolari. Portando anche al ricovero e al decesso”.
Lo scorso anno, in base ai dati del Ministero della Salute, è nettamente migliorata la copertura vaccinale contro l’influenza.
“Con un aumento di 6 punti percentuali nella popolazione generale e di circa il 10% tra gli over 65. Quest’anno ci stiamo, però, confrontando con irregolare consegna delle dosi. Cosa che ci pone problemi organizzativi anche perché dobbiamo anche portare avanti contemporaneamente le vaccinazioni anti Covid. E le altre vaccinazioni, come l’antipneumcoccica e l’anti Zoster”. Non va infine dimenticato, conclude Maio, “il grande capitolo delle donne in gravidanza alle quali si devono fare i richiami di vaccinazione come quello contro la pertosse e il tetano, fondamentali per proteggere il neonato nei primi tre mesi di vita, in cui non può essere vaccinato”.
Registrato un incremento degli accessi in Pronto Soccorso per infezioni respiratorie del 300% superiore rispetti ai due anni precedenti. A lanciare l’allarme è la Società italiana di pediatria (Sip)
In molte zone di Italia le Pediatrie sono in affanno per via di una vera e propria epidemia di infezioni respiratorie nei bambini. In particolare, le bronchioliti da virus respiratorio sinciziale (VRS) stanno colpendo molti bambini sotto l’anno di vita. Se a ciò si somma la contemporanea circolazione di altri virus respiratori la situazione risulta davvero difficile, con accessi record in Pronto Soccorso, situazioni di congestione in alcuni ospedali e massima occupazione dei posti letti che mettono in difficoltà alcune realtà nel nostro Paese.
A lanciare l’allarme è laSocietà italiana di pediatria (Sip). “Registriamo un incremento degli accessi in Pronto Soccorso per infezioni respiratorie – ha affermato Giovanni Corsello, membro Sip e direttore del Dipartimento Materno Infantile dell’Ospedale dei Bambini di Palermo. Si tratta di un incremento del 300% superiore rispetto ai due anni precedenti, con l’80% dei posti letto occupati dai bambini con bronchiolite da VRS” – ha aggiunto l’esperto. Due condizioni stanno rendendo particolarmente gravosa l’assistenza. Da un lato l’età dei bambini con bronchiolite da VRS, soprattutto neonati e lattanti, e dall’altro i casi di ‘coinfezioni’ causate da più agenti patogeni che in contemporanea colpiscono lo stesso organismo”. Si tratta dunque di condizioni che, nei casi più gravi, richiedono spesso il ricovero in ospedale e un notevole sforzo organizzativo.
La mancanza di terapie intensive pediatriche
La Società italiana di pediatria insiste, inoltre, sulla necessità di rafforzare ciò che reputa ‘l’anello debole’ dell’assistenza pediatrica, ossia le terapie intensive pediatriche. Secondo gli esperti della Sip, infatti, le terapie intensive pediatriche sarebbero poche e mal distribuite sul territorio nazionale. In aggiunta, l’assenza di un codice ministeriale che le identifichi in maniera precisa (presente per tutte le altre discipline essenziali in Italia) rende molto difficile il loro numero esatto. Secondo la Sip nel nostro Paese ci sono circa 3 letti di terapia intensiva pediatrica ogni milione di abitanti. Un valore di circa la metà di quello inglese e di circa un terzo rispetto a Austria, Svizzera, Germania o Usa.
A sottolineare il problema delle terapie intensive è la presidente della società, Annamaria Staiano. “Assistere i bambini in unità di terapia intensiva dedicate significa migliorare la prognosi rispetto a coloro che vengono ricoverati in terapie intensive per adulti. Questo è tanto più vero quanto il bambino è più piccolo e più grave. Le TIP sono infatti tarate sui bambini e hanno un’elevata specificità non solo dei device, ma anche delle competenze sul personale”.
Un appello al governo
Chiediamo al Governo – ha concluso la presidente Sip – non solo un rafforzamento, con un amento dei posti letto e del personale. Ma anche un impegno a lavorare insieme alle società scientifiche per una riforma volta a mettere in rete tutti i punti di offerta, così da garantire un’assistenza omogena a tutti i bambini in ogni area del Paese. È urgente inoltre che venga assegnato un codice ministeriale di disciplina alle TIP. È un passaggio essenziale per avere un quadro preciso della situazione attuale”.
È quanto emerge da una ricerca della Rutgers University, nota università del New Jersey. Lo studio è stato pubblicato sul ‘Journal of Pediatrics’
Nascere con qualche settimana di anticipo aumenta il rischio di sviluppare disturbi da decifit di attenzione e iperattività (Adhd). È questo il dato definitivo emerso da uno studio della Rutgers University del New Jersey, pubblicato sul ‘Journal of Pediatrics’. Lo studio ha analizzato elementi riguardanti circa 1.400 bambini nati negli Stati Uniti tra il 1998 e il 2000 e, attraverso un follow up a 9 anni, li ha incrociati con i dati emersi dalle interviste con le madri e gli insegnanti, ai quali è stato chiesto di valutare i propri studenti utilizzando una scala di valutazione che include sintomi di iperattività, Adhd, comportamento oppositivo e problemi cognitivi/disattenzione. (Qui i risultati dello studio).
Dall’analisi è emerso che i bambini nati a 37-38 settimane avevano punteggi significativamente più alti nelle scale di valutazione degli insegnanti rispetto ai bambini nati a 39-41 settimane. Si tenga conto che la durata media di una gestazione è di circa 9 mesi, dunque circa 39 settimane. In particolare, gli esperti hanno scoperto che a ogni settimana in periodo di gravidanza in più rispetto al termine previsto corrispondeva a una riduzione del 5-6% dei punteggi di iperattività, Adhd e problemi cognitivi. In altre parole, secondo questo studio, più si nasce tardi più c’è una riduzione dei rischi sopracitati.
Tra gli autori dello studio figura la Prof.ssa Nancy E. Reichman, la quale ha commentato gli esiti della ricerca. “I risultati si aggiungono alle prove già esistenti che raccomandando di ritardare i parti elettivi almeno fino a 39 settimane di gestazione. Si suggerisce inoltre di effettuare screening regolari per i sintomi dell’Adhd a tutti i bambini nati tra la 37° e la 38° settimana”.
L’evidenza emerge dallo studio di un team canadese che ha seguito circa 9.000 bambini tra i sei mesi e gli otto anni
La dieta vegetariana per i bambini presenta crescita e parametri biochimici di nutrizione simili a quelli di bambini che mangiano carne. Il grosso rischio però è quello di sottopeso. Ciò è quanto evidenzia uno studio canadese pubblicato da Pediatricsche spiega come ci sia bisogno di fornire cure speciali per casi particolari di diete vegetariane per bambini. Lo studio è stato guidato da Jonathon Maguire, del St. Michaels’s Hospital dell’Unity Health di Toronto.
Il team di ricerca ha valutato circa 9.000 bambini per un età media di 2,8 anni. Tra questi circa 250 seguivano una dieta vegetariana e presentavano livelli di indice di massa corporea, altezza, ferro, vitamina D e colesterolo simili ai coetanei con dieta ‘tradizionale’. Il lato negativo, però, è che i bambini vegetariani avevano una probabilità di quasi il doppio di essere sottopeso.
E’ lo stesso Maguire a spiegare come “le diete vegetariane sono riconosciute come modello sano per l’assunzione di frutta, verdura, fibre e riduzione di grassi saturi. Pochi però hanno studiato l’impatto di questi regimi alimentari su crescita e stato nutrizionale” – afferma lo studioso. “Le attuali linee guida differiscono rispetto a consigliare una dieta vegetariana durante l’infanzia. È necessaria un’attenta pianificazione dietetica per i bambini sottopeso quando si considerano diete vegetariane. In ogni caso – conclude – le diete vegetariane sono appropriateper la maggior parte dei bambini”.
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